Mamme Coraggio

Archive for Maggio 2010

Il tema della Pas, comincia ad essere molto dibattuto, crea profondi contrasti e schieramenti di parte perché reca con sé la presunzione di voler ingabbiare in una sindrome la decodificazione della realtà delle coppie separate e conflittuali con figli, e pretende inoltre di di averne trovato la cura.
Una cura che sta provocando uno sconvolgimento talmente grande da produrre solo dolore e sangue.

Sapete ormai tutti di cosa parlo: in nome di una verità sacrosanta (la Pas), sempre più bambini devono fare la valigia ed andare in una ‘splendida’ struttura in cui vengono ‘ripuliti’ e resettati da tutto il disprezzo, da tutta l’ostilità verso il genitore rifiutato, da tutte le bugie assorbite dal genitore alienante.

 
Questi bambini usciranno da queste così provvidenziali strutture solamente quando avranno finalmente compreso che non devono più accusare un genitore di abuso, non ne devono assolutamente parlare.
No, no, non sta bene!

Usciranno, con un carattere ben formato ed indottrinato, con un animo sicuramente più leggero, ma solamente dopo che si saranno accorti che devono frequentare entrambi i genitori, senza ‘inventarsi’ assurdità su violenze subite, botte ecc. ecc.
Non dovranno più chiedere di voler rimanere con la loro mamma, perchè l’altro genitore è pericoloso.
Scherziamo? Poi ci lamentiamo che non esistono più gli uomini veri!

Diagnosi e cura della Pas: la dobbiamo a Richard Alan Gardner, dobbiamo ringraziarlo di aver messo a disposizione il suo genio per scoprire questa patologia, racchiusa in 8 punti, che piace così tanto a certi gruppi che lo hanno preso a portabandiera delle loro ragioni.

Beh, io non lo ringrazio proprio, anzi credo di cominciare ad essere in buona compagnia nel pensare che Gardner non era affatto un genio, che la sua diagnosi era una elucubrazione mentale e la sua cura una ‘assurdità’ di una mente un poco confusa.

La Pas è una favola nera, la favola che alcuni vogliono a tutti i costi raccontare a molti bambini.
La favola in cui il lupo cattivo è il protagonista e vince sempre.
La favola della vittoria del male sul bene.

Beh, a me, a moltissimi di voi che leggete, questa favola noir non piace affatto e sicuramente desiderate distruggerla per ricominciare a raccontare quelle belle storie di una volta, in cui il cattivo finisce sempre male.

Iniziamo subito a sgomberare il campo da dubbi: i figli, in una separazione hanno il diritto di frequentare entrambi i genitori, perché possano crescere nella maniera più sana ed equilibrata.
Se il figlio rifiuta in maniera certa uno dei due genitori, bisogna ascoltarne le ragioni, capire cosa ci sia sotto, prendere in serissima considerazione le sue denunce.
Il figlio non dovrà essere obbligato a frequentare con la forza il genitore di cui ha il terrore.
E soprattutto non gli si dovrà dire che ha una sindrome brutta, brutta che gli è stata attaccata dal genitore con cui vive.

Parliamo quindi di situazioni specifiche e circoscritte, perché, grazie a Dio, nella quotidianità i figli amano e desiderano tutti e due i genitori.
Anzi, pur vivendo spesso con la madre, hanno un tale desiderio di avere considerazione ed affetto dal padre, da richiederne spesso la presenza.
E questo è bellissimo.
E questo va appoggiato.
E questo non va osteggiato.

Detto ciò, torniamo alla Pas: è ora di smetterla di chiudere la bocca ai figli con una sindrome, di cui tutti si riempiono la bocca, ma che poco conoscono e che utilizzano come una bomba ad orologeria nei tribunali, contro le donne ed i loro figli.

Una pseudo-sindrome, che lascia grandi perplessità proprio come il suo creatore, che non era di certo un tipo tanto equilibrato.

Avevo intenzione di confutare gli 8 punti su cui si innesta la Pas, ma, credo che sia ancora il caso di approfondire le note biografiche che possiamo ricavare su Gardner, per cercare di tracciarne un profilo il più aderente possibile.
Molto spesso, infatti, vita e pensiero si fondono: questo mi sembra un caso esemplare.

Gardner nacque nel Bronx nel 1931, studiò al Columbia College ed al Downstate Medical Center alla State University di New York, si arruolò nell’Army Medical Corps e divenne in seguito direttore della divisione di psichiatria infantile in un ospedale militare in Germania.

 
Si sposò ed ebbe due figli, ma la storia non funzionò e divorziò.
Scrisse parecchi libri (circa una trentina), che furono pubblicati dalla casa editrice Creative Therapeutics, che aveva in catalogo vari libri (circa una trentina).
Si avete capito bene: la casa editrice aveva come unici libri pubblicati quelli di Gardner.
E l’indirizzo della casa editrice era lo stesso della residenza dello psichiatra!
Dunque, chi pubblicò i libri di Gardner? Lui stesso. Si auto- sponsorizzò.


Ma non scrisse solo libri. Pubblicò moltissimi articoli che diffondevano le sue teorie, attraverso una rivista quasi sconosciuta, Issues in Child Abuse Accusations, il cui direttore era il Dr. Ralph Underwager.

Vorrei un attimo deviare il mio interesse su quest’ultimo personaggio il quale, in una intervista rilasciata ad una rivista olandese, Paidika, ebbe l’ardire di affermare che la pedofilia è un’espressione accettabile del volere di Dio per l’amore e l’unione tra due esseri.

Possiamo quindi sostenere che il direttore e Gardner avevano comunanza di idee riguardo la pedofilia.
Pensiamo alle numerose affermazioni di Gardner nei suoi articoli, come ad esempio quella in cui dichiara che non bisogna esagerare nel considerare troppo negativamente eventuali abusi sessuali da parte del padre sui figli, che bisogna comprenderne i fattori genetici e tenerne conto. Soprattutto il padre non va allontanato dai figli, neanche se ha abusato di loro!
Avete letto bene.

Ora, io una certa idea sulla natura di Gardner, solo partendo da queste affermazioni, fino ad arrivare ai suoi scritti che ho letto tradotti, ce l’avrei.
Credo che, leggendo i suoi ‘capolavori’, anche la maggior parte degli psichiatri si farebbe una certa idea su di lui ed eviterebbe di applicare le sue teorie.
Almeno credo e spero.

Invece le sue genialità sono andate ad inserirsi direttamente nell’ambito dell’avvocatura, dove non si è verificata la loro attendibilità scientifica, ma solo la possibilità di utilizzarle nei processi legati al diritto familiare.

Infatti Gardner riuscì abilmente ad introdurre la PAS, testimoniando nelle cause di divorzio ed appoggiando i poveri uomini incappati nelle maglie di qualche megera. Gardner scrisse addirittura due libri solo per dire e dimostrare l’isteria femminile delle donne.

Le sue testimonianze funzionavano di certo, se pensiamo che per ricevere i suoi ‘favori’, gli uomini erano disposti a sborsare circa 500 dollari l’ora di onorario.
Insomma i legali avevano trovato in Gardner una reale possibilità per contrastare le richieste delle donne e per ottenere l’affidamento dei figli.
E Gardner ha fatto la sua parte molto bene: la gallina dalle uova d’oro….

Nel 1992 ottenne notevole successo quando andò a testimoniare alla separazione tra Woody Allen e Mia Farrow, che aveva accusato il marito di molestie sessuali verso i figli. Era al culmine della sua carriera: osannato, ricercato… poteva avere il meglio dalla vita.

Ma nel 2003, il 28 maggio, l’America apprese dal New York Times la morte dello psichiatra. Aveva 72 anni e morì in casa.
Morì suicida: inferse contro se stesso diverse coltellate, al collo ed al cuore, con un coltellaccio da macellaio.
Il figlio Andrew dichiarò ai giornali che il padre era enormemente scosso per aver appreso di avere una grave malattia neurologica.

Gardner non aveva sopportato il duro colpo e aveva deciso che era ora di farla finita.
E che fine! Da film orror.
Vorrei concludere questa ‘triste’ storia con una notizia sulle qualifiche in campo lavorativo di Gardner, che mi pare interessante.

Il New York Times, il 14 giugno del 2003, fece uscire un articolo in cui correggeva quanto aveva precedentemente scritto sullo psichiatra suicida, ed affermava che Gardner non era professore della divisione di psichiatria infantile presso la Columbia University, ma solo un volontario non retribuito.

Cari lettori, comincia a sorgervi qualche dubbio?
A me si, io sono immersa nei dubbi verso questo personaggio, ma immersa anche nella certezza che la sindrome di Pas è una pseudo-sindrome creata per scopi pratici: far fuori le ex mogli con le loro richieste esagerate e salvare i poveri mariti.
A che prezzo!
A prezzo dell’infelicità dei bambini….

Flo il direttore



Stamattina è sbocciato il sole, si è steso adagio e pesante sulla città e ci ha lasciato senza fiato.
ieri era inverno, oggi è estate piena. Ieri il golfino di lana, oggi a malapena una maglietta scollata.
-Che caldo!- sbuffo, poi mi ricordo che solo ieri dicevo: – uffa fa freddo.-

Era ormai tardi per andare verso il mare, schiacciata in quelle interminabili file di clacson, di asfalto e tensione.
Così ho deciso di recarmi in libreria. Ad accompagnarmi, una coppia di amici e la loro meravigliosa nipotina.

Che meraviglia certe librerie, ci starei giorni interi a sfogliare i libri, guardare le illustrazioni sempre indecisa su cosa comprare e sempre più decisa a comprare tutto. Ci sono dei meravigliosi salottini, dove puoi sederti, leggere e guardare la gente che viene e che va.
Stamattina cercavo un unico libro, con rammarico non l’ho trovato, così ho pensato di raggiungere la mia amica nel piccolo anfiteatro che la libreria dedica ai bambini.

Ci sono i genitori seduti sui piccoli spalti colorati di cuscini, un grande schermo con le immagini mute di un cartone animato e, nella piccola arena, tanti bimbetti con le gambette scoperte che aprono libri, cercano, cercano, sfogliano, chiudono, riaprono, con gli occhi sbarrati dalla gioia, i sorrisi intensi e la mente in attività.

Mi siedo vicino alla mia amica, con in mano un paio di libri d’arte che voglio sfogliare.
Ma lo spettacolo dei bimbi è troppo bello da guardare.

C’è n’è uno che ha scelto un libro sul corpo umano, va a sedersi vicino al padre, hanno entrambi gli occhiali, sono magri e molto somiglianti. Il papà inizia a spiegare a quel bimbetto di sette anni o poco più, la circolazione venosa e quella arteriosa, gli mostra le immagini, segue col dito il percorso indicato sul libro. Io allungo le orecchie e li osservo: un pò di ripasso alla mia età non guasta. Mamma mia! Mi colpisce il fatto che il bambino ascolti interessato, un giorno diventerà sicuramente un dottore come il padre…perché quell’uomo è di certo un medico…lo osservo meglio… si credo sia un medico…

Ci sono tanti genitori accoccolati vicino ai loro cuccioli e leggono loro le storie dei libri che sono stati scelti.

E c’è Sara, la nipotina della mia amica, che gira, gira, cerca, cerca, non è mai stanca di curiosare.
Mi incanto a guardarla, è troppo bella, con quei suoi grandi occhi oceanici, quel volto che sembra rubato ad un angelo.

-Nonna, nonna, guarda…-
E’ talmente emozionata dal gran ben di Dio che le sta di fronte, che alza il tono della voce per farsi sentire e non smette mai di parlare.
Tutti si voltano a guardare la nonna e sono stupiti.

-Signora, mi scusi, non è mica lei la nonna… forse ho capito male…- chiede una donna che sta seduta di fianco alla mia amica.
Io rido, sono ormai abituata a questa scena giornaliera.

-Sì, lei è la mia nonna e quello laggiù è mio nonno. Mamma e papà sono in cielo….mia mamma mi ha avuta giovane….-risponde prontamente Sara.
Questa bimba continua a raccontare la sua storia, senza tralasciare nulla. Quando vede la signora frastornata e stupita alquanto, Sara mi manda un segnale di sbuffo che io comprendo velocemente, e torna a giocare.

La vedo riandare in esplorazione e cerco di non notare una lacrima appostata all’angolo degli occhi della mia amica.
Sara è una bimba che ha tanto, ma che ha anche tanto sofferto.

Come è diversa dagli altri bambini lì intorno, molto carini, ma un poco viziati, abituarti a sentirsi dire sempre sì, che montano un piccolo ricatto, un pianto a comando, uno sguardo infuriato, se i genitori non corrispondono in tutto alle loro richieste.
Sara no, sembra una donnina, piccolo batuffolo di sette anni.

Sara non pretende nulla, non urla, non piange, non minaccia, se le piace qualcosa chiede se può averlo e, se non è possibile, ubbidisce.
Sara è una bambina incredibile: buona, dolce, affettuosa. A volte la sofferenza ed il dolore rendono certe persone speciali.

E Sara è speciale.

-Sara- le dico- vieni qui. Allora, oltre al libro che ti hanno promesso i nonni, te ne regalo uno anch’io, mi raccomando, bello grosso.-

-Oh, zia Flo…- mi bacia con un calore che lascia senza fiato ed in quel momento le comprerei la luna, se me lo chiedesse. Neanche se mi regalassero un diamante avrei quella espressione di gioia che ha lei!

La guardo, la mia amica cerca la mia mano, e tutte e due pensiamo alla mamma della bimba, è come se la vedessimo vicino alla sua Sara. Noi siamo le sue braccia, il suo sorriso, noi siamo l’amore che lei vorrebbe dare alla sua figlia.

Si, la mamma è l’angelo custode di Sara. Ne siamo certe.

Io e la mia amica ci capiamo al volo: abbiamo pensato la stessa cosa.

Dopo spasmodica ricerca, Sara torna da me tutta raggiante:-Zia Flo, ho trovato…ecco guarda…-
Mi mette in grembo un enorme libro con l’immagine di Cenerentola. Lo apro…

-Ma è un quaderno…cerca un libro piuttosto.-
-Sì, zia Flo è un quaderno. Ho deciso. Ti ricordi tutte le favole che inventi per me, da tanto tempo?-
Annuisco.

-Ho deciso che le voglio scrivere per non dimenticarle più.-

Sono commossa. Per darle un poco di allegria, le racconto tante, ma tante storie, tutte carine, con il lieto fine, le racconto mimando, facendo le boccacce, gesticolando…e lei ride ride, sogna, spera…

Voglio insegnarle che la vita è meravigliosa, voglio che lei possa sognare e desiderare cose belle.
E la mia amica è felice quando racconto le favole alla nipote, mentre lei è intenta ad affaccendarsi per casa. Anzi, credo che anche lei ami le mie favole, perché l’ho vista spesso sorridere di nascosto.

Così siamo uscite dalla libreria con un bel libro e un bel quaderno.

Il pomeriggio Sara ha voluto scrivere la prima favola, una di quelle che le era piaciuta di più:

“C’era una volta una bimba bellissima che tutti chiamavano Cioccolatino, perché le piacevano da morire i cioccolatini e ne mangiava tutto il giorno, a colazione, a pranzo, a merenda ed a cena. Non voleva sentir ragioni. I poveri genitori non sapevano più come comportarsi perchè Cioccolatino era ferma ed ostinata nel suo proposito di mangiare solo cioccolatini.
Un giorno Cioccolatino, dopo essersi svegliata, entrò nel bagno, si guardò allo specchio e…lanciò un urlo:- AHHH, mamma, papà. Aiuto aiuto, che mi è successo?-
I poveri genitori accorsero spaventati e trovarono che la loro bimba era diventata proprio un cioccolatino, tutta marroncina, con tante bolle, grossa grossa, con pure i denti marroncini: sembrava un bacio perugina!
La portarono prontamente dal medico il quale chiese:-Cioccolatino, che hai mangiato ieri a colazione?-
– Latte al cioccolato, naturalmente.- Rispose.
-E a merenda?-
-Pane e cioccolato, naturalmente.-
-E a pranzo?-
-Pasta al cioccolato, naturalmente.-
-E a cena?-
-Polpettine al cioccolato, insalata al cioccolato e, per finire, poiché avevo un leggero languorino, tre fantastici cioccolatini, naturalmente.-
-Naturalmente.- Fece eco il dottore.
-Bene, anzi male, tu sei malata di cioccolatite acuta e potresti trasformarti in un enorme budino nero se continuerai a mangiare cioccolatini.
La povera bimba si spaventò.
-Dottore, dottore, la prego mi salvi, farò tutto quello che lei dirà.-
-Dunque, da domani, mangerai le cose che mangiano tutti i bambini, non farai più capricci riguardo alla cioccolata. Ti consento di mangiare, di sera, dopo le preghierine e prima di lavarti i denti, un bel cioccolatino. Ma solo uno, uno al giorno. Un cioccolatino al giorno leva il medico di torno. Va bene? Siamo intesi?-
-Si dottore, uno al giorno.-
Cioccolatino ubbidì al dottore e da quel giorno mangiò un solo cioccolatino, la sera, dopo le preghiere e prima di lavarsi i denti.
Nel giro di due mesi, Cioccolatino tornò ad essere una bellissima bambina dalle guance rosee e dal sorriso smagliante. Era guarita.
Non la chiamarono più Cioccolatino, ma dolcetto, perché era dolce, dolce e tutti l’amavano.”

Fine della favola e Sara tutta orgogliosa gira per casa con la sua prima favola.

-Zia Flo. Martedì vengono due mie amichette a casa. Perché non fai ascoltare anche a loro una favola?- mi chiede la piccola.
– Martedì, va bene, mi libererò, tu prepara le patatine e l’aranciata.-
Ormai sono incastrata: martedì un’altra bellissima favola per Sara e le sue compagne. Devo rinunciare ad un impegno già preso. Che importa? Per Sara questo ed altro.

La sera, prima di addormentarmi, ho aperto un libro che giace da qualche mese sul mio comodino:” L’eleganza del riccio”, un libro molto apprezzato dalla critica. Una mia carissima amica me lo ha regalato dicendo: -Flo è il libro più bello che abbia mai letto e l’ho scelto perché sono certa che ti piacerà tantissimo.-

Siccome è un’amica di vecchia data e conosce i miei gusti, intrapresi la lettura con la speranza di un’emozione. Che delusione, non riuscivo ad avanzare, il racconto non mi piaceva. Alla fine andai a verificare all’ultima pagina come finiva, perché sono troppo curiosa, e lo abbandonai, un pò arrabbiata con la mia amica che non aveva saputo scegliere bene e che forse non mi conosceva poi così bene.

Ho provato a rileggere qua e là, inutile, non mi attira, è troppo pretestuoso.
Lo richiudo e decido di pensare alla favola che racconterò martedì a Sara e alle sue amichette.

-Nonnina, com’era quella favola che mi raccontavi sempre quando ero piccola… non la ricordo, mi piacerebbe raccontarla a Sara…-
…Buonanotte…sognerò una favola.

Flo il direttore
(Fermiamoci a raccontare una favola ai nostri bambini).

Poiché la maggior parte dell’umanità è impegnata a procurarsi il cibo quotidiano tra mille attività ed impegni, non si accorge che un gruppo di saggi è invece occupato a scoprire e a indagare le caratteristiche umane più svariate per poter guadagnare  il più possibile.

Per cercare di spiegare un’affermazione così amara e che può sembrare eccessiva, vorrei partire dalle tesi di un noto professore universitario e scrittore, Christofer Lane, inglese, il quale,  indagando a fondo il mondo della psichiatria e col supporto di una serie di prove, si è convinto del fatto che la psichiatria stia divenendo sempre più creativa e sempre meno agganciata a solide basi scientifiche.

La motivazione di tale creatività, a suo dire, è soprattutto legata a ingenti interessi economici anche di alcune case farmaceutiche.

Il professor Lane infatti, con l’avallo di numerose prove,  sostiene che molte malattie oggi vengono inventate a tavolino per poter poi produrre farmaci risolutori della patologia.

La sua tesi è a dir poco strabiliante, meno strabiliante se si inizia a pensare ai risvolti che possono ripercuotersi sulle persone coinvolte.

Il professore dice che la sua convinzione è legata all’aver letto e studiato tutta la fase preparatoria del DSM.

Ma cos’è il DSM?

Per i più è una sigla perfettamente sconosciuta.

Cercherò di spiegarlo in breve.

Il DSM è il manuale diagnostico dei disturbi mentali, descrive cioè i disturbi e la relativa sintomatologia, cose necessarie ai medici per poter effettuare una diagnosi.

La DSM viene chiamata ‘la Bibbia degli psichiatri‘ ed è quindi conosciuta espressamente da chi si occupa di questa attività.

Dunque, il professor Lane, dopo aver letto, come ho detto pocanzi, la fase preparatoria di questo documento, ha concluso che gli studiosi introducono nuovi disturbi con una superficialità raccapricciante, senza alcun supporto scientifico, senza alcuna sistematicità nella raccolta del materiale ed addirittura con la scelta di materiale ambiguo.

Insomma i documenti che dovrebbero ben appoggiare i disturbi introdotti, il più delle volte sono un pot-pourri con poco senso.

La quinta edizione del DSM si attende per il 2012 e già si sa che ‘i saggi’ vogliono introdurre vari tipi di disturbi quali ad esempio, il disturbo premestruale, il disturbo da apatia, il disturbo da shopping compulsivo e guarda, guarda….la PAS, questa sconosciuta che imperversa nelle aule dei tribunali e fin negli angoli più bui ed angusti dei servizi sociali.

Molti psichiatri non sono d’accordo nel rendere pubblici gli studi preparatori, i dibattiti sulle varie malattie e chiedono che tutto questo avvenga a porte chiuse.

Questo fatto mi insospettisce: i saggi non vogliono che nessuno ficchi il naso nelle loro decisioni, come per esempio ha fatto il professor Lane, perchè sanno che la credibilità di alcuni disturbi poggia sulle sabbie mobili.

Insomma cari lettori, il DSM può diagnosticare la nostra vita, può decidere se siamo malati o no, potremmo addirittura essere messi all’indice in tribunale per malattie immaginarie.

Vi ricordate ‘il malato immaginario’ di Moliere?

Roba vecchia!

Oggi qualcuno dovrebbe scrivere ‘il DSM immaginario’.

Qualcuno griderà allo scandalo, la bibbia degli psichiatri è stata profanata!

E chi se ne importa.

Se i saggi hanno perso un pochino la retta via, la devono riprendere e non si devono far distrarre dai benefici che provengono da impulsi esterni.

Prendiamo una patologia a caso: la PAS ( mica tanto a caso). Ebbene alcuni ricercatori la vogliono introdurre come un vero e proprio disturbo mentale, al pari della schizofrenia, degli attacchi di panico ecc., che insorge solo in un particolare momento della vita: nel contesto delle controversie tra ex coniugi per la custodia dei figli.

Quella che ora è una scuola di pensiero che ha il suo avvio in Gardner, uno psichiatra americano, la si vuole far assurgere a patologia riconosciuta nell’olimpo della DSM.

In realtà la PAS non si basa su osservazioni scientifiche condivise, non può essere spalmata sulle problematiche familiari partendo da semplici pregiudizi, che non hanno alcuna validità ed affidabilità scientifica.

La PAS è una scienza su commisssione di alcuni gruppi  che vorrebbero trovare una soluzione alla problematica degli affidamenti.

La PAS non può divenire lo strumento scorretto da utilizzare contro le donne.

Una pseudo-sindrome che è sulla bocca di tutti nei tribunali e tra gli operatori sociali,  ripeto una pseudo-sindrome sguainata per imporre un punto di vista sull’affido dei figli.

Una pseudo-sindrome che moltissimi importanti psichiatri italiani non conoscono nemmeno.

Solo chi opera e lavora nei tribunali la conosce.

Ed i giudici si lasciano ingenuamente ingannare: non sanno che la PAS, che viene propinata in moltissime relazioni del ctu, in realtà è una favola metropolitana.

Una favola della psichiatria che diviene sempre più creativa, sotto l’impulso delle domande-offerte esterne.

Va detto chiaramente  che né gli psichiatri  né i medici americani hanno finora riconosciuto la PAS come una patologia reale, anche se molti gruppi ed associazioni americane spingono in quella direzione.

Comunque,attenzione a tutti, mi raccomando. Perchè con questa storia della creazione delle patologie, un giorno potremmo tutti trovarci in seri guai.

Ad esempio, in questo istante ho un attacco di shopping compulsivo.

Oddio, mi devo sbrigare ad uscire di casa.

Non si sa mai che qualcuno dovesse sedarmi con qualche medicina inventata ad hoc!

Beh, forse per ora me la cavo, ma dopo il 2012………chi lo sa?

Flo il direttore

Cari lettori, stamattina il piccolo Matteo, novello Davide, è riuscito a difendersi dalle forze dell’ordine e dagli assistenti sociali, novelli Golia (e non è certo un complimento) che sono usciti sconfitti.

Ormai sapete che Matteo vive a Sezze, ne hanno parlato i giornali, speravamo che, dopo l’intervento del senatore Pedica, IDV, dopo che la presidente del Tribunale dei Minori era intervenuta e si era resa conto della situazione, il piccolo fosse in salvo. Matteo infatti nei giorni scorsi aveva ricominciato a seguire con continuità  il percorso didattico con i suoi compagni, aveva ripreso l’attività sportiva e soprattutto aveva ricominciato a sorridere.

Sorridere come sanno fare i bambini felici.

I piccoli infatti hanno una facilità a superare i momenti difficili impressionante e Matteo ne è un ottimo esempio.

Dunque arriviamo al fatto. Stamattina, 11 maggio, il bambino si trovava in classe con i suoi compagni.

Ad un certo punto sono giunti davanti alla scuola 4 volanti delle forze dell’ordine, con 4 agenti a bordo per ciascuna macchina, accompagnate da un pulmino sempre delle forze dell’ordine.

Alcuni di loro sono entrati nella scuola armati, al punto che i bambini in seguito hanno raccontato alle mamme di essersi spaventati.

Il piccolo Matteo è stato prelevato ed è stato ‘invitato’ in una stanza che si è chiusa dietro le spalle di due assistenti sociali della questura di Latina.

Nel frattempo il padre fuori della scuola controllava che tutto procedesse nel migliore dei modi, cioè che Matteo fosse prelevato e portato nella casa famiglia che lo aspetta a braccia aperte.

Grazie a Dio dalla scuola hanno subito avvisato la madre di Matteo, che è giunta con la nonna  in un battibaleno.

Grazie a Dio sono stati allertati i giornalisti, il senatore Pedica ed il presidente del Tribunale dei minori.

Il padre del bambino non ha consentito l’accesso alla scuola alle due donne  che volevano raggiungere il bambino.

La madre ad un certo punto, ormai certa di aver perso suo figlio per sempre ed angosciata per essere impossibilitata a difenderlo, visto tutto quell’armamentario che le stava contro,  improvvisamente si è sentita male ed è svenuta, non prima di essere stata picchiata violentemente dall’uomo.

Grazie a Dio, e lo dico veramente, i giornalisti sono arrivati tempestivamente e sono testimoni di quanto si è verificato.

Totò Riina  doveva essere prelevato.

Ma no, che dico, un bimbetto di un metro e trenta doveva essere preso contro la sua volontà.

Ebbene, sapete cosa è accaduto?

Il novello Davide ha sconfitto Golia.

Cioè Matteo è uscito sano e salvo con le sue gambe, ha resistito, ha pianto, quanto ha pianto, quanto ha pregato, quanto ha lottato per non seguire le due coscienziose assistenti sociali.

“VI PREGO, VERRO’ CON VOI, MA FATEMI SALUTARE PER L’ULTIMA VOLTA LA MAMMA”

“PERCHE’ MI VOLETE PORTARE VIA, LOCAPITE CHE IO SONO UN BAMBINO FELICE CON LA MIA MAMMA?”

“PERCHE’ NON LO CAPITE?”

PERCHE’ NON VOLETE CHE IO STIA CON LA MIA MAMMA?”

Queste le strazianti grida del bambino, queste le richieste di aiuto di Matteo, che i testimoni fuori della stanza raccontano con angoscia.

Mentre scrivo sto piangendo e non me ne vergogno.

Credo che invece si dovrebbe vergognare chi non piange, non si commuove  e non sa capire quale sia la verità: Matteo deve crescere con l’amore l’affetto e la sicurezza della sua mamma.

Non mi dilungo. Matteo ha resistito, piccolo eroe dei bimbi maltrattati dalla giustizia ingiusta.

Finalmente dalla questura è arrivato l’ordine agli agenti, che segretamente spero che parteggiassero per il bambino, di ritirarsi. Nel frattempo è giunta l’ambulanza per la madre.

Termino con un grazie ai giornalisti,  che sono stati splendidi, grazie al senatore che protegge questo bimbo e tutti coloro che sono nella sua situazione. Grazie al presidente del Tribunale dei minori che ha fermato il blitz.

Ora mamma e figlio sono insieme. Il bimbo sta per andare a dormire perchè sono tutti stanchi a casa e non ce la fanno più a stare in piedi dopo questo stress capace di distruggere un cavallo.

DORMI PICCOLINO MIO, DORMI, SEI STATO UN OMETTO”.

Così immagino che gli dirà la mamma rimboccandogli le coperte.

Flo il direttore


Il tema è di grande attualità, è delicato e non sempre affrontato in maniera corretta.

Poichè negli ultimi tempi sono emersi casi penali in cui i testimoni sono i bambini, soprattutto nei casi di abuso verificatisi in varie scuole, in varie parti dello stivale, credo che sia importante domandarsi come si comporta la memoria nei bambini.

Cosa ricordano i bambini?

Già negli USA il problema di come i bambini ricordino, di cosa ricordino e se ricordino in maniera sbagliata è molto importante e determinante soprattutto nei casi di abusi sessuali nei confronti dei minori.

Sappiamo che in alcuni processi non è stato possibile verificare la veridicità o meno delle testimonianze.

Questa problematica purtroppo sta risalendo anche nel nostro paese, a causa di varie denunce di abusi sessuali sui minori, i cui testimoni principali sono appunto i bambini.

Dagli Usa ci arrivano una serie di studi, di articoli che tentano di dimostrare che il meccanismo della memoria, va perfezionandosi nel tempo, con il passare degli anni. Gli adulti quindi avrebbero una relazione più matura con la memoria, cioè i loro ricordi sarebbero più vicini alla realtà, quella dei bambini invece sarebbe meno affidabile.

Le implicazioni di queste conclusioni, possiamo ben immaginare a cosa portino.

Al fatto che i bambini siano ritenuti poco attendibili.

Quindi…fate vobis.

Io oggi vorrei farvi conoscere due psicologi della Cornell University, non certo due pivellini, Charles Brainerd e Valerie Reynas.

Se girate su internet, potrete imbattervi nei loro articoli, ma in lingua inglese.

Ancora nessuno mi sembra abbia tradotto, per i più, i loro studi.

E questo per me è una grave mancanza per la conoscenza nel campo degli studi di psicologia infantile.

Con gran fatica dunque, ho potuto avvicinarmi ai loro studi, che ritengo affidabili, seri ed importanti al fine di contrastare una certa mentalità che si basa non su certezze razionali, ma su teorie a mio parere poco modellate sul reale.

Dunque, i due ricercatori, al termine della loro indagine, sono giunti alla conclusione che la memoria dei bimbi è certamente più ‘limpida’  se rapportata a quella degli adolescenti ed a quella degli adulti.

In definitiva, Brainerd e Reynas sono giunti ad una conclusione assolutamente opposta rispetto ad altri loro colleghi.

Come hanno fatto, cosa hanno analizzato?

I due psicologi sono partiti dal fuzzy-trace theory, cioè si sono avvalsi di un approccio teorico che giunge alla ricostruzione ottimale della memoria partendo da vaghe memorie che si codificano lungo un percorso continuo.

In parole più semplici i ricercatori hanno cercato di indagare e scoprire come si creassero i ricordi nei bambini, nelle varie età.

Si sono avvalsi di due liste di parole, che hanno presentato a bambini di 6, 10 e 14 anni, a pochi minuti l’una dall’altra.

Nella prima lista gli studiosi hanno inserito termini divisi per categorie quali, cose, animali, mobili, frutti.

Nella seconda lista hanno catalogato le stesse parole della prima, ma con l’aggiunta di sostantivi assolutamente nuovi rispetto alla prima lista, ma che appartenevano agli stessi gruppi di significato.

Gli psicologi, dopo aver dato il tempo di ascoltare le due liste, hanno chiesto ai bambini quali parole appartenessero alla prima lista.

Ebbene, è risultato che i bambini più grandi erano quelli che cadevano più facilmente in errore perché erano sicuri che parole presenti solo nella seconda lista, fossero già presenti nella prima.

Perché?

Per effetto della correlazione semantica, cioè per la loro capacità di collegare i significati delle parole: due parole diverse, ma con lo stesso significato.

I due studiosi quindi, in base ai loro studi sostengono che, poiché i bambini piccoli  non hanno ancora sviluppato l’abilità di collegare i significati delle parole, non possono, per conseguenza, creare falsi ricordi né fare errori riportando alla mente avvenimenti accaduti.

Ecco che le conclusioni a cui giungono i due psicologi hanno delle implicazioni veramente importanti, che voglio esprimere attraverso le loro stesse parole:

“POICHE’ QUESTI IMPLICAZIONI SONO FREQUENTI NELLA VITA REALE, L’IDEA CHE LE TESTIMONIANZE DEI BAMBINI SIANO PIU’ FACILMENTE SOGGETTE A FALSE MEMORIE NON E’ PIU’ FACILMENTE SOSTENIBILE”.

Avete compreso bene, cari lettori, la memoria dei bambini è più attendibile di quella di un adulto.

E direi che sia ora di smettere di trattare i bambini come dei trogloditi, degli uomini a metà, che non vanno ascoltati, né tantomeno ritenuti credibili.

IO CREDO AI BAMBINI.

CREDO ANCHE CHE I FALSI ABUSI SIANO IN REALTA’ ABUSI, VERI ABUSI, NON RICONOSCIUTI, PERCHE’ LA PAROLA DELL’ADULTO, CHE HA MOLTE POSSIBILITA’ DI SAPER MENTIRE, HA PIU’ VALORE DI QUELLA DEI BAMBINI.

CHE TRISTEZZA, CHE AMARA VERITA’.

Voglio concludere questa discussione, appoggiando la tesi dei due psicologi, con quello che la maggior parte delle persone vive accanto ai bambini: se qualche volta siete colpiti dalle frasi simpatiche dei bambini e le riportate ad amici o parenti alla loro presenza, avrete più volte verificato che, siete  stati corretti dai bambini stessi perchè non avete riportato le loro stesse parole, ma avete utilizzato dei termini assonanti dal punto di vista semantico, che loro non hanno riconosciuto. I bambini hanno dunque pensato che voi aveste mal ripetuto le loro frasi.

Questo con i bambini piccoli succede spesso. Loro, non conoscendo altre terminologie, richiedono che i loro discorsi siano riportati utilizzando le loro stesse parole.

In conclusione:

I ricordi dei bambini hanno ampia possibilità di essere veritieri, nei casi di abuso, purtroppo, e sottolineo purtroppo, possono essere veritieri.

I bambini vanno ascoltati, veramente, nella maniera più idonea e smettendo di pensare che la fantasia o gli incubi condizionino la loro visione di ciò che è reale.

Flo

Maria ha diciotto anni, è piccola, bionda, col nasino all’insù ed un’espressione sempre imbronciata. Due occhi che, anche quando ride, piangono.

E’ uscita presto da scuola , dopo le prime due ore di assemblea d’Istituto, ha lasciato le sue amiche e si è incamminata da sola, verso l’autobus che la riporta a casa. Non aveva voglia di ascoltare le chiacchiere allegre, non aveva voglia di parlare di ragazzi e fingere di essere felice e spensierata.

La mattina sua madre armeggiava con la lavatrice che non funzionava, altri soldi da pagare per l’idraulico, soldi che non bastano mai.

Pazienza, aveva pensato tra sé, anche stavolta devo rinunciare alla gita scolastica a Praga. Intanto era uscita di casa lasciando la madre che borbottava a più non posso che non ne andava mai bene una.

E’ strano, ma quella lavatrice a cui adesso stava pensando mentre percorreva il lungotevere, le aveva innescato un tale sconforto che il cuore sembrava le si spaccasse. Cominciò a piangere, un pianto incontenibile, tutte le lacrime represse, ricacciate  con forza. Le lacrime di una vita.

Una lavatrice le aveva ricordato che la sua storia stava andando a rovescio.

Tutto non funzionava più nella sua vita, inutile fingere.

Maria decide di non proseguire verso la fermata dell’autobus, ma di attraversare il ponte e scendere fino al Tevere, sull’isola Tiberina. Lascia cadere lo zaino e vi si siede vicino.

E’ una bellissima giornata di sole, come solo Roma sa donare, volge il volto umido per lasciarsi inondare di luce.

Altro che lavatrice, altro che soldi che mancano sempre, altro che madre sempre a pensare come cavarsela, perché non c’è un’anima che ti dia un aiuto.

Maria in realtà piange per suo fratello, il suo amato fratellino di cinque anni più giovane, lontano da lei, lontano dalla madre, lontano …in casa famiglia.

Non ce la fa Maria a sopportare il dolore di stare distante da lui, ma soprattutto di sapere che sta male che è infelice.

“Io mi ammazzo, mi ammazzo, se sto ancora lì dentro mi ammazzo!”

Queste le frasi che ancora le risuonano, questo il grido d’angoscia profonda di suo fratello Luca, la sera prima quando, dopo aver trascorso la domenica a casa con lei e la madre, doveva per forza o con la forza ritornare in casa famiglia.

Vergognoso, ma ancora più vergognoso non avere uno straccio di possibilità di aiutarlo, nessuno che ascoltasse la loro disperazione.

Maria sente crescere dentro di sé un odio, così profondo, così viscerale da non riuscire ad immaginarlo staccarsi da sé, un odio verso tutto e tutto. Odio verso il mondo intero e pure verso Dio.

Dio lassù, ti ricordi che noi siamo quaggiù in balia di gente senza cuore, senza scrupoli senza ragione?

Maria piange.

Piange per sua madre, una donna sola, abbandonata, trattata come una cosa inutile , una pezza.

Piange per il padre che le è capitato, non riesce neanche a sopportarne il ricordo, tanto i conati di vomito la soffocano.

Un padre che ha distrutto tutto: amore, onore, rispettabilità, sacralità.

Un padre che ha giurato a sua madre di fargliela pagare, che è riuscito ad ingannare tutti, anche la legge, al punto da riuscire ad avere in affido, anni fa, lei e suo fratello.

Perchè lui rispettabile all’esterno lo era e lo è davvero. Povero marito, pensava la gente, quante storie racconta sua moglie, un uomo così amabile….

Quanto aveva pianto quando l’avevano allontanata da sua madre, quanto l’aveva odiata e giudicata perchè non era riuscita a tenersi i suoi figli!

Quanto l’aveva odiata quando non aveva saputo difenderla dalle mani sporche di suo padre

Maria non piange più ora, lo sguardo fisso avanti, le mascelle rigide.

Qualche giorno prima era andata a casa di una sua compagna di classe. Frequentava spesso la sua casa, le piaceva molto l’aria che si respirava. Le piaceva soprattutto il padre della sua amica, così affettuoso, abbracciava la figlia, la coccolava, rideva di lei e poi salutava tutti e ritornava al suo studio notarile.

Ma veramente era un bravo padre, si domandava, o era come il suo, che ormai grazie a Dio, non frequentava da anni?

La sua amica sembrava contenta, adorava suo padre e parlava di lui spesso. Ma la sua esperienza personale la portava ormai a dubitare  di tutto e di tutti, a pensare che non esistessero le persone buone, le persone vere.

Anche ora, lì sulla riva del Tevere, Maria viene rapita dalle coppie che camminano portando i loro figlioletti in braccio o in passeggino. Forse sono stranieri in vacanza. Osserva un padre alto, giovane e biondo che rincorre il figlio, lo prende, lo solleva e lo riempie di baci, lo riporta alla madre ed abbraccia anche lei.

Osserva anche un altro uomo che stringe un batuffolo rosa, come fosse un trofeo ed intanto si gode il panorama con la moglie.

Maria si stupisce sempre del fatto che tutti gli uomini che incontra con lo sguardo siano persone normali.

Non come suo padre, che ha inquinato, deturpato, sfigurato, la bellezza della vita.

Della sua vita.

Un giorno era riuscita a raccontare tutto a sua madre, non sapeva neanche con che coraggio, le aveva sputato tutto in faccia, con rancore, per farle ancora più male.

Sua madre l’aveva portata  a parlare con un esperto, ma nessuno le aveva creduto. Incredibile, avevano pensato che sua madre l’avesse costretta a raccontare calunnie per riprendersela in casa con sé.

Tutti erano assolutamente convinti che sua madre accusasse il padre per rendergli la vita impossibile e che avesse la denuncia facile a causa della forte conflittualità con lui.

Ma lei non era comunque e per fortuna, mai più tornata dal padre, aveva puntato i piedi, fatto il diavolo a quattro. Alla fine il padre stesso aveva detto che era lui a non volere più quella bugiarda in casa e l’aveva cacciata.

Bugiarda! Come avrebbe voluto che fosse stato vero il fatto che avesse inventato tutto. Finalmente avrebbe dormito tranquilla, non avrebbe avuto incubi terribili ogni notte, che la facevano svegliare affranta, sudata e dolorante.

Suo fratello invece era rimasto col padre, non aveva mai saputo perché lei se ne era andata.

Ma due anni fa, gli assistenti sociali decidono che è il caso di seguire da vicino Luca e di allontanarlo dal padre.

Lo portano a forza, tanto non ci si può ribellare, in una casa famiglia.

Per quasi due anni Maria non ha più potuto rivedere suo fratello, neanche a sua madre è stato consentito, se non per brevi momenti.

Luca si domandava il perché di quello che gli stava capitando e il perché se lo domanda ancora adesso.

Solo da qualche mese è stato consentito a Luca di riprendere a tornare a casa del padre per il week end e la domenica pomeriggio fino a sera a casa sua e della madre.

Maria sorride inavvertitamente, lo sguardo si distende, suo fratello è un simpaticone. Che gioia poterlo riabbracciare, bisbigliare chiusi nella loro camera, raccontarsi anche le favole, sognare di essere sempre insieme. Quanto ride suo fratello insieme a lei!

Quanto è bello suo fratello,  il volto dai lineamenti delicati.

Gli dice talvolta “quanto sei bello! Non era meglio che nascessi io così affascinante, visto che sono donna?”

Poi gli scompiglia i capelli e lo abbraccia stretto stretto. E lui si lascia coccolare, si lascia prendere in giro.

Abbracci lunghi, sinceri, belli, puliti, abbracci tra fratello e sorella, abbracci forti che devono bastare per gli interminabili giorni della settimana, per le ore ed i secondi, in cui delle persone che non c’entrano nulla con la loro vita, li tengono divisi senza pietà.

Senza umanità.

Che dolore lasciarsi la domenica sera, riportarlo insieme a sua madre  in quell’orribile posto, in quella prigione dei desideri familiari.

Che dolore stringerlo ancora, per l’ultima volta, vederlo incamminarsi, magro ed esile, per gli stenti a cui è sottoposto, verso il portone verde dell’istituto.

Che dolore fingere sorrisi e saluti gioiosi, mentre dentro Maria vorrebbe solo decidere di farla finita con la vita.

Però, quando torna a casa, in quella sua casa silenziosa senza la voce di suo fratello, quando si addormenta, quella è l’unica notte in cui non sogna mostri e, se si sveglia, si rigira nel letto, allunga la mano verso il letto del fratello assente e si riaddormenta al ricordo degli abbracci e delle frasi sussurrate: “Luca, un giorno andremo a vivere insieme. Vedrai, troveremo un lavoro, saremo felici, avremo tanti amici e saremo finalmente sempre insieme”:

Luca: il primo periodo in casa famiglia per lui è stato terribile.

Via il cellulare, che ci devi fare, non puoi chiamare.

Via il computer, no ,no, con chi devi chattare?

Via le uscite con e senza permesso.

Le porte si chiudono a chiave, se vuoi uscire per andare a trovare degli amici o semplicemene per fare una passeggiata nel quartiere, non è possibile: potresti fuggire.

Luca si trova in prigione. Perché solo una prigione può tenerti contro la tua volontà, altrimenti, se la porta fosse aperta, Luca avrebbe salutato tutti, arrivederci a mai più e sarebbe tornato a casa.

Gli operatori sono molto giovani, non sono sposati, non hanno figli.

Sono giovani, ma inflessibili.

C’è un mondo in casa famiglia. Ci sono ragazzi di tutte le nazionalità, di tutti i tipi, ce ne sono alcuni che sanno usare bene i coltellini per taglieggiarti. Bisogna stare attenti in casa famiglia.

Maria pensa a suo fratello: così ordinato, meticoloso nelle sue cose. Chissà quanto ha sofferto nel non poter avere un’intimità neanche rispetto ai sui oggetti personali.

Luca non ama mangiare certi cibi, è stato sempre un poco schizzinoso.

Ebbene lo hanno costretto a mangiare quello che passa il convento. Non mangi? Che problema c’è. Vai a letto senza cena.

Non mangi quello che si trova nel piatto? E chi sei, il figlio del re? Per punizione,  sei pregato di lasciare sul tavolo l’uovo di Pasqua che ti ha mandato tua madre.

Il suo amato uovo di cioccolato di cui è così ghiotto.

Maria non ha ragione di dubitare dei racconti del fratello: lui l’uovo non l’ha mangiato, se lo sono divisi tra loro gli operatori.

Così per ogni cosa: se non ubbidisci, stai attento che ti leviamo gli spazi di libertà.

E così Luca, tutto il suo disappunto l’ha riversato sulla scuola. Luca è una frana. Si è lasciato bocciare lo scorso anno e di nuovo lo sarà quest’anno se continua a non studiare.  Non è che prima fosse un grande studioso, ma adesso era peggiorato sicuramente.

Luca è disperato. Vuole lasciare la casa famiglia, vuole riappropriarsi della sua libertà, del diritto di frequentare i suoi amici, di vedere sua madre e sua sorella.

Luca non può e ha pensato di morire.

Luca vuole farla finita. Il suo è un grido di angoscia.

Ma è anche una richiesta di aiuto: fate qualcosa per me, sembra dire.

Maria ha il cuore stretto dall’ansia. Come può aiutare suo fratello?

Perché la verità è che nessuno li ascolta.

Perché le assistenti sociali non credono a sua madre, perché la considerano una donna che farebbe di tutto, anche usare i suoi figli, per far del male al suo ex marito? Possibile che non riescano ad uscire dai loro schemi e a guardare le persone con gli occhi dell’obiettività?

Una nuvola ha coperto il sole, che non riesce più ad asciugare le lacrime sul suo bel volto. Maria comincia a sentire freddo, si stringe il golfino , tira su di naso.

Fratello mio, devi vivere, ce la dobbiamo fare, abbi pazienza, sii coraggioso. Non può essere per sempre, non possono tenerti sempre rinchiuso come un cane senza diritti, come uno schiavo dello stato.

Fratello mio resisti, non buttare la tua vita, non farti del male per farla pagare a chi ti fa del male.

Fratello mio, combatti per te, per me, per nostra madre, che non ha potuto difenderci e che continua a lottare come una leonessa nonostante l’abbiano distrutta.

Maria sente il desiderio di parlare con Luca, sente che c’è bisogno di guardare avanti, che Luca deve avere la prospettiva che la prigionia finirà e che troverà lei e sua madre ad attenderlo.

Sale la scalinata e va verso il pullman che la riconduce a casa.

C’è sua madre che l’aspetta, la sua mamma forte e bella. Pazienza per la lavatrice, si aggiusterà e si tirerà un pò la cinghia.

Si, farà un bel sorriso a sua madre.

Dai mamma che ce la faremo. Anzi, pensiamo a qualcosa di divertente da fare per il week end prossimo, quando verrà a casa Luca.

“Luca, fratellino mio, coraggio ce la faremo “.

Luca non ammazzarti, resisti.

Flo il direttore

Di ritorno da due giorni di vacanza, di prima mattina, mi sono aggirata per casa, con l’intenzione di chiudermi al mondo, di spegnere telefoni e telefonini  e di dedicarmi alla lettura di un buon libro.

Mi piace ogni tanto nascondermi, dedicarmi una giornata, andare a vedere una mostra tutta sola, infilarmi in una libreria o scappare verso un rifugio  vicino al mare, che amo molto. Ogni tanto ci vuole, anche per ‘far riposare la voce’, perché, come ogni donna, parlo sempre: gli uomini dicono sia un difetto, noi donne pensiamo sia un pregio.

Stamattina dunque, mentre cercavo nella mia libreria un romanzo comprato da poco, mi sono imbattuta in una collana di libretti di Schopenhauer.

L’arte di amare le donne“….mi attrae il titolo di un volumetto che mi fu regalato tanti anni fa e mi sono messa a sfogliarlo distrattamente  dimenticandomi di cercare il romanzo.

Di Schopenhauer conosco tanto per averlo studiato all’università e di quel libretto mi sono tornati alla memoria alcuni lessemi che mi erano penetrati indelebilmente nella mente.

Non amo molto questo pensatore conosciuto come uno dei ‘filosofi del sospetto’, un tipo un poco negativo per i miei gusti, uno che pensa male di tutto e di tutti, che ha tentato di distruggere persino Dio. Un pessimista coi fiocchi, insomma. Molti che l’hanno letto, lo hanno trovato geniale e lo hanno seguito nel suo scetticismo  e nelle sue idee velenose.

Io me ne sono ben guardata, ma studiarlo si, l’ho fatto per dovere.

“L’arte di trattare le donne ” però è un libretto simpatico in cui il filosofo utilizza il meglio di sé per dimostrare tutta la sua misoginia, il suo rancore ed il suo odio nei confronti delle donne.

Consiglierei di leggerlo e poi, per ripicca, appallottolarlo per farci un bel lancio a mò di pallone. Oppure riporlo nello scaffale più alto e tenerlo nascosto tra le cose meno gradite.

Fate vobis.

Comunque mi è venuto in mente di farvene conoscere qualche pillola, cari lettori, per farne l’uso che desiderate.

Arthur Schopenauer  però, poverino,un pò di ragione ce l’aveva: era stato segnato in gioventù da una vita dolorosa che lo ha portato e credere che tutte le donne fossero come sua madre.

Il padre di Arthur morì suicida, quando lui era un fanciullo e sua madre, Johanna, una donna con grandi ambizioni letterarie, a Weimar, riunì intorno a sè un circolo letterario che la occupava molto.

Soprattutto, ciò che le prendeva più tempo era un giovane amante di cui Arthur ovviamente fu all’inizio scandalizzatissimo, poi gelosissimo.

Il padre era da poco sepolto nella fossa e già la madre si dava alla pazza gioia senza neanche rispettare un tempo decoroso di lutto.

La verità era che Johanna si sentiva finalmente libera dai lacci prima del padre, poi del marito e, non era disposta a rinunciare alla sua libertà neanche per i figli.  Arthur provò in tutti i modi a farla desistere dal suo atteggiamento che mal si confaceva a quello di una madre attenta ed amorevole, cercò di riconquistare con ogni mezzo le attenzioni della genitrice nei suoi confronti, ma non vi riuscì.

Maturò così una tale avversione per la madre, che scaturì in un odio viscerale nei confronti di tutte le donne e del mondo intero.

Certo fu sempre affascinato dalle donne, ma collezionò una tale marea di delusioni, che la sua misoginia divenne una sua caratteristica e lo portò a disseminare nei suoi scritti  così tante definizioni negative su di esse, che non sono sfuggite agli studiosi e che sono poi state raccolte nel volumetto che ho tra le mani.

“Il sesso femminile…può essere stato chiamato bel sesso soltanto dall’intelletto maschile obnubilato dall’istinto sessuale: in altre parole, tutta la bellezza femminile risiede in quell’istinto”.

Insomma Arthur ha da ridire anche sulla belle zza femminile, ma questo è il minimo.

Le donne sono il secondo sesso, che da ogni punto di vista è inferiore al sesso maschile…“. Qui Arthur parla chiaro!

“Con le donne la natura fa un colpo da maestro:riunisce in esse tutta la bellezza…per attirare gli sguardi degli uomini….e li manda in rovina (gli uomini)”.

La vanità della donna…unita alla sua scarsa intelligenza, rende la donna incline allo sperpero“.

“…la donna nuota a suo agio nella menzogna”. La falsità e la menzogna dunque sono i gioielli delle donne, sempre secondo Arthur.

“Quando le leggi concessero alle donne gli stessi diritti degli uomini, avrebbero anche dovuto munirle di un’intelligenza maschile.”

Avete ascoltato che pensa Arthur? Credo che oggi abbia ancora molti seguaci in questo senso.

Sentite questa: “Le donne hanno sempre bisogno di un tutore; perciò in nessun caso dovrebbero ottenere la tutela dei figli”.

Incredibile: un precursore dei tempi moderni di certi tribunali!

O voi, esperti del settore, voi che con grande facilità consigliate di allontanare i bambini dalle loro madri per farli entrare in una vera casa: la casa famiglia. Vedete , in Arthur trovate un autorevole appoggio! da oggi in poi potreste servirvene per mettere a tacere tante mamme, che sono così petulanti nel chiedere il diritto di crescere i propri figli!

Potrei continuare con altre dotte esternazioni sulla scarsa bellezza, lo scarso genio delle donne, concludo invece con una frase che fa capire quanto le donne siano poco intelligenti:

“Massa di cascamorti che non siete altro…non vi siete ancora accorti che esse…spesso hanno spirito, per caso hanno genio, ma intelligenza mai?”

Care donne, insomma, usate le vostre armi di seduzione per irretire il genio maschile (meschino!), non siete capaci di allevare i figli e per giunta non siete state dotate di intelligenza.

Mamma mia, tanti anni di studio, dunque non sono serviti a nulla?

Ed io che mi credevo così intelligente, in grado di conversare piacevolmente con uomini e donne, in grado di formarmi un pensiero personale, in grado di analizzare una questione qualsiasi.

E tutte le mie amiche, così care, belle, intelligenti, simpatiche, scherzose, forti, bravissime mogli, bravissime madri, bravissime cuoche (non guasta mai!)?

Mi sa caro Arthur che ti sei sbagliato proprio tanto e, come te, tutti coloro che ti hanno ascoltato.

Sai che faccio?

Ti ripongo nello scaffale in alto, in seconda fila e ti nascondo dietro a un libro di una gran  donna: Teresa d’Avila, da cui andavano molti  uomini importanti per chiedere consiglio.

Bene, arrivederci Arthur, a mai più sentirci. Torno a cercare quel bel romanzo d’amore appena comprato!

Per sognare un pò.

Flo il direttore


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