Mamme Coraggio

Giovedì 10 marzo, alle ore 16.00 un gruppo di mamme che hanno avuto le proprie figlie assassinate. saranno invitate in Senato, per presentare, durante una conferenza stampa, un DDl, in cui si chiederà la certezza della pena per coloro che saranno giudicati colpevoli di omicido. Queste mamme chiederanno che gli assassini facciano tutta la pena detentiva, senza usufruire di sconti e benefici e senza poter ottenere gli arresti domiciliari.

Chi ha tolto la vita deve avere una  condanna  adeguata e deve scontarla tutta.

I parenti delle vittime, che  sono condannati ad un dolore a vita, devono vedere che la giustizia compia il suo corso.

Tutti coloro che credono in questo e vogliono appoggiare queste mamme, sono invitate ad intervenire.

Lasciate le vostre comode poltrone….e venite a dare il vostro appoggio ed il vostro contributo se desiderate una giustizia giusta.

Ricordate, giovedì 10 marzo  dalle ore 16.00 alle 17.30

Flo

2009: 119 donne.

2010: 117 donne, fino ad oggi.

Una sequenza impressionante di donne a cui è stata tolta la vita in modo violento.

Occhi azzurri, verdi, occhi bruni. Chiusi ormai alla vita prematuramente.

Nei giorni scorsi  ne ho cercato i volti sul web.

Poche foto, qualche articolo, spesso anche le immagini degli assassini: fidanzati respinti, mariti, conviventi. Per lo più parenti.

E poi ci sono anche coloro che rimangono: padri, madri, fratelli, che non possono rassegnarsi alla perdita.

Chiusi nel dolore, nella rabbia, nella pena, con una domanda impellente e sempre latente:”Perché?”.

Questo ‘perché’ riempie le loro giornate, accoglie le loro lacrime.

Molti soccombono al dolore e si lasciano andare.

Depressione, malattie, i giorni non hanno più luce, il senso ddell’esistere si è smarrito.

Perché i parenti delle vittime sono vittime esse stesse.

“I poveri genitori hanno bisogno di un percorso di recupero, dopo la tragedia che li ha colpiti. Molti non hanno i mezzi, ma è importante che inizino un percorso terapeutico con uno psicoterapeuta esperto. Non c’è attenzione a questo aspetto assai importante…mentre i detenuti,nel carcere, compiono un percorso di terapia a livello psicologico. Gratis. Gratis lo psicoterapeuta, gratis le cure mediche…tutto gratis.Attenzione al detenuto, nessuna cura dei parenti delle vittime, che sono vittime esse stesse…”

Queste le parole della dottoressa in psicologia Imma Giuliani, Presidente di “Progetto vittime”, una realtà nata proprio per portare cura e sostegno ai parenti delle vittime.

Perché questi  debbono imparare a convivere col dolore, con gli immancabili sensi di colpa, con i se e con i ma, col quotidiano che diviene estraneo.

Debbono combattere per alzarsi al mattino, debbono cercare in ogni ora, nuove ragioni di vita.

Debbono riuscire a superare la notte, fuggendo gli incubi e le ombre.

E mentre cercano disperatamente di lottare per tornare alla vita, si consumano i processi penali che vedono gli assassini sul banco degli imputati.

Quasi sempre, i presunti colpevoli negano, anche di fronte alla più evidente evidenza.

Mostrano le loro lacrime, i loro valori, le loro medaglie morali, sotto le quali nascondono la loro disumanità.

Talvolta si dichiarano incapaci di intendere e di volere.

Ed i giudici emettono la giusta sentenza, con la doverosa ed appropriata condanna.

Ma poi accade che la condanna termini con un delicato esercizio matematico, che richiede grande competenza nelle operazioni di sottrazione.

E sottraendo, sottraendo, un pò di quà, un pò di là, neanche si parlasse di saldi stagionali, la pena da scontare passa irrimediabilmente, da un numero di anni, forse accettabile, a pochi anni di carcere.

E mentre si sottraggono gli anni di detenzione, aumenta in modo esponenziale il dolore dei parenti delle vittime, che oltre ad aver perduto la propria ragazza, sentono che la Giustizia Italiana non ha fatto giustizia.

Di fronte a tale situazione di giustizia ingiusta, di giustizia inefficiente e con falle giuridiche impressionanti,  alcune mamme, hanno alzato gli scudi ed hanno detto che basta, che così non può essere, che le cose vanno cambiate.

E da anni lottano, affiché venga affermata nella giurisprudenza italiana, la convinzione che per alcuni tipi di reati, la pena debba essere certa e senza sconti.

C E R T E Z Z A   D E L L A  P E N A.

Pe r questo motivo hanno presentato, il 27 maggio 2010 un Disegno di Legge che è stato sottoposto all’attenzione del Vice Capo Vicario del Gabinetto Dott. Roberto Piscitello.

Il Deputato Del PDL Marinello Giuseppe  Francesco Maria ha promesso di veicolarlo in Parlamento, ha promesso che la proposta di legge non rimarrà carta straccia, chiusa a marcire in uno dei tanti cassetti di Montecitorio.

In breve le richieste del Disegno di Legge vertono intorno a 6 punti, importanti e basilari, che possono essere riassunti come segue:

  1. DIVIETO DI PREVALENZA DELLE ATTENUANTI GENERICHE SULLE AGGGRAVANTI IN CASO DI OMICIDIO VOLONTARIO.
  2. CUSTODIA OBBLIGATORIA IN CARCERE.
  3. DIVIETO DI ACCEDERE AL GIUDIZIO ABBREVIATO.
  4. POSSIBILITA’ PER LA PARTE CIVILE DI RICORRERE IN CASSAZIONE.
  5. ACCESSO AI PERMESSI PREMIO E ALLA SEMILIBERTA’ SOLO DOPO AVER ESPIATO IN CARCERE I 4/5 DELLA PENA.
  6. DIVIETO DI BENEFICIARE DELLA DETENZIONE DOMICILIARE.

Le gravi falle del sistema giudiziario italiano, la crisi che attraversa il diritto, sempre volto a difendere la presunzione d’innocenza, purtroppo conducono, nella pratica, ad una eccessiva difesa dei diritti del reo  e ad una incapacità di operare per una giustizia efficiente.

Attualmente, infatti, i colpevoli ottengono le attenuanti generiche e se ne servono per ricevere pene meno severe;  hanno accesso ai permessi premio ed alla semilibertà dopo aver scontato poco tempo di pena detentiva; non sempre vengono custoditi in carcere; possono accedere al rito abbreviato, con quindi la iniziale consapevolezza di precisi ed abbondanti sconti di pena, che partono già da 1/3 in meno;  beneficiano spesso della detenzione domiciliare.

E contro tutto questo, i parenti delle vittime non possono ricorrere in Cassazione.

Che il Disegno di Legge passi è molto importante, perchè giustizia sia fatta.

Lo chiedono con forza, Clementina Iannello, mamma di Veronica Abbate, letizia Lopez, sorella di Maria Rosaria Lopez, Letizia Marcantonio, mamma di Rossana Wade.

Ed anche noi dobbiamo appoggiare la loro proposta, che non deve essere né di destra né di sinistra, che non deve avere colori politici.

E se colori politici deve averne per forza, che siano tutti, tutti i colori di tutte le parti politiche.

E se posso osare, credo che, per certi delitti e per certi assassini, la chiave del carcere debba essere buttata ai pescecani.

Perché non è possibile non dare sostegno alla richiesta della certezza della pena per il reo che distrugge ineluttabilmente una vita.

Perché deve essere promossa la cultura della vita, non quella della morte.

E’ chiedere troppo?

FLO

A metà novembre, quindi solo pochi giorni fa, c’è stato un importante convegno dell’Aogoi, l’Associazione Ginecologi ed Ostetrici Ospedalieri Italiani, che ha affrontato una tematica alquanto spinosa e delicata, quella della violenza sessuale sulle donne, toccando, senza alcun timore, tutte le problematiche ad essa legate e producendo un valido aiuto per tutti gli operatori.

La dottoressa Valeria Dubini, che è la vice Presidente dell’Aogoi, ha dato grande impulso alla discussione, affermando che la violenza sessuale è un’emergenza assolutamente chiara.

Tale sua osservazione è molto importante, perché dà un valido sostegno a tutti coloro che lottano affinché il tema della violenza sulle donne venga trattato con la dovuta sensibilità ed accortezza, sgombrando il campo da ogni forma di negazionismo, che da più parti imperversa ad inquinare tutte le attività e le forze volte ad aiutare le donne violate.

La dottoressa ha aggiunto che i ginecologi italiani, alla luce della loro esperienza quotidiana sul campo, ritengono di primaria importanza non abbassare la guardia ed acquisire sempre maggiori competenze per intervenire in qualità di medici riguardo alla violenza sessuale.

Durante il convegno, i ginecologi si sono posti il problema di come mettere un argine ed hanno redatto il primo manuale che, dalla A alla Z, descrive l’iter medico  per una paziente abusata.

E’ emerso infatti che le conseguenze di una violenza sessuale, a livello fisico e psichico, posson essere, anzi sono, devastanti e distruttive.

E’ stato messo in evidenza che l’e81% delle donne che si sono suicidate, erano persone vittime di abusi.

Inoltre le donne violate, presentano disturbi fisici importanti, che vanno dalla sindrome post traumatica da stress, a seri disturbi del sonno, a problematiche alimentari piuttosto gravi ed alla pericolosa tendenza ad isolarsi socialmente.

I ginecologi, al convegno, hanno chiarito di essere in prima linea nella lotta alla violenza sulle donne, che va dagli stupri allo stalking, e di voler essere sempre più attivi.

Sempre la dottoressa Dubini, ha sottolineato come, comunque, nonostante la grande forza messa in campo, in Italia si è ancora molto indietro su queste tematica , ed il personale sanitario non è amcora all’altezza di seguire con accuratezza le donne violate.

La dottoressa non ha quindi nascosto che, a fronte di un largo impegno da parte dei ginecologi italiani, ci sono gravi difficoltà da risolvere per fornire un valido aiuto alle vittime.

Bisogna infatti avere come priorità assoluta un personale sanitario preparato, bisogna anche offrire strutture adeguate ed attrezzate.

Purtroppo gli esempi di eccellenza in questo campo sono alquanto pochi.

Come esempi positivi possiamo citare la clinica Mangiagalli di Milano che ospita un pronto soccorso ostetrico ginecologico SVS (Soccorso Violenza Sessuale domestica), che è attualmente sotto la guida e la responsabilità della professoressa Alessandra Kustermann.

In tale punto ospedaliero, le vittime possono trovare un servizio con personale specializzato 24 ore su 24, sia dal punto di vista strettamente sanitario che da quello psicologico e legale.

Anche al S. Carlo, sempre a Milano, particolare attenzione viene rivolta alle emergenze causate dai numerosi abusi che avvengono in famiglia, attraverso l’attivazione dell’ambulatorio ‘Soccorso Rosa’, attivo da tre anni e che opera con grande solerzia e, purtroppo, sempre più spesso.

Ora, mi domando…. se il sistema sanitario italiano, sente la coscienziosa esigenza di poter intervenire in modo corretto e competente, unendo le forze mediche, psicologiche e legali, questo significa che il problema esiste ed è sempre più grave.

Questo vuol dire che molte donne si rivolgono alle strutture sanitarie, anche quando non vorrebbero, per questione di privacy, perchè costrette da problematiche fisiche serie ed evidenti.

Questo vuol dire che le donne non fingono abusi e violenze, come da più parti si vuole far credere.

Questo vuol dire che l’attenzione deve essere massima.

Un’attenzione che purtroppo è abbastanza recente.

Non dimentichiamo che fino agli anni settanta non esisteva la legge sui maltrattamenti familiari.

Non dimentichiamo che, in Italia, fino al ’96 gli stupri e gli abusi sessuali erano considerati delitti contro la morale e non contro la persona.

Non dimentichiamo che solo nel 2009 si è legiferato sullo stalking e che ancora oggi molti giuristi pensano che le norme sullo stalking non servano, che siano un’esagerazione, un’overdose legislativa.

Nonostante si stima che siano 2 milioni 77 mila le donne che  subiscono lo stalking.

Per affrontare il problema , per offrire una migliore competenza sanitaria è stato messo a punto un manuale che sarà consegnato ad ospedali e consultori, dal titolo: “Violenza contro le donne, compiti ed obblighi del ginecologo”, (ed. Editeam), con la prefazione firmata dal ministro per le pari oppportunità Mara Carfagna.

Ma al convegno Aogoi, è stata resa pubblica un’importante indagine Istat, effettuata su un ampio campione di 25000 donne, con interviste telefoniche, che ha prodotto risultati sconvolgenti.

Uno dei dati più preoccupanti proviene dalla città di Milano che è risultata essere il luogo in cui vengono denunciati più stupri.

Pensate che, nel solo anno 2009 sono stati denunciati a Milano 480 stupri, più di uno al giorno.

In Italia, è emerso che solo l’8,4% degli stupri viene denunciato, soprattuto per il fatto che per la maggior parte, i violentatori sono partner, ex o familiari.

Solo il 6,2% delle violenze è opera di un estraneo.

Questi dati la dicono lunga anche su come i mass media ci propinano le notizie.

Infatti, chiunque si basi sulle notizie televisive  per avere un quadro della situazione, potrebbe pensare che in Italia le violenze siano opera soprattutto di extracomunitari.

Ora, risulta chiaro a tutti che molti siano i casi di stupri ad opera di stranieri, ma se andiamo a considerare i dati Istat, l’attenzione andrebbe canalizzata anche sull’altro 93,8% di stupri intrafamiliari.

E di questi se ne parla poco.

Di questi e del problema della certezza della pena…ma questa è tutta un’altra storia.

Comunque l’indagine Istata presenta altri dati che fanno riflettere e spostano il quadro del nostro immaginario collettivo rispetto alle violenze…

Le donne vittime di abusi sessuali o stupri sono nel 45% dei casi donne divorziate, con una laurea e con lavori di responsabilità.

Nel 64% dei casi abitano al centro-nord.

Tali dati ci dimostrano che il ventaglio della diffusione della violenza sessuale sta mettendo radici su diversi livelli di stratificazioni sociali.

Le donne che dovrebbero essere meno soggette a tale problematica, che dovrebbero essere più capaci a difendersi e con una possibilità economica maggiore per poter essere indipendenti, purtroppo non risultano essere, attenendoci ai dati, così capaci.

Anche le cosiddette donne in carriera mostrano fragililità a livello personale, insicurezza relazionale e quindi possibilità di divenire vittime di violenze intrafamiliari.

Consideriamo anche, che esse sono sempre più sole e sempre meno protette dalla famiglia d’origine per l’impianto della famiglia mononucleare, che è andata sostituendosi a quella patriarcale…

Donne sempre più sole in città sempre più affollate.

Sole con le proprie problematiche di violenza familiare, sole a difendersi ed a difendere i propri figli dalla ferocia dei violenti.

Il convegno ha dato voce alle tante donne che i ginecologi hanno potuto avvicinare e curare nelle loro necessità fisiche.

Donne stuprate nel corpo e nell’anima.

Donne deturpate da una guerra il cui campo di battaglia è il loro corpo e la loro anima.

Donne sfregiate, delle cui ferite non si trova la fine.

Io ne conosco di donne così….

Ed è doloroso sostenerne sguardo.

FLO

Circa due settimane fa, apprendevo con sgomento, che don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter onlus, che da oltre vent’anni si occupa di infanzia violata, ha reso pubblico il fatto che, in meno di un anno, circa 65.000 bambini sono stati abusati sessualmente.
65.ooo bambini.
65.000 piccoli, con un’età compresa dai pochi giorni di vita a circa dodici anni, che hanno subito l’indicibile, direi l’impensabile, per gente normale.
Indicibile ed impensabile, perchè se non hai mai visto filmati a cui sono abituati i pedofili, fantasia e pensiero si rifiutano di indagare ed esplorare.
65.000 vittime, nelle mani di un numero altrettanto spropositato di pedofili.
Pedofili…criminali, detrattori di umanità.
Lerci…sozzi fin nelle ossa e nei più reconditi anfratti della loro psiche imbrattata di lurido sudiciume.
Defecatoi dell’umanità, escrementi….come altro definire i pedofili, veramente non saprei.
Non bisogna aver timore di chiamare le cose con il loro nome.
Personalmente credo che la terminologia sopra utilizzata  sia più che appropriata.
65.000 bambini violati.
Don Di Noto, assieme alla sua Associazione ne ha segnalato il numero alle autorità giudiziarie.
Lui ha visto i volti di quei bimbi, ha visto i fotogrammi, i video di corpi di bimbi innocenti, utilizzati come merce senza valore, oggetto di desideri perversi, figli di un male assoluto.
Don Di Noto sta dedicando la sua vita ad una missione, quella di difendere l’infanzia, come insegna il messaggio evangelico e lo fa in prima linea.
Un prete di frontiera…un prete che combatte il male della pedofilia non nella retroguardia, ma in avanscoperta.
Sempre pronto ad aiutare, sempre pronto a difendere il debole e l’indifeso.
Una battaglia immane, se consideriamo l’alto numero di abusati ed abusanti.
65.000.
Eppure, nessuno ne ha parlato, nessuno ha divulgato.
Nessuna testata giornalistica, nessuna televisione, ha sentito la necessità di indagare, di informare, di riflettere.
Come è possibile?
Come è possibile che 65.000 bambini violati non interessino a nessuno?
Verrebbe voglia di gridare.
Ma il grido rimane strozzato in gola e si continua ad ascoltare senza fine quello che ci propinano i mass media.
Allo stato attuale, tre sono gli argomenti principali di cui sono piene le nostre orecchie e qualcos’altro che non è rispettoso nominare…
In primo luogo il caso di Sara Scazzi: interi pomeriggi, su qualsiasi canale televisivo si decida di girare, passati a scandagliare, a sezionare ogni parola , ogni gesto di Sabrina e del padre….Chi sarà il colpevole: SAbrina o Michele?
E la nostra rabbia sale di fronte ad interviste così meschine, di fronte ad esperti criminologi che passano più tempo dal chirurgo plastico ed a scegliersi le inquadrature migliori che a studiare i casi.
Di fronte ad avvocati che ti ripetono per la millesima volta le tre ipotesi, senza far trapelare quale sia per loro la più convincente.
E di nuovo, fino allo sfinimento: chi è il colpevole?
Ma come chi è il colpevole? Sono colpevoli tutti…comunque.
Anche se Michele non avesse ucciso, non sarebbe comunque colpevole dello scempio fatto sul corpo della povera ragazza?
L’altro argomento dibattutissimo è il Grande Fratello su cui sorvolo perchè non saprei cosa dire.
Il terzo argomento più gettonato sono le amanti del Presidente Berlusconi.
Su questo so tutto, potrei parlarvene per ore…potrei raccontarvi tutti i peli ed i peletti.
So addirittura che Belen critica aspramente Rudy, l’ultimo scheletro nell’armadio de Presidente, che passa ore ed ore sotto casa di Fabrizio Corona per farsi fotografare con lui…
Potrei intrattenere un giornale scandalistico con tutto quello che si impara dai quotidiani oggigiorno.
E dei 65.000 bambini violati, neanche l’ombra.
Eppure don Di Noto chiede aiuto, chiede che si dia un nome a questi piccoli, chiede che li si difenda, che si corra in loro aiuto.
Don Di Noto chiede di rompere il silenzio.
Ed io lo rompo….e spero che voi lo rompiate con me.
FLO

Il 13 gennaio 2010 mi trovavo in un’Aula dell’Ospedale del Bambin Gesù per assistere alla presentazione di un importante Protocollo d’Intesa, il primo in Italia, e che trova applicazione da circa dieci mesi a Roma.

Tale Protocollo è rivolto a proteggere i minori, testimoni di episodi di violenza.

Ricordo bene quel giorno, anche perché, rientrando a casa, dopo quell’incontro, passai per il quartiere ebraico e c’era tanta gente a fotografare scritte di ispirazione nazista sui portoni delle antiche case del ghetto. Era il giorno della Memoria.

Bene, tornando al Protocollo, è necessario spiegare che esistono leggi di tutela per i bambini vittime di maltrattamenti, ma non esistono purtroppo normative specifiche per i minori che sono  testimoni oculari delle violenze in famiglia.

L’attenzione a questo aspetto specifico che riguarda la vita del minore è molto importante e poco considerato.

Immaginiamo un minore che assista ad episodi reiterati di violenze familiari, consideriamo la fase di separazione, non certo pacifica dei genitori, consideriamo il futuro del bambino che dovrà confrontarsi con una nuova realtà in cui incontra e vive i genitori separatamente.

Consideriamo le ipotesi in cui il minore, che ha un vissuto di violenza familiare interiorizzato, mostri sintomi di terrore, spavento e quant’altro nel dover frequentare il genitore violento.

Consideriamo l’ipotesi in cui il bambino, pur non volendo, debba, per legge, far fronte a questi incontri non voluti, anzi osteggiati e temuti.

Ebbene, la realtà giuridica dei fatti ci dice che non ci sono santi, il bambino deve ubbidire a quanto è stato per lui deciso, pena le denunce nei confronti della madre che si trova accusata di essere la responsabile prima delle paure del figlio nei confronti del padre.

Nessuno tiene in debito conto che il minore, che è cresciuto in un ambiente violento, con un genitore violento, quando si ritrova poi a vivere un’altra situazione, cioè  in un luogo diverso, al sicuro, lui e la madre, non vuole più saperne di ritrovarsi con la persona che  ha deluso il suo amore e che  teme con tutte le sue forze.

Nessuno degli autorevoli giuristi, degli importanti esperti nel campo della psicologia, mette in azione anni ed anni di studi e ricerche, per comprendere questa cosa assai semplice, anzi direi assai esperenziale.

Immaginiamo un panorama classico per chi è abituato ad ascoltare episodi di violenza familiare.

Per un nonnulla… per un piatto di pasta riuscito male, per una cosa fuori posto, per una parola in più…per un poco di confusione creata da  un bambino che gioca…è possibile che nascano, in un ambito familiare malato, voci che si librano all’eccesso, toni sempre più minacciosi, urla, urla, urla…botte del marito sulla moglie, sempe più violente, sempre più dolorose…la donna si copre, si difende dalla verga manesca del marito.

Cerca di vedere con la coda dell’occhio, mentre continua a proteggersi con le braccia, dove sia suo figlio, gli rivolge un muto sguardo che il bimbo conosce e che significa:-allontanati, nasconditi, non guardare…-

Botte, botte, botte.

Urla, urla, urla.

Minacce, minacce, minacce.

A volte, le scene, a cadenza quotidiana, sono ancora più terribili ed il bambino magari vede il padre che afferra un coltello e lo accosta a mò di minaccia al collo della madre, oppure lo vede trascinare la donna con violenza, verso il letto, porsi sopra per afferrarle il collo e quasi strangolarla…

Ed il piccolo spaventato, forse esce dal suo nascondiglio e va ad aiutare la madre…gridando come un ossesso e piangendo la rabbia ed il dolore.

Scene di drammi familiari….

Come sarebbe bello non sentirne parlare, per avere la sensazione che queste cose non esistano.

Nel chiuso delle nostre case borghesi, della nostra mentalità borghese, vorremmo che non entrassero questi orrori.

Ma magari, mentre  allontaniamo con lo schifo dei benpensanti articoli come il mio, nel chiuso di altre case, nelle case dei  figli, dei nipoti, degli  amici, si snoda un dramma simile…

E  non si hanno occhi per vedere, non si hanno orecchie per sentire….

E a volte sarà troppo tardi….

E per tutta la vita si soffrirà e si gemerà perché non si è  capito, perché si  preferiva nascondere il capo come gli struzzi.

Quando il bambino presenta tale vissuto, è  un piccolo testimone oculare.

Per tutta la vita ricorderà e rimarrà traumatizzato da tali vicende, anche se l’amore delle persone che lo accompagneranno nella crescita e gli aiuti adeguati, lo porteranno a divenire una persona capace di sapersi relazionare in maniera corretta e rispettosa con con gli altri.

Oppure tali traumi resteranno per sempre impressi in lui e lo segneranno in maniera tale da frenare la sua crescita razionale, psichica, fisica ed affettiva.

Perchè un bambino che ha assistito ad episodi così efferati, li vivrà come se lui stesso avesse  subito violenza.

Ed in realtà è così…gli effetti della violenza si sono scatenati pure su di lui.

Ecco perché i bambini, testimoni oculari di violenze familiari debbono essere considerati alla stessa stregua delle vittime.

Perché vittime lo sono di certo. E le loro ferite non si rimargineranno i fretta.

E spesso, poiché il diritto non li contempla come tali, cioè come vittime, capita di ritrovarsi di fronte a dei paradossi giuridici.

Prendiamo ad esempio il caso di un padre che, indagato per aver commesso violenze nei confronti della moglie davanti ai figli, si veda sospese le visite ai figli dal Tribunale dei Minori.

Nel contempo, però, tale modello di padre, si ritrova ad avere l’affido congiunto dal Tribunale Civile, per cui mette in scena una commedia dell’assurdo inimmaginabile: da una parte il padre non può neanche vedere i figli (e mi pare più che logico e giusto), dall’altra, lo stesso padre, si vede confermati tutti i diritti.

Peccato che in questa commedia i personaggi siano reali ed i danni irrimediabili ed abnormi….

Paradossale.

Eppure capita spesso, spessissimo.

I tribunali non comunicano, sono lì a dirimere casi di coppie scoppiate e loro stessi, i tribunali, si comportano peggio di una  coppia che divorzia.

I tribunali non si parlano, le carte che nessuno mai si prenderà la briga di leggere cresceranno e le povere vittime ne faranno le spese.

Ecco perché l’Associazione  “Differenza Donna”, che si occupa delle donne che hanno subito maltrattamenti e che ha la sua sede principale a Roma ha promosso un Protocollo di interazione tra le istituzioni ed i centri antiviolenza.

L’associazione ha presentato i dati emersi dal monitoraggio, fatto dagli stessi centri, al Consiglio Superiore della Magistratura.

Si è aperto quindi un tavolo di lavoro e, sulla base dei dati emersi,  si è giunti alla firma del Protocollo.

Lo hanno siglato l’associazione Differenza Donna, i Tribunali ordinario e dei minori, le corrispondenti procure, la questura, il comando provinciale dei carabinieri e gli ospedali Umberto I, policlinico Tor Vergata, San Gallicano e Bambin Gesù, che si sono impegnati a creare una rete di mutua informazione sui maltrattamenti di donne e minori.

Lo scopo è quello di fornire ai tribunali indicazioni non solo sui casi di violenza, ma anche sui casi di testimonianza di maltrattamenti, in modo tale da poter prendere tempestivi e adeguati provvedimenti di tutela.

L‘associazione ha anche creato il codice rosa negli ospedali aderenti al Protocollo, per essere in grado di garantire un adeguato soccorso alle donne vittime di violenza 24 ore su 24.

L’avvocato Teresa Manente , capo dell’ufficio legale Differenza Donna, ha sottolineato  che i bambini che assistono alle violenze subiscono danni psicofisici gravissimi. Per tal motivo meritano la stessa tutela dei bambini maltrattati.

Tale affermazione a mio parere è importantissima e proprio su questa su questa base c’è stata la richiesta di tutela per i bambini testimoni oculari di maltrattamenti familiari.

Differenza Donna ha messo in luce dei dati impressionanti, frutto di seria indagine: analizzando un campione di 78 piccoli testimoni di violenze familiari si è scoperto che, su 28 maschi tra i 5 e i 13 anni, il 42% dà prova di comportamenti aggressivi; il 53% di iperattività.

Nel 25% dei casi i bambini presentano grosse problematiche  a scuola, 65 volte su cento sono in conflitto con la madre.

La loro capacità relazionale è alterata, mentre la possibilità di scivolare nella violenza appare di estrema facilità.

Disturbi del sonno, del linguaggio e della salute sono i modi in cui si manifesta il disagio.

Per le bambine (22) sono in agguato la depressione (30%) e la tendenza a isolarsi (30%).

I loro sonni sono tormentati dagli incubi e si ammalano più facilmente.

I bimbi più piccoli, da zero a quattro anni, hanno reazioni anche più evidenti. Su 14 maschietti, il 57% dimostra aggressività, il 71% distrugge  i giocattoli, il 78,5% è iperattivo, oltre il 70% non ha un rapporto sereno con la mamma.

Le bambine (14) presentano sintomi depressivi  nel 28% dei casi.

Il Presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Melita Cavallo, ha spesso affermato che i fatti di violenza familiare sono in crescita e le cause di tale fenomeno sono varie.

Per questo è necessario accellerare i tempi delle cause di separazione e divorzio. Tribunale ordinario e dei minori, devono fissare «con urgenza e con termini abbreviati» le udienze relative ai ricorsi che contengono notizie  di atti di  violenze e e di persecuzione nei confronti delle madri e dei figli.

Secondo quanto accordato col Protocollo, si controllerà l’esistenza di altri procedimenti pendenti e di provvedimenti adottati da diverse autorità giudiziarie, per  evitare che un marito risulti violento per un magistrato ed illibato e puro per un altro.

Una dicotomia che non è ammissibile, frutto di cecità, superficialità e poca conoscenza dei fatti.

Insomma questo progetto pilota, valido per la città di Roma è sicuramente stato un enorme passo avanti per la tutela dei minori.

Ora io mi domando….a distanza di dieci mesi…il Protocollo ha prodotto effetti, è stato il motore di un cambiamento o è rimasto lettera morta?

Perchè spesso i protocolli fniscono tra la carta straccia nel dimenticatoio e non vengono applicati.

Finite le buone intenzioni nessuno se ne ricorda più.

Gradirei tanto saperlo, credo che anche voi abbiate la mia curiosità.

Spero presto di avere una risposta…

E di sicuro ve la farò conoscere….

FLO

Mi capita sempre più spesso di leggere su quotidiani e settimanali alcuni articoli che fanno riferimento alle denunce di violenza da parte delle donne nei confronti de loro ex, insinuando che sono false accuse.

Anche molti blog e social network riprendono la stessa tematica, insistendo sulla falsità delle accuse verso gli uomini e portando a supporto di tale tesi, alcuni dati ufficiali.

Vengono in particolare presi in considerazione quelli della Procura di Bergamo, diramati nella dichiarazione del PM Carmen Pugliese, autorizzata dal Procuratore Generale Galizi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 e le affermazioni del PM Barbara Bresci di S. Remo.

I blog ci tengono a sottolineare che le dichiarazioni giungono da voci femminili e questo le rende ancora più veritiere.

Iniziamo ad analizzare in primis quanto ha affermato il PM Carmen Pugliese.

Intanto bisogna sottolineare che in molti blog  si riporta che la PM ha asserito che l’80% delle denunce di violenze ed abusi da parte delle donne, risultano essere false.

Certo, questa affermazione, così come viene letta sembra essere chiara e non sembrano esserci ombre.

Coloro che ritengono che le accuse delle donne siano false, in tale dichiarazione, proveniente da persona autorevole e qualificata, trovano  un appoggio e un sostegno alle loro certezze.

Ora, ad un primo sguardo abbiamo un dato ben preciso, ma se andiamo alla fonte della notizia e leggiamo quanto la PM dice, ci troviamo di fronte uno scenario ben più complesso.

E la fonte è il  giornale “L’Eco di Bergamo”, del 31 gennaio 2009.

Se leggiamo con attenzione l’articolo  del giornale sopra menzionato, non ci ritroviamo con le affermazioni perentorie che vengono pubblicizzate in certi blog.

La Pm Pugliese infatti,  afferma che, analizzando i dati a disposizione della sua Procura, le denunce di violenza sono aumentate in maniera esponenziale negli ultimi anni, fino ad arrivare a 382 casi solo nell’anno 2008.

Circa un caso al giorno.

“I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni” afferma la PM., ma più avanti prosegue dicendo che, se è vero che si riscontra una sempre più diffusa propensione da parte di padri e mariti ad alzare le mani, è altrettanto appurato che molte volte delle versioni fornite dalle vittime (quasi sempre donne), sono gonfiate ad arte.

Sentite quanto afferma la PM e poi cerchiamo di riprendere le fila del discorso:

“Solo in 2 casi su 10, si tratta di maltrattamenti veri, il resto sono querele enfatizzate ed usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione. -Se non mi concedi tot benefici, io ti denuncio- è la minaccia che fanno alcune mogli. Tanto che una volta ottenuto quello che volevano, tornano in Procura a chiedere di ritirare la denuncia. Non sanno che nel frattempo noi abbiamo speso tante energie per indagare. L’impressione è che molte mogli tendano a usare pm e polizia giudiziaria come strumento per perseguire i propri interessi economici in fase di separazione”.

Più avanti nell’articolo si legge:

“….Molte volte siamo noi stessi a chiedere l’archiviazione, In altri casi, invece, si arriva a un processo dove la presunta vittima ridimensiona il proprio racconto. E’ successo anche che qualche ex moglie sia finita indagata per calunnia”.

Ma la Pm rivolge anche un’accusa specifica alle associazioni di tutela della donna:

“..non fanno l’operazione di filtro che dovrebbero fare; incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda. Mi sembra una difesa indiscriminata della tutela della donna che viene a denunciare i maltrattamenti, senza mettere in conto che questa donna potrebbe sempre cambiare versione”.

Ci sono dei passaggi nel discorso della PM che fanno riferimento ai casi delle violenze che si verificano in maniera pesante:

“…da noi arrivano donne col volto tumefatto e in alcuni casi  contro i mariti emettiamo misure cautelari”.

Andiamo ora ad analizzare  un altro articolo, del Secolo XIX, che non fornisce dati statistici, ma di fronte a precise domande del giornalista che chiede se talvolta le vittime non sono tali, trova nell’intervistata, il PM Barbara Bresci, la seguente risposta:

…Sempre più spesso si ricorre alla querela del coniuge o del convivente per risolvere a loro favore i contenziosi civili per l’affidamento dei figli o per l’assegno di mantenimento. Non sono rari i casi che, a controversia sanata, le querele vengano rimesse, con buona pace per le risorse professionali ed economiche investite dagli inquirenti allo scopo di istruire i fascicoli e raccogliere gli elementi probatori a carico degli indagati”.

In un passaggio ulterioe nell’articolo, la PM sostiene:

“…c’era un grande bisogno di norme a tutela delle donne. Significa però che occorre modificare la legge sullo stalking e integrarla, fornendo alle procure strumenti interpretativi più univoci ed efficaci. Aggiungerei anche un altro suggerimento. Quello di introdurre la procedibilità d’ufficio. In questo modo si creerebbero le condizioni per favorire una pre-selezione delle denunce. Insomma una sorta di deterrente contro chi intende strumentalizzare lo stalking. Inoltre si eviterebbe che sia durante la fase istruttoria, che addirittura al dibattimento, le vittime,  su pressione dell’imputato, rimettano la querela”.

A questo punto il giornalista chiede alla PM se capiti spesso che le querele vengano rimesse e la risposta è la seguente:

“Purtroppo si. Anche in casi molto gravi, che in precedenza avevano portato  all’emissione di una misura cautelare. Per ovvi motivi di riservatezza non posso entrare nel merito dei singoli episodi, ma ancora di recente mi è stato comunicato dal  difensore e dalla parte civile che una coppia ha espresso la volontà di tornare insieme dopo che, durante l’indagine, avevamo accertato episodi gravissimi a carico dell’uomo……non si può quindi far altro che prendere atto della volontà manifestata dai due soggetti e archiviare il procedimento”.

Alla luce degli articoli sopra menzionati e delle affermazioni delle due PM, possiamo cominciare ad operare alcune considerazioni.

Innanzitutto in nessuna parte degli articoli si fa riferimento alle false accuse.

Non si trova infatti scritto da  che le donne che abbiano denunciato i loro ex coniugi, si siano servite di accuse non veritiere.

Anzi. Dalle dichiarazioni di Carmen Pugliese è molto chiaro che la sua Procura ha notato una notevole crescita del fenomeno dei maltrattamenti familiari e delle violenze.

Queste infatti non vengono messe in dubbio.

Uomini e padri alzano le mani sulle donne, usano ogni tipo di violenza.

Le donne arrivano in procura con i volti che portano i segni delle percosse.

Purtroppo questa è una verità amara che non va nascosta.

Piuttosto, la PM Pugliese afferma che le denunce di maltrattament , nella maggior parte dei casi poi si sgonfiano, perdono di consistenza, le versioni sui maltrattamenti vengono minimizzate dalle vittime stesse, al punto che poche volte poi si giunge ad una effettiva condanna del reo.

A questo punto Carmen Pugliese cerca di dare spiegazione a tale fenomeno ed afferma che quando una donna denuncia di aver subito violenze, se ne serve poi in fase di separazione per ottenere alcuni benefici. Una volta  sicura di poterli ottenere, la donna ritira la denuncia nei confronti dell’ex coniuge o modifica la versione originaria, sminuendo i fatti di cui è stata vittima.

In pratica, la donna,nonostante le accuse fossero vere,  per quieto vivere, per uscire al più presto dalle pastoie di pesanti processi, per il desiderio di ricominciare a vivere e chiudersi il passato alle spalle, per la serenità dei figli, spesso preferisce mettersi d’accordo col violentatore e, ottenuto di non ricevere ulteriori molestie, o ottenuti i benefici richiesti, preferisce ritirare le denunce.

Ciò è possibile, ciò è molto probabile che accada.

Ma ciò non toglie il fatto che le violenze ci siano state e si sia deciso di oscurare la verità per le motivazioni sopra riportate.

Ma alla base della ritrattazione delle denunce per violenza o dello sgonfiamento delle stesse in fase processuale, potrebbe esserci un’altra ragione altrettanto valida che viene posta in evidenza da Barbara Bresci, quando afferma  che è possibile che le vittime, rimettano la querela su pressione dell’imputato.

Anche questo  non solo è possibile, ma lo ritengo probabilissimo.

A tal riguardo è interessante anche la critica che Carmen Pugliese rivolge alle associazioni anti-violenza donne, che dopo aver ascoltato la vittima, la incitano a denunciare, ma poi non la seguono nel percorso processuale che ne consegue.

Una donna che denuncia violenze opera un passo importantissimo, ma è anche fragile a livello psicologico e forse non è in grado di sostenere interrogatori ed un processo con tutte le sue dinamiche.

Infatti una donna violata deve imparare a riprendere il colloquio con se stessa, la fiducia, il rispetto di sé come persona, deve riscoprire la capacità di volersi bene, di amare ed essere amata.

Deve imparare a ricostruirsi, a guardare la sua storia con occhi diversi e ad approcciarsi al mondo esterno  con un nuovo sistema di significati.

Deve imparare di nuovo a scoprire cosa siano la fiducia e la speranza.

Deve anche imparare a difendersi.

Una donna violata ha quindi bisogno di supporto psicologico, altrimenti non è in grado di sostenere il lungo iter processuale ed  a volte, non riesce di ricostruire di fronte al giudice il suo vissuto di violenza. Perche troppo fragile.

Una donna vittima quindi, se non aiutata in maniera corretta ed adeguata, rischia di essere di nuovo preda delle pressioni dell’uomo da cui non si del tutto liberata, di cui si sente ancora succube.

Capita quindi che dopo una denuncia, per tutte le motivazioni sopra espresse,la donna violata ritratti tutto.

Per  paura, anzi per terrore.

E così tutto il lavoro svolto dalla procura, come sostengono le due PM, viene invalidato e non conduce alla verità processuale.

Questo è chiaramente svilente per tutti coloro che hanno lavorato alacremente.

Ed è una sconfitta per la donna stessa.

Quindi, le dichiarazioni di Pugliese e Bresci, a mio parere non possono essere prese come testimonianze della veridicità delle false accuse.

Fare questo mi sembra scorretto falso e tendenzioso. E purtroppo ciò accade per molti blog.

Tali dichiarazioni invece, sono la dimostrazione che la violenza familiare, purtroppo, sta dilagando sempre più, con risvolti inquietanti, che nessuno riesce a districare.

La verità viene raramente a galla e le violenze tornano ad essere nascoste.

Le denunce vengono ritirate per le più svariate ragioni, anche per il timore del violentatore e per le sue pressioni e tutto il lavoro delle procure finisce come carta straccia nel marasma dei fatti senza finale.

Quindi purtroppo la violenza esiste e le denunce sono vere.

Tutto questo deve farci riflettere…non dobbiamo averne paura…

Perchè solo se ci si confronta con la realtà, ci può essere la possibilità di modificarla.

FLO

Marinella Colombo, madre di due bambini, mercoledì scorso è stata arrestata e rilasciata solo ieri, perché accusata di aver condotto i suoi figli dalla Germania in Italia, dopo la fine del matrimonio con un tedesco.

La sua storia è molto travagliata e, credo, conosciuta da tutti.

In sintesi, dopo la fine del suo matrimonio, la donna dalla Germania torna in Italia con i suoi figli.

Ma l’8 maggio del 2009, i bambini vengono prelevati ad insaputa della madre dalla scuola in cui studiano, a Milano,  portati in Germania e consegnati al padre dai servizi sociali tedeschi.

Nel febbraio scorso, Marinella Colombo riesce , aiutata da amici , con un blitz, a riprendersi i suoi figli ed a nascondersi con loro all’estero.

Ora la donna è stata arrestata e poi rilasciata, ma presto ci sarà un’udienza davanti ai giudici d’appello che dovranno decidere della sua sorte: estradarla o meno, a causa del mandato d’arresto europeo per sottrazione di minori.

I minori in questione sono i suoi figli.

I minori in questione desiderano rimanere con la loro mamma.

Inoltre il 10 novembre, presso il Tribunale dei Minori di Milano, si discuterà il ricorso dei bambini contro il rimpatrio che è stato disposto dall’autorità giudiziaria tedesca.

Nel frattempo la donna è riuscita a tenere nascosti i suoi figli, i quali stanno studiando per prepararsi agli esami scolastici.

Non si sa dove siano, se in Italia o all’estero.

Resta il fatto che la donna accusa pubblicamente l’autorità giudiziaria tedesca  di essere intervenuta nel caso co una serie di scorrettezze molto gravi, non ultima, l’aver falsificato dei documenti che sono stati intenzionalmente mal tradotti.

La madre, interpellata dai giornalisti, molto provata, ha ribadito con forza che in Germania le leggi sono diverse dal resto dell’Europa.

Infatti i figli non sono dei genitori, ma appartengono allo stato, sono di proprietà dello stato.

Ha accusato l’autorità giudiziaria tedesca di aver presentato al Tribunale dei Minori di Milano una documentazione falsata, in base alla quale ilTribunale stesso  ha preso la decisione di rimpatriare i bambini in Germania.

Al centro della polemica sono le maniere assolutamente inaccettabili con cui è intervenuto nella storia lo jugendamt, l’organizzazione tedesca che ha la funzione di assistente sociale e che sostiene attivamente i tribunali in difesa degli interessi tedeschi.

Marinella Colombo ha anche affermato che si è resa conto che chi ha dovuto arrestarla in Italia, lo ha fatto a malincuore e controvoglia.

In carcere è stata trattata con grande umanità dalle carcerate. che le hanno preparato il letto e provveduto alle sue necessità, confortandola.

La battaglia di questa mamma per salvare i suoi figli sarà dura e lunga, una battaglia che vede su fronti contrapposti l’Italia e la Germania.

MI auguro che l’Italia non pieghi la testa di fronte alle maniere dure ed autoritarie dei tedeschi e che appoggi fino in fondo Marinella Colombo, affinchè vengano tutelati i diritti dei due bambini, che sicuramente vivono in uno stato di grande ansia, sapendo che la loro madre non può essere vicino a loro.

Allontanare con la forza i bambini dalla loro madre, prelevarli dalla scuola, per giunta in Italia, in maniera coatta, ricorda dei mezzi del secolo scorso, utilizzati per fini sempre orribili.

Lo Stato non può essere il proprietario dei bambini.

I bambini sono persone, ed in quanto persone debbono godere di tutti i diritti, in primis del diritto all’ascolto.

La battaglia continua…

Marinella Colombo ha la mia solidarietà e credo quella di tanti italiani che la pensano come me.

Marinella Colombo, deve essere aiutata a ricominciare una vita normale ed il più possibile serena accanto ai suoi figli.

Come è giusto e naturale che sia….

FLO

il giorno 8 ottobre, ho partecipato ad un convegno a Roma, nella bellissima cornice di Palazzo di Mattei di Paganica, a piazza della Enciclopedia Italiana, uno dei luoghi più suggestivi del quartiere ebraico di Roma.

Il convegno è stato organizzato dal Movimento per l’Infanzia e dall’Associazione 21 Luglio, i cui presidenti sono rispettivamente l’avv. Andrea Coffari e Carlo Stasolla, che mi pregio di conoscere e di cui ho potuto apprezzare l’impegno e la passione nel difendere strenuamente, mettendo in gioco la loro stessa vita, i bambini che hanno bisogno d’aiuto.

Il tema del convegno mi interessava fortemente:“QUANDO L’ASCOLTO E’ UN DIRITTO”.

Quando sono arrivata, la sala era già gremita e tutti i posti occupati. Un centinaio di persone, credo.

I relatori erano tutte persone di spessore, ed erano presenti anche autorità del mondo giudiziario, quali ad esempio la dott.ssa Montaldi Presidente del Tribunale d’Appello minorile , il PM della Procura di Roma, dott.ssa Montenapoleone (di cui si sentono grandi cose) e il dott. Francesco Alvaro, Garante per l’Infanzia Lazio.

Gli interventi sono stati tutti molto interessanti, a partire da quello di Carlo Stasolla, che ha introdotto il tema della serata, ricordando che troppo spesso si dimentica che uno dei diritti fondamentali del bambino è l’ascolto, ascolto che noi adulti abbiamo enormi difficoltà a riconoscere come basilare e a garantire in ogni ambito ed occasione.

Sulla carta il diritto all’ascolto del minore è ben radicato, con gli importanti riconoscimenti nella Convenzione per i diritti dell’Infanzia di New York del 1989 e nella Convenzione di Straburgo del 1996.

Nella realtà, in questo caso nella realtà italiana, tali Convenzioni internazionali non hanno trovato, né trovano terreno fertile e rimangono pura carta straccia, a causa di una scarsa cultura minorile in sede giudiziaria ed anche a causa della scarsità di figure professionali realmente preparate a tale compito. Di fatto, l’ascolto del bambino avviene in maniera facoltativa e spesso non se ne comprende la necessità.

Il minore viene considerato alla stessa stregua di un minorato, e quindi sono i grandi, quelli che pensano di avere tutte le capacità e competenze per arrogarsi tale diritto, a decidere.

Non è quindi necessario ascoltare il bambino…il grande sa cosa sia buono per lui.

In campo giudiziario, questo modo di procedere,conduce purtroppo a distruggere il minore, a togliergli il diritto fondamentale che ogni persona deve avere: difendersi e far sentire la propria voce, raccontare le proprie esigenze e necessità.

Proprio a supportare la necessità di tutelare l’infanzia attraverso lo strumento privilegiato dell’ascolto, Roberta Lerici, che si occupa del Movimento per l’Infanzia Lazio, ha letto una delle tante lettere a lei pervenute, di una madre disperata, perché i suoi due figli, allontanati da lei e portati in una casa famiglia perché è stata loro diagnosticata la PAS, nonostante le denunce nei confronti del padre abusante, sono ora costretti ad andare con lui i fine settimana con il bollo ed il beneplacito del Tribunale dei Minori.

Questo è grave, questo è assurdo, questo è aberrante.

Questo è solo uno dei tanti errori giudiziari provocati da una sindrome, la PAS, che non esiste, che è stata importata nei tribunali, senza alcuna garanzia di veridicità da parte della psichiatria internazionale, e che sta distruggendo l’infanzia di molti bambini.

I bambini in questione non sono stati ascoltati in maniera adeguata, non sono stati creduti e sono stati quindi rimessi nelle mani di colui che era accusato di essere un orco.

Mi domando, da persona che crede di usare un poco di sano buon senso…ma nel dubbio, non è il caso di agire con la massima prudenza e propendere per una tutela del bambino attraverso la negazione degli incontri col padre, presunto abusante?

Anche nel dubbio?

Io ritengo assolutamente sensato solo questo modo di procedere.

Sembra che non tutti siano d’accordo con me, a giudicare dalle numerose sentenze, in varie parti d’Italia che, in nome di un rapporto col padre che va sempre garantito, permettono gli incontri col padre stesso, anche quando i figli si rifiutano ed anche quando c’è il sospetto o più di un sospetto che il genitore sia abusante.

Il problema è che, anche quando i bambini vengono sentiti, in realtà non vengono ascoltati.

Deve essere assolutamente frustrante per un bambino non essere creduto ed essere invece considerato un minorato non in grado di distinguere la fantasia dalla realtà.

Anche Andrea Vitale, Psicologo, psicoterapeuta, Presidente dell’Associazione Psicologia del deficit parentale e Docente alla scuola di specializzazione in Psicologia clinica, ha fatto un ottimo intervento , partendo dagli studi della svizzera Alice Miller, soffermandosi sui traumi infantili, un tema di grande interesse ed un campo di studio ancora in fieri.

MI vorrei soffermare però sugli interventi del dott. Luigi Cancrini, Psichiatra psicoterapeuta, Direttore scientifico del centro di Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia e dell’avv. Andrea Coffari.

L’analisi dello psichiatra in questione è stata emozionante ed ha offerto spunti di riflessione proprio a partire dagli aspetti critici del problema, che è stato in grado di porre in evidenza con grande coraggio.

Egli afferma infatti che l’ascolto del minore che ha subito un trauma, richiede competenza a livello psicoterapeutico,richiede  una particolare sensibilità e predisposizione per l’ascolto letterale e per la comunicazione gestuale del bambino (il famoso linguaggio del corpo), richiede inoltre attenzione per l’emozione che suscita in chi l’ascolta.

Tutte queste capacità sono difficili , allo stato attuale da incontrare e riconoscere nelle figure professionali che si occupano dell’ascolto dei bambini nei tribunali.

Luigi Cancrini ha avuto il coraggio, per alcuni l’ardire, di confessare ad alta voce che il livello di preparazione di chi ascolta i bambini, il livello dei periti è assolutamente non accettabile in moltissimi casi.

Mentre la professionalità e l’esperienza dovrebbe essere massima proprio perché è in gioco la vita del bambino .

Non è infatti concepibile quanto accade nei nostri tribunali, non è ammissibile che vengano chiamati a periziare un minore giovani psicologi inesperti, senza alcun possesso del diploma in psicoterapia.

Non è concepibile, peraltro, che i periti lavorino in assoluta solitudine, senza il confronto di uno o più colleghi.

Non è concepibile che non vengano videoregistrati i colloqui con il minore.

E non finisce qui.

Lo psichiatra Cancrini affonda un altro coltello nella piaga della malagiustizia minorile, sollevando un  problema fortemente sentito: non è possibile, per un perito  serio, in pochissimi incontri, forse due, poter giungere a dare un giudizio  motivato ed attendibile sul minore, né in un senso, né in un altro.

L’ascolto del bambino richiede tempi che non sono quelli dei tribunali, richiede che avvengano presso centri di grande esperienza, per poter costruire una relazione di fiducia col bambino stesso.

Insomma, mancano norme chiare su come si conduce l’ascolto del bambino ed avvengono ingiustizie aberranti.

Bisogna avere il coraggio di USCIRE DAL SILENZIO, perché l’ascolto del minore è una problematica della società civile attuale.

Quando un bambino dà segnali di sofferenza, non dobbiamo tappargli la bocca e fingere di aver capito male.

Bisogna ascoltare, ascoltare veramente il bambino.

Vi assicuro che l’intervento di Luigi Cancrini è stato di alto livello, non perché abbia finalmente udito dalla viva voce di un esperto, quello che chi vive le problematiche minorili riconosce ogni giorno sul campo, ma perché mi è parso importante che ascoltassero queste parole veritiere e sentite, giudici, psicologi ed esperti presenti in sala in modo da  divenire veicolo presso i propri colleghi e  portatori di una nuova cultura: la cultura del bambino.

L’intervento dell’avv. Coffari non è stato meno incisivo e portatore di novità rispetto alle tematiche affrontate.

Devo dire che lo si è ascoltato con grande partecipazione e non era possibile non emozionarsi quando ha portato all’attenzione dei presenti, alcune  storie veri di bambini che vivono in case famiglia, a causa di sentenze in molti casi discutibili.

L’avvocato ha iniziato la sua discussione affermando che a monte della questione sul diritto all’ascolto c’è un sistema di approccio errato, che lui chiama ADULTOCENTRISMO.

Tale termine sta a significare che il punto di vista da cui si parte per la comprensione del vissuto del bambino, non è il bambino stesso, ma l’adulto.

La realtà cioè viene decodificata ed interpretata sempre a partire dalla visione  dell’adulto, partendo dai suoi valori di riferimento, dai suoi principi, dalle sue valutazioni, dai suoi modelli, dalle sue norme e dai suoi convincimenti preordinati.

L’adulto è al centro di tutto.

Mentre, quando si parla di infanzia, di diritto all’ascolto, il cuore dovrebbe essere il bambino stesso.

L’adulto dovrebbe quindi imparare a guardare al bambino partendo dal bambino, dal suo linguaggio, dai suoi gesti, dalle sue emozioni, dal suo vissuto….

Anche in ambito giuridico, pendono sul bambino delle sentenze dall’alto, come la spada di Damocle, senza che il bambino stesso abbia potuto avere garantiti i suoi diritti, senza che siano tenuti in alcun conto le sue necessità.

E tutto qesto avviene senza rendersi condo di giungere spesso a decisioni disastrose per il bambino, senza alcuna malafede, ma solo perchè il punto di partenza è sbagliato: l’adultocentrismo.

Adultocentrismo che porta a porre in evidenza alcune tematiche sicuramente importantissime ed a considerare minoritarie altre tematiche.

L’avvocato Coffari ha fatto alcuni esempi partendo dalla pena di morte, altamente sentita nel mondo degli adulti.

Sono circa 500, infatti, le persone che ogni anno muoiono attraverso questa tortura e se ne parla, se ne discute, si litiga, si fanno comizi in tutto il mondo, giustamente, peraltro.

Ma dei 50.000 bambini che vengono ammazzati ogni anno, dei 300.000 bambini soldato, delle centinaia di minori che vengono impiegati in lavori altamente usuranti….di loro chi ne parla?

Chi da loro voce?

Chi combatte per loro strenuamente?

Chi va oltre un reportage, un servizio televisivo?

Chi smuove il mondo per questi piccoli?

Pena di morte: 500 persone circa l’anno.

Bambini ammazzati, e violati nei loro diritti: migliaia e migliaia….e non ci sono sanzioni, non esistono moratorie verso quegli stati che si macchiano di tali nefandezze.

Adesso capite cosa sia l’adultocentrismo di cui parla l’avvocato?

Adultocentrismo che per esempio, nel mondo occidentale, si ritrova nella rimozione ipocrita della violenza sessuale dall’immaginario collettivo.

Lo si fa anche attraverso l’ipotesi sempre più acereditata, ingiustamente, dei falsi abusi.

Eppure In Italia sono state effettuate due indagini, una condotta dal prof. Pellai, del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Milano,nel 2001, l’altra effettuata dall’Associazione SOS Infanzia, in collaborazione col Movimento per l’Infanzia, nel 2005, sottoponendo un campione elevato di studenti delle scuole superiori.

Le ricerche sono giunte alla conclusione che su circa 1200 studenti, circa il 10% di loro ha dichiarato di aver subito abusi durante l’infanzia.

Le ricerche sono serie e verificabili e quello che riportano è allucinante…tantissimi ragazzi violati.

Poiché i dati servono per aiutarci ad interpretare la storia, la realtà in cui viviamo, se ne può ragionevolmente dedurre che la violenza sui bambini è un fenomeno sociale serio e preoccupante.

Esiste cioè, una violenza sommersa, non elaborata, che conduce a traumi devastanti per i ragazzi stessi e che devasteranno a loro volta, altre persone.

Esiste quindi una catena di violenza che si può spezzare solo rompendo il silenzio: la violenza sessuale sui minori esiste e non va nascosta, va invece denunciata.

Alte indagini compiute a livello internazionale, hanno dato all’incirca la stessa percentuale di ragazzi abusati.

Eppure, coloro che dovrebbero conoscere tali dati, giudici, avvocati, operatori vari, non ne sanno quasi nulla.

Questi dati non fanno notizia, non vengono diffusi, o meglio, non vengono pubblicizzati.

Perchè tutto questo fa paura agli adulti stessi.

Perchè questo è un problema che la collettività vuole rimuovere.

A tal riguardo, aproposito della rimozione, questo accade spesso alivello personale.

L’avvocato ha raccontato di essere stato avvicinato da un’assitente sociale, al termine di una sua conferenza, la quale era conosciuta per la  durezza con cui si confrontava con i bambini , che non venivano da lei creduti se raccontavano di aver subito abusi.

Ebbene tale assistente sociale ha confessato all’avvocato di avere questo tipo di atteggiamento nei confronti dei bambini, perchè non aveva mai accettato, negandolo perfino a se stessa, di aver subito abusi nell’infanzia.

L’avvocato Coffari ha raccontato con grande commozione questo episodio, ricordando che, per ascoltare il bambino, bisogna innanzitutto parlare del bambino dentro di noi.

Moltro altro è stato detto al convegno, molti altri pregevoli interventi.

In genere, lo confesso, mi annoio ai convegni.

Importanti docenti, professori, esperti parlano degli argomenti loro affidati, spesso senza passione, senza reale desiderio di mettere in comune la propria esperienza e competenza.

Gli interventi sono spesso logorroici, ripetitivi, noiosi direi….

La maggior parte delle volte quindi, rimango delua, perchè dai grandi personaggi mi aspetto di ascoltare cose grandi….

Stavolta non è stato così, il convegno mi è piaciuto e soprattutto mi ha arricchito.

Direi che le parole dei relatori hanno lasciato nel cuore di chi ascoltava, il desiderio di conoscere e capire, ma anche tante domande irrisolte….

E per cambiare quello che non va nella realtà, si parte sempre dalle domande e dai quesiti….

Almeno così credo.

Tra le persone presenti nella sala, c’erano alcune mamme, che combattono la dura battaglia per far sì che, i propri figli, a cui è stata diagnosticata la PAS e quant’altro, vengano ascoltati da persone adeguate e competenti.

Mamme coraggio, che lottano in prima linea per salvare i propri bambini,  per consentire loro di esercitare il proprio primario diritto:

il diritto all’ascolto.

Flo

Sono sei mesi che scrivo su questo blog.

Non c’è pagina che io abbia scritto che non sia macchiata del sangue di donne o bambini.

E pensare che io odio il rosso e mi piace solo quello delle decorazioni natalizie, dei cuoricini e delle rose.

E pensare che quello che mi riesce meglio è scrivere di cose divertenti assai.

E pensare che ciò che mi piace è ridere e far ridere.

Non avrei mai voluto scrivere di Sara Scazzi, vergando di rosso un’altra pagina.

Neanche ora vorrei, sono stanca…stanca di vedere belle ragazze, giovani, fragili, romantiche, con una vita di sogni da realizzare, con le ali spezzate dalla violenza omicida, senza senso e senza umanità.

Stanca…vorrei non avere occhi, non avere udito, non avere voce.

E invece gli occhi li ho, ho un udito niente male e parlo sempre tanto.

E quindi non posso esimermi. Purtroppo il mondo delle favole non esiste, la realtà è spesso dura e va affrontata.

Sara…di lei hanno scritto tanto, non tutto, perchè nelle prossime ore le notizie saranno date a raffica, usciranno ufficiosamente i verbali degli interrogatori effettuati dagli inquirenti e non si parlerà di altro per giorni…

Fino al prossimo efferato delitto.

Fino alla prossima ragazza…

Lo ammetto, stasera sono un pochino pessimista, ma mi sembra che non sappiamo leggere la storia e non sappiamo trarne insegnamento.

Non sappiamo cogliere i segnali, non siamo attenti a ciò che ci circonda, non sappiamo educare i giovani a non temere di chiedere aiuto, a non aver paura di raccontare la verità, anche se dolorosa.

Sara è morta in un paesino della Puglia, viveva in un ambiente semplice e conduceva una vita simile a quella di tanti altri ragazzi.

Era  una ragazza di sedici anni piena di sogni, di fantasia, fragile, con un rapporto familiare non facile, con una difficoltà relazionale con la madre, cosa che accade spesso a quell’età.

Sognava di allontanarsi dal suo paese, aveva tanti divieti a cui doveva sottostare e desiderava invece una vita senza segnaletica.

Normale questo…anch’io a sedici anni sognavo di andare lontano, molto lontano, di essere  l’unica artefice del mio destino…

Normale questo…e normale che lo avesse scritto sul network, come fosse un diario segreto.

Dal momento della sua sparizione tutti hanno pensato a qualcuno che, percorrendo il filo del web, fosse venuto da molto lontano per farle del male.

E’ stata questa la pista più scandagliata dall’inizio, nonostante la madre, forse intuendo, chiedeva di cercare nell’ambiente in cui vivono.

E purtroppo l’amara verità: un orco in questa storia c’è, ha ucciso Sara.

Ma non è venuto da lontano.

L’orco è suo zio.

Colui che l’ha strangolata, sembra per abusarne, è un familiare che lei frequentava abitualmente.

La verità era sotto gli occhi…ma il cuore , la ragione come potevano accettare questa tragica orribile verità?

Gli occhi non riescono a vedere lì dove il cuore si chiude: perchè è impossibile accettare di essere traditi da uno che dovrebbe amarti.

E’ pazzesco…l’assassino è quasi sempre uno della cerchia familiare.

Ed ogni volta, ad ogni delitto, è sempre la stessa storia…si cerca lontano, si trova vicino…

Rivedere, a posteriori, oggi, dopo aver saputo la verità, le interviste fatte allo zio nei giorni scorsi, mette i brividi: un uomo che piange per la nipote, che parla come se fosse in ansia per la sua sorte, che rivela una personalità multipla.

Come Mario Alessi, l’assassino del piccolo Tommaso, che piangeva durante un’intervista e diceva che era orribile ammazzare, che i bambini sono angeli e non vanno toccati. Come tanti altri assassini che riuscivano a nascondere, con le parole e gli atteggiamenti, i loro delitti.

In effetti, quando qualche giorno fa, ho saputo che lo zio di Sara aveva ritrovato il suo telefonino, una lampadina mi si è subito accesa.

Vui vedere, ho detto, che è lui l’assassino?

Un uomo mite, un  sempliciotto, ho pensato vedendolo in televisione durante un’intervista…un uomo che raccontava troppo…troppi particolari, come a giustificarsi.

L’orco non appare mai con la faccia da demonio, altrimenti sarebbe facile riconoscerlo.

L’orco si veste da pecora.

Avete mai conosciuto un assassino, un colpevole che si denuncia?

Io no…anzi.

Pochi giorni fa, una mia amica mi raccontava che prima di entrare in una udienza per cui era convocata con il suo ex coniuge, è stata avvicinata da quest’ultimo il quale  le ha sussurrato all’orecchio con voce spaventosa: “Ti distruggerò”.

E in effetti davanti al giudice civile ha saputo atteggiarsi da pecorella, ha saputo porre in scena una recita da grande attore.

Ed il giudice, udite udite, c’è cascato con tutte le scarpe.

Per fortuna l’ex proprio ieri è stato smascherato in un processo penale e condannato per violenze sulla moglie…e quindi i dati oggettivi riusciranno a convincere il giudice civile che è stato proprio un ingenuo a farsi abbindolare pochi giorni prima.

Il colpevole sa anche mentire, mente bene e potrebbe non essere smascherato.

Anche lo zio di Sara pensava di farla franca.

Così non è stato, grazie alla bravura degli inquirenti che non hanno mangiato la foglia, alle interviste televisive dei giornalisti che sono state materia di studio per esperti in psichiatria.

L’assassino nei gialli di una volta era sempre vicino, era sempre il maggiordomo.

Ora la cronaca nera, invece, ci insegna che l’assassino è da cercare tra i familiari.

Amara, dolorosa, inaccettabile, inconcepibile verità….

Addio Sara…

Flo

Quando, pochi giorni fa, di prima mattina, leggendo i giornali al solito bar, ho appreso che negli USA era stata uccisa, con una condanna a morte, Teresa Lewis, rea di aver assassinato il marito, il mio pensiero è andato immediatamente a Sakineh. Ho pensato:

-Oddio, allora Sakineh è di nuovo in pericolo! –

Di Sakineh, l’iraniana, tutti conosciamo il dolce volto, che ha percorso il filo di fsb e le campagne in suo favore sui manifesti delle città.

Sakineh, accusata di adulterio e poi di concorso in omicidio del marito (ma l’ultimo capo di imputazione pare inventato per giustificare agli occhi dell’occidente la sua condanna a morte), sarebbe dovuta morire per lapidazione.

Sakineh era destinata ad essere sotterrata fino al petto ed incappucciata. Uomini scelti le avrebbero sfilato davanti per colpirla a morte. Avrebbero usato pietre ben levigate per l’occasione, né troppo piccole, né troppo grandi, per procurare la morte né troppo presto, né troppo tardi.

Questi uomini scelti, avrebbero portato a termine con onore il proprio compito, avrebbero lavato l’onta dell’adulterio.

Avrebbero…perchè la campagna di informazione, la giusta condanna di tale atto da parte dell’Europa occidentale tutta, ha fermato la mano iraniana.

La condanna a morte infatti è stata sospesa, con grande sollievo di tutti.

Sollievo che diviene dolore se si pensa che la povera donna, bella come un angelo, rimane in prigione e sicuramente sarà proprio mal ridotta, un’ombra della sua antica grazia.

E quel timore per la vita di Sakineh che ho avuto poche mattine fa, è divenuto orribile realtà.

Il Procuratore Generale iraniano, ha informato l’opinione pubblica che Sakineh non verrà più lapidata, ma morirà per impiccaggione.

Capirai che bel cambiamento! Di male in peggio…una bella corda al collo…una morte terribile alquanto…

E stavolta, avvisano dall’Iran, gli organi giudiziari non saranno influenzati dalla campagna occidentale.

Il figlio stesso, che cerca disperatamente aiuto per salvare Sakineh, informa la stampa che tra due settimane la condanna verrà messa in atto.

Ora l’Occidente ha le mani legate. L’Iran, dopo aver visto che negli USA avvengono le pene di morte, senza che l’Europa infierisca più di tanto, rivendicano i loro diritti alla pena di morte.

Pena di morte alle donne. Pena di morte a Sakineh.

Credo che stavolta le donne occidentali possano fare poco, anche se spero faranno tutto.

Se non si muovono le donne iraniane, tutte insieme, credo che per sakimeh non ci sia speranza.

E con Sakineh moriamo un poco anche noi donne occidentali.

E con Sakineh di sicuro muore anche un poco di me.

FLO

E’ ormai certo che, la Commissione Giustizia del Senato, si troverà presto a discutere la proposta DDL n°957/2008, che chiede di apportare delle modifiche alla Legge 8 febbraio 2006, la legge sull’affido condiviso, perché sia reso sempre più chiaro il concetto di bigenitorialità.

E’ ormai da qualche  tempo molti giuristi ed avvocati hanno evidenziato i gravi effetti provocati dalla legge che, pensando di tutelare il minore nelle cause di separazioni conflittuali, va invece a peggiorarne la situazione, rendendo il minore un pacco postale da condividere in parti uguali tra i genitori.

E’ ormai da tempo che si chiede di rivedere la legge, che tende ad eliminare l’affido esclusivo dei figli ad un genitore (in genere la madre), in favore dell’affido condiviso ad entrambi, perchè tale legge, così accattivante nella teoria, rende la vita quotidiana di chi la subisce, più complicata di quello che potrebbe essere.

Qualsiasi decisione riguardo al minore, anche la più piccola deve essere condivisa: l’iscrizione ad un asilo piuttosto che ad un altro, l’iscrizione ad un determinato sport o meno, la possibilità di seguire le funzioni religiose o meno, il catechismo, le gite, la passeggiata per prendere un gelato…

Qualsiasi decisione…fra poco anche quella se respirare o meno.

Mentre si cerca l’accordo su ogni pelo, chiedendo l’intervento del giudice competente di volta in volta, il minore non ha di certo vita facile.

Egli è inoltre costretto a seguire un programma ben dettagliato, in cui si deve dividere in parti e tempi uguali tra i due genitori.

Non sia mai che passi più ore con la madre piuttosto che con il padre…non è giusto.

Parti uguali: così il minore seguirà il bel programmino preconfezionato: tre giorni da papà, tre giorni da mammà, due camere, due guardaroba, due tutto…fino alla maggiore età….

In questo clima di richiesta di revisione della legge sull’affido condiviso, giunge in linea diametralmente opposta la proposta di legge di cui sopra, che invece vuole ancora di più puntualizzare il principio della bigenitorialità, rendendo molto difficile l’esercizio di quei giudici, che molto spesso usano il sano buon senso nell’applicare le leggi, cercando di ridurre al minimo i danni per i minori coinvolti e che, se questa proposta dovesse passare, si troverebbero con le mani legate, senza più possibilità di operare con criterio, caso per caso.

Ma il punto più grave e controverso è sicuramente il riferimento alla Pas, la sindrome di alienazione parentale,  che viene presentata dai promotori della proposta di legge, come una sindrome ampiamente riconosciuta e documentata dal mondo e dalla letteratura scientifica.

Una malattia, quindi, acclarata ed accertata nel minore, che soffre di un grave condizionamento da parte del genitore alienante (in genere la madre), che lo conduce a rifiutare o addirittura denunciare di abusi il genitore alienato (di solito il padre).

La proposta di legge, di fronte alla presentazione ben confezionata della sindrome, propone come soluzione la negazione dell’esercizio della potestà al genitore condizionante.

In pratica dunque, qualora si verificasse la condizione (e purtroppo si verifica spesso) in cui un minore non volesse accettare il programma di incontri, stilato dal tribunale, con uno dei due genitori, adducendo motivazioni anche gravissime, qualora venisse accertato in sede periziale che il suo rifiuto fosse effetto della sindrome di Pas (e ormai accade spesso che venga diagnosticata), il minore verrà allontanato dal genitore condizionante, a cui verrà pure tolta la potestà.

L’articolo 9 della proposta di legge, infatti, afferma chiaramente il principio di esclusione dall’affido, del genitore di cui fosse accertato il condizionamento sul minore che, affetto da sindrome di Pas,  rifiuta gli incontri con l’altro genitore.

La proposta DDl 957/2008, dunque, fa assurgere una “decisione” medica sulla Pas ad elemento determinante nella decisione di escludere l’affido al genitore condizionante, limitando di fatto nel Giudice ,l’esercizio del potere discrezionale.

Semplificando ulteriormente, qualora un minore si trovasse per sua disgrazia ad avere un genitore violento ed abusante, se ne parlasse e lo denunciasse, verrebbe accusato di essere stato indotto all’odio dall’altro genitore e verrebbe accusato di non dire la verità. Con la condanna ad essere allontanato dal genitore di cui lui si fida.

Troppo, veramente troppo per una sindrome che non esiste assolutamente, come si comincia da più parti ad affermare con cognizione di causa e con una chiarezza tale, da non riuscire a convincere solo chi ha delle forti prevenzioni ideologiche.

Cominciano anche in Italia, a fronte di inconsistenti e poco credibili pareri favorevoli riguardo la Pas (pareri che purtroppo imperversano ed impazzano in corsi di aggiornamento per avvocati, giuristi, assistenti sociali, etc.), ad uscire articoli e studi seri che rigettano con forza tale assurda teoria del prof. Gardner .

Pochi giorni fa, il 29 agosto 2010, è uscito un articolo, che sta percorrendo il filo di fsb, speriamo a gran velocità e con frutti positivi, di uno psichiatra italiano, Andrea Mazzeo, che si è trovato a dover studiare in maniera approfondita la sindrome di Pas, per poter ben operare nel suo lavoro di consulente di parte nelle cause minorili.

E il suo convincimento sull’assoluta carenza di dati oggettivi che dimostrino l’attendibilità scientifica della Pas, la sua perplessità su quanto sta accadendo in Italia nelle aule dei Tribunali dei Minori, la sua preoccupazione a tal riguardo, sono ben espressi nel suo articolo:

“UN ORCO SI AGGIRA PER IL TRIBUNALE DEI MINORENNI:la sindrome di alienazione parentale”.

UN ORCO SI AGGIRA PER I TRIBUNALI DEI MINORENNI: La Sindrome di Alienazione Genitoriale

E’ veramente uno studio da leggere con attenzione, soprattutto, perché, partendo dall’inventore della sindrome, riporta tutta una serie di fonti e dati che ben evidenziano la pericolosità della teoria e soprattutto la insussistenza della stessa.

Il dottor Mazzeo sottolinea che né l’Associazione Psichiatrica Americana, né l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno finora ammesso ufficialmente la Pas tra l’elenco di disturbi.

Anzi…proprio dalla patria del suo inventore giungono le più feroci critiche e lanci di strali, supportati da ricerche serie ed approfondite, che affossano senza tema di smentita la famigerata Pas, che in Italia gode di così tanto ed immeritato credito.

USA, California, Canada, Spagna. Da questi paesi giungono gli studi più accreditati che contrastano la sindrome.

Gli studi scientifici che invece ne attestano l’attendibilità sono assai scarsi e soprattutto, in lingua italiana non se ne trovano molti.

Secondo il dott. Mazzeo, infatti, i ricercatori di discipline giuridiche in California , l’Istituto di ricerca dei Procuratori di Giustizia USA,Il Ministero di Giustizia Canadese,  l’Associazione Spagnola di Neuropsichiatria sono giunti tutti allo stesso binario conclusivo: La Pas , non solo è una teoria che non è assolutamente dimostrata secondo dati scientifici, ma è anche pericolosissima per la salute stessa dei bambini.

Esperti giuristi e ricercatori di neuropsichiatria, secondo percorsi, competenze  e prospettive diverse, sono giunti tutti alla stessa affermazione: la Pas non esiste ed è pure pericolosa.

Ora, si domanda il dott. Mazzeo, come è mai possibile, viste le numerose critiche che giungono da più parti, che in Italia la Pas sia invece presentata come una sindrome di tutto rispetto e con tutti i bolli  e le licenze di una famigerata letteratura scientifica?

Quali le fonti, quali le basi di tali affermazioni che addirittura condurrebbero alla creazione di una legge ad hoc?

Questo in sintesi, credo, il pensiero dell’autore dell’articolo.

C’è da riflettere, ma tanto…

Ho anche letto che gli ideatori della proposta di legge si sono prontamente dedicati a criticare le affermazioni del dott. Mazzeo, che vorrei ricordarlo, è uno psichiatra di provata esperienza.Riporto qui di seguito le fonti da cui ho tratto tali critiche:

http://www.facebook.com/l/93c47x5xcrGSBDEI3Ugmj-76eAA;www.adiantum.it/public/1201-i-negazionisti-della-pas.-egregio-dott.-mazzeo….—dimarino-maglietta.asphttp://www.facebook.com/l/93c47mIrAZ_1jb3TsHj79zg1bmA;www.adiantum.it/public/1198-pas-sì,-pas…-no-!-riflessioni-sulla-sindrome-di-alienazione-genitoriale—di-v.-vezzetti.asp

Il primo intervento critico giunge, come potete ben visionare, dal professor Marino Maglietta, docente associato di Fisica presso la facoltà di ingegneria dell’Università degli studi di Firenze e docente presso molti Istituti di Mediatori Familiari, nonchè membro della Consulta nazionale per l’infanzia e l’adolescenza “Gianni Rodari”.

Come potete ben leggere, si presenta al dott. Mazzeo come colui che ha redatto il disegno di legge 957.

Riepilogando:

L’ingegner Maglietta dunque è colui che concepisce la struttura portante di quella che è divenuta la prima legge italiana sull’affido condiviso, attraverso la modifica all’art, 155 del Codice Civile.

L’ingegner Maglietta, è colui che ha introdotto in tale legge il percorso di mediazione familiare nelle situazioni di separazioni conflittuali e che ha portato ad una situazione aberrante nell’ambito dell’esercizio dei poteri dei servizi sociali.

L’ingegner Maglietta ha redatto il disegno di legge 957, così caldametne osteggiato dallo psichiatra Mazzeo.

L’ingegner Maglietta critica l0 psichiatra Mazzeo asserendo che, dalla terminologia non specifica che utilizza nell’articolo, si evince che il dottore non è sicuramente competente di diritto familiare e minorile  e che bisogna pensarci due volte prima di lanciarsi contro una proposta di legge così ben congegnata.

Inoltre l’ingegner Maglietta fa notare che non importa se il termine Pas sia utilizzato nella proposta di legge più o meno impropriamente, l’importante è quello che c’è dietro, cioè la la ormai acclarata situazione dei genitori che hanno possibilità di stare più tempo con i figli e che si sa che li aizzano contro l’altro genitore.

Ma acclarata da chi, da quale studio eminente, oltre quello di Gardner stesso, del 1995, da quale seria ed accreditata teoria psichiatrica?

Questo non è dato saperlo.

Il dott. Vittorio Vezzetti, pediatra, invece interviene affermando che non è importante da quale pulpito provenga la teoria della Pas, non è importante se l’ideatore sia stato un uomo debole e con serie problematiche psicologiche.

Non è importante? Dobbiamo prendere per buona la teoria, assurta ormai a dogma, di uno che non era neppure professore universitario?

Il dott. Vezzetti afferma che anche questo non è importante, che ci sono stati premi Nobel, quali Jenner e Fleming che non lo erano.

Ma come? Stiamo parlando degli inventori del vaccino contro il vaiolo e della pennicellina!

Sinceramente il paragone non mi sembra calzante…

I due ricercatori hanno salvato milioni di vite umane, il dott. Gardner le sta distruggendo….

Inoltre sembra che non sia neanche importante il fatto che la Pas non sia riconosciuta dalla comunità scientifica mondiale.

E allora perché dovremmo riconoscerla proprio noi?

Siamo più competenti dei saggi della moderna psichiatria?

Inoltre il dott. Vezzetti afferma che non solo gli uomini usufruivano delle perizie del dott Gardner, ma il  10% dei casi trattati da lui erano donne.

Sarebbe interessante andare a verificare se quel 10% erano donne danarose in grado di pagare la parcella di 500 euro l’ora!

Molte altre considerazioni sarebbero da fare, ma il discorso sarebbe troppo lungo ed articolato.

Per concludere, ritengo che l’analisi del dott. Mazzeo sia ben fatta, sia condivisibile e ponga all’attenzione di tutti la grave problematica e gli effetti che ne deriverebbero.

Un’analisi supportata da un quadro di considerazioni con basi scientifiche di esperti, riportati da Cecilia Alagna nel Blog Velle et posse, che vi pregherei di andare a visionare perchè raccoglie molti dati.

Velle est posse

Psichiatri, psicologi, medici, giudici, giuristi portano dimostrazioni della mancanza assoluta di fondamento scientifico della Pas: La prof.ssa Carolyn Quadris dell’Università del South  Wales, Il Giudice Sol Gothard della Luoisiana, Il prof Mc Innes delll’University of South Australia, La psicologa Silberg di Baltimora, il pediatra Newberger di Haward, lo psicologo Bancroft,  il prof. Jon Conte dell’università di Washington e tanti altri……

Dagli studi di tali autorevoli personaggi emerge con chiarezza il fatto che la Pas, in ultima analisi, salva gli abusanti e riduce al silenzio l’altro genitore, fatto risultare matto, e distrugge i bambini.

Il giudice Sol Gothard, ad esempio, il quale si è occupato in Lousiana di più di 2000 casi di abusi su minori, ha manifestato contro la Pas, diagnosticata,perchè afferma che questa ha distrutto la vita di molti bambini.

Per non parlare della vicina Spagna, che sta subendo i gravi e deleteri effetti della diagnosi della Pas.

E’ del 2 giugno scorso un ottimo articolo della giornalista Rosa Montero, che su EL PAIS, una delle testate giornalistiche spagnole di maggior rilevanza, denuncia la Pas (o Spa), come la storia del terrore.

La giornalista si sofferma sull’ideatore della sindrome, per poi arrivare ad asserire che tale sindrome non è assolutamente riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e che è assolutamente pericolosa e demenziale.

La giornalista denuncia inoltre i terribili effetti che essa sta provocando nei tribunali spagnoli in cui, quando un bambino si dice abusato, gli viene immediatamente diagnosticata la Pas.

Perchè la società ha paura di riconoscere che l ‘incesto esiste.

Eppure, lei continua, serie statistiche hanno confermato che il 20-25% di donne e il 10-15% di uomini spagnoli dichiara di aver subito abusi.

Di questi, il 39% sostiene di essere stato abusato dal padre!

La giornalista, dunque, dice che la Pas, nei tribunali, non aiuta a comprendere quale sia la verità, ma serve anzi a nasconderla dietro una ipotetica malattia del bambino.

La Pas, in definitiva, serve a chiudere la bocca a donne e bambini…

A chiuderla bene.

La Pas, in Italia, col bollo della legge e non della comunità scientifica, diverrebbe molto pericolosa e come una bomba ad orologeria tra le mani di chi si troverà a decidere.

Termino con le parole del dott. Eli Newberger, insegnante presso Harward Medical School:

“La Pas è una teoria atroce…”

Attila è alle porte…..è la Pas…fermiamola.

FLO

Sole, mare, colazione al bar con la compagnia di sempre, giornali, commenti in libertà, critiche mordaci da cui non esce vivo nessuno, confidenze segrete, abbastanza pulcinelliane, sulle donne dei politici e sugli intrallazzi di palazzo.

Un fiume di parole…ascolto, ammicco,  mi  interesso, o fingo di interessarmi…

Ma davvero! ma che dici…aspetta, aspetta…chi è l’amante di chi, no, non ci credo…e va bè, che volete, saranno fatti loro…

Fino a che non arriviamo a commentare le pagine della cronaca…

Che orrore…ragazze violentate, donne uccise da mariti ed amanti gelosi e chi più ne ha più ne metta.

Tutti si fanno seri, finiscono i chiacchiericci, spunta uno stupore amaro, non si può non essere solidali nel dolore.

Io faccio osservare che, da mesi ormai, la pagina della cronaca sembra un necrologio al femminile: vittime su vittime, donne su donne, giovani e anziane.

A decine e decine, decimate come fossero insetti fastidiosi.

Negli ultimi anni la lista delle vittime è aumentata in maniera esponenziale: Monica, Rossana, Emma, Simonetta, Maria, Francesca…quante madri, quanti padri potrebbero aggiungere i nomi delle proprie figlie a questa lista, quanti fratelli, quanti parenti piangono delle vite, spezzate come fragili canne, dalla violenza funesta e distruttrice, che lascia un campo di macerie fumanti come al passaggio delle orde vandaliche.

Una lista senza fine…

Un vero e proprio bollettino di guerra.

La guerra…io,  grazie a Dio, la conosco solo attraverso i racconti dei vecchi. Ma le parole antiche che hanno tatuato i miei ricordi sono le storie ereditate dalle donne della mia famiglia.

Mia nonna, ad esempio, quasi mimava quando rammentava la calata dei nazisti, tra i poderi, fino alle case, dove le donne curavano i beni familiari,in attesa dei loro uomini  in guerra.

La corsa ai pozzi per nascondere l’oro, l’argenteria, la biancheria di famiglia che si tramandava da generazioni…insomma le cose più preziose.

Tutto era in pericolo, ma la cosa più difficile da difendere era il proprio corpo, velocemente infagottato in panni laceri ed informi, con i folti capelli mortificati in fazzoletti ben annodati.

Quando i nazisti passavano, nessuna donna era al sicuro.

Formaggi, olive, cereali, ogni alimento, conservato e razionato per non morire di fame in quei tempi infami, veniva servito per orientare gli appetiti maschili in quella direzione.

Che racconti!

Sono cresciuta con una folle paura dei nazisti e dei loro alleati…certe cose non si dimenticano.

Ma ricordo anche quelle confidenze tutte femminili, tra le donne della mia famiglia, d’estate, mentre fuori cantavano le cicale, ed io fingevo di dormire, nell’enorme stanza padronale, sul lettone di mia zia, con due materassi, altissimo da raggiungere per me, e tra un’infinità di cuscini rigorosamente di lino bianco.

Stavo ben attenta a non muovermi mentre loro parlavano, perchè sapevo che avrebbero smesso, dato che le cose che si dicevano non erano adatte alle mie orecchie.

Ricordo quei momenti tra i più belli ed i più intimi…

Bisbigliavano i loro segreti da donne, si confortavano, si consigliavano, si riprendevano, litigavano pure…

E così venivo a conoscenza della tragica storia della cugina di mia madre, quella dal sorriso spento e dagli occhi sempre tristi, condannata, per un errore giovanile, ad essere serva di un debosciato che faceva di lei quel che voleva…fino a che lei non si liberò da sola: suicidandosi.

La compativano e nel contempo piangevano la loro impotenza di donne.

Un’altra mia zia , invece, era sempre in lacrime per un suo amore segreto e confidava le sue pene  e mostrava i segni sul suo bel corpo, inferti da un marito violento.

Storie dolorose, da sussurrare, violenze, soprusi, inganni…

Storie che oggi ancora vengono sussurrate, ma che cominciano ad emergere dai fondali del nascondimento del moralismo benpensante.

Donne, tante donne, vittime.

Donne che ormai non ci sono più, che nessuno è riuscito a proteggere, donne che si sono salvate per miracolo, ma che ogni giorno debbono disinfettare le loro ferite mai cicatrizzate.

Donne che non hanno mai ottenuto una giustizia giusta.

Donne i cui aguzzini si ritrovano in libertà, magari per buona condotta o per i benefici del rito abbreviato, dopo qualche anno di carcere, forse in libertà vigilata, ma pur sempre in libertà e con la possibilità di crearsi pure una nuova famiglia….

Donne, per le quali il 18 settembre scenderanno in campo, per una manifestazione pacifica, a Roma, e secondo modalità che verranno presto indicate dagli organizzatori, tutte le persone di buona volontà che desiderino manifestare cordoglio, dolore e solidarietà per chi soffre le ingiustizie della violenza e nel contempo per chiedere una seria applicazione delle leggi vigenti in materia penale e per un inasprimanto delle pene, fin troppo leggere.

Tutti uniti, uomini e donne, per porre l’attenzione su tutte le vittime, non solo donne, ma anche sul numeroso elenco di bambini violati, maltrattati, oltraggiati, uccisi, o vittime di pesanti e non certo rari errori giudiziari che li portano a vivere reclusi e contro la loro volontà, in case famiglia, pur avendo dei genitori o dei parenti in grado di accudirli con amore.

Il 18 settembre, a Roma, nel cuore del nostro paese, palpiterà un popolo che chiederà ai suoi governanti di governare con giustizia, di giudicare con sapienza, di chiamare le vittime con il nome di vittime e gli assassini col nome di assassini e di dare a questi ultimi la pena che si meritano.

Perchè, come diceva spesso il grande papa Giovanni Paolo II, non ci può essere pace senza giustizia, né ci può essere giustizia senza pace.

E se l’Italia abdica alla giustizia, che ne sarà di noi italiani?

Il 18 settembre accenderemo una luce su tutte le vittime, le piangeremo, ascolteremo il loro grido di dolore, ma con forza e coraggio chiederemo giustizia.

Giustizia giusta per tutte, ma proprio tutte le vittime…..

Amici, diffondiamo…..al 18 settembre, e chi non può venire, ci sia col cuore.

FLO

Non so se tra voi, altri hanno vissuto la mia stessa esperienza, ma credo proprio di si.

Da bambina sono cresciuta cibata da grosse siringhe ‘anabolizzanti’ ormai in disuso (oggi ancora tremo alla vista),perché troppo magra, e in un mondo di favole che hanno sviluppato in me il senso del tragico.
Favole spaventose, in cui le streghe e gli orchi spadroneggiavano senza pietà.

Mia nonna mi raccontava storie che ancora oggi tento di rintracciare, in cui povere donzelle dovevano difendersi con le unghie e con i denti da uomini e donne senza cuore.
Ascoltavo con gli occhi sgranati e non ne ero mai sazia.
La mia povera nonna doveva ripetermele all’infinito e sempre aggiungeva, di volta in volta, particolari agghiaccianti per la mia mente allenata.

Il lieto fine comunque giungeva liberatorio, ma la notte, pensavo e ripensavo, persa in un mondo in cui difendevo in prima persona bimbetti e donzelle, suggerendo loro come liberarsi dalle matrigne cattive o dai lupi mannari.

Quest’arte notturna ha affinato in me, senza che me ne accorgessi, un grande istinto alla sopravvivenza in qualsiasi situazione e, per contro, un forte desiderio di ricerca del comico.

Possedevo poi tutta una collana di libri per ragazzi molto in voga, in cui l’anima tragica aleggiava in ogni pagina, ogni riga, ogni parola.

E giù lacrimoni e lacrimoni, che non condividevo con nessuno per orgoglio.

Che mondo quello dei bimbi! Dovremmo ricordarci più spesso di come eravamo, invece di arroccarci nei nostri schemi mentali.


Ma soprattutto, un libro che mi ha molto scosso è stato “Senza famiglia”, letto e riletto fino a che il dolore toccava le viscere più profonde.
Ero una bambina molto felice, sempre allegra, ma ero anche capace di piangere tutte le mie lacrime per i diseredati ed i miei eroi.
Non potevo accettare che esistessero bambini senza alcuno al mondo ad accudirli, non ne conoscevo personalmente e quindi per me rimanevano personaggi dei romanzi.

Non vi dico poi con “Piccole donne”, che avrò letto mille volte e in cui, per la prima volta trovavo ragazze in cui immedesimarmi con piacere.
Desideravo avere tutta la timidezza e la dolcezza di Beth, la bellezza di Amy, l’eleganza di Meg, ma il cuore l’anima, l’estro, la risata e la passionalità di Jo, la scrittrice.
Amavo Jo, è stata il mio idolo. Io ero Jo…ad eccezione del fatto che avrei sposato il ricco Laurie e non il povero professore tedesco con le calze tutte rotte.
Ma soprattutto desideravo imitare Jo, sognando di occuparmi un giorno di un orfanotrofio, pieno di bimbi abbandonati.
L’ho sognato per anni, decidendo anche il posto e la casa più adatta, poi la vita mi ha portato verso altre scelte, dimenticando i miei sogni di ragazza.
Sogni che si basavano su un ideale romantico dell’orfanotrofio, in realtà non ne avevo mai visto uno…
Ora che ne conosco, sono spariti i sogni: l’amarezza ed il cuore gonfio hanno preso il sopravvento.

Anni fa, per lavoro, conobbi due adolescenti, gemelli, che avevano subito violenze inimmaginabili dal padre ubriaco, quali ad esempio essere legati ad un albero e sentir spegnere sul proprio corpo le cicche di sigarette. I due mi raccontarono che furono ospitati in un orfanotrofio, dove venivano imbottiti di sonniferi perché non dessero fastidio e dove venivano trattati malissimo. La loro fortuna fu una meravigliosa coppia che li adottò entrambi e che li amava con tutto il cuore. I due ragazzi, pur con danni evidenti nel linguaggio e nell’anima, hanno trovato la loro strada e sono rinati….

Ho scoperto un mondo che non credevo esistesse , almeno nei termini che riferirò, un mondo che avevo lasciato relegato, dimenticandolo, al mondo delle favole.

Il dramma degli orfanotrofi, chiamati ora con una terminologia più rassicurate ed accogliente: le case famiglia.

Avevo sempre creduto che negli orfanotrofi vi abitassero a tempo determinato, fino alla maggiore età, bambini senza nessuno al mondo.
Quando, anni fa, cominciai ad occuparmi di ragazze scampate alla violenza gratuita di omuncoli crudeli, che tra l’altro reclamavano spudoratamente i figli, scoprii che lo spauracchio più grande per mamme, avvocati e periti di parte, era quello di vedere prelevare i bambini, su relazione dei servizi sociali e con provvedimento del giudice competente, per indirizzarli nelle strutture preposte, chiamate appunto case famiglia.

Le mamme, sempre più spesso, venivano e vengono considerate inidonee a conservare la patria potestà, perché accusate di instillare nei propri figli un odio incontrollato nei confronti del padre, con chissà quali arti di moderna stregoneria, se per caso i figli raccontano episodi di violenze od abusi.
In pratica, lì dove non viene riconosciuta una violenza od un abuso, è la madre ad aver inventato tutto. Ma anche se la violenza o l’abuso sono stati accertati, la madre spesso rimane colpevole ed incapace.

Se una volta le streghe erano da condannare alla morte, oggi queste mamme sono le novelle streghe, da consegnare al rogo.

Un rogo che sta mietendo vittime su vittime, madri su madri, nonostante non se ne parli o si cerchi di sdrammatizzare, assicurando che le informazioni sui ‘figli sequestrati dallo Stato’ sono esagerate e senza fondamento.

Anche io, dall’alto della mia intelligenza (vi giuro, lo dico con ironia), dall’alto delle mie competenze e dei miei studi (sempre con ironia), quando cominciai ad intravedere questa orribile realtà, ho avuto più di un moto di ribellione.
-Ma vi pare- dicevo credendoci –che tolgono i bambini alle madri senza un motivo più che grave? Ma che dite, non esagerate, saranno madri matrigne!- continuavo, credendo che la ragione trionfa sempre sull’ignoranza, l’intelligenza sulla stupidità, il cuore sull’indifferenza, l’amore sull’odio.
Fiduciosa quindi, che l’operato di chi ha poteri decisionali fosse sempre lmpido e sinonimo di certezza della verità.

Purtroppo sbagliavo…

Ho scoperto che madri degne subivano e subiscono sentenze ingiuste che le condannano, che bimbi non creduti nelle loro denunce, venivano e vengono presi tra grida e lacrime, senza poter rivedere la madre ‘pericolosa’ per mesi e mesi. Gli stessi figli erano e sono però, costretti ad incontrare il padre violento od abusante, in maniera protetta, ma con la forza.

Donne e bambini al rogo.

E questo rogo purtroppo arde ogni giorno e si nutre senza pietà.

I bambini non votano- continuano a dirmi per giustificare l’impossibilità che qualcuno possa prendere realmente a cuore questa problematica.

I bambini non votano, ma le donne sì, almeno questo diritto per loro è acquisito. Le donne e tanti, ma tanti uomini veri, padri e compagni amorevoli che hanno a cuore la vita ed il futuro dei bambini.

Insomma, le case famiglia, per la maggior parte, non sono quegli orfanotrofi che tentano di dare una casa ed un tetto a chi realmente non ha nessuno. Devo per amor di verità aggiungere che vi lavorano anche tanti operatori meravigliosi, qualcuno ne ho conosciuto. Ma ciò non cambia la sostanza: nelle case famiglia ci vivono pure bambini e ragazzi che una famiglia ce l’hanno, una madre, dei nonni, dei parenti…e che quindi non dovrebbero essere lì.

Oggi, infatti, molte case famiglia sono pieni di bimbi e ragazzi allontanati con la forza dalla vita familiare e dagli affetti, strappati alle madri già piagate dalla violenza di un uomo che uomo non è.

Quante storie vere finora ho proposto nel mio blog, quante purtroppo continuerò a raccontarne, con la morte nel cuore e con la volontà di scardinare recenti luoghi comuni duri a morire e di lenire la durezza degli esperti convinti della bontà delle case famiglia per bambini, a loro dire, condizionati da madri malate di troppo amore.

Vorrei spegnere il rogo, vorrei fermare questa caccia alle streghe perché le streghe non esistono.
Vorrei che i bambini fossero trattati con rispetto e che fossero rispettati tutti i protocolli creati per difenderli.

Il mio compito è informare, diffondere il più possibile, provare a riflettere su tematiche così ardue, cercando di operare una critica costruttiva ed un confronto.

Il mio ‘vorrei’, però, tutto solo soletto, rimane un condizionale che sporca un foglio bianco.
Potrebbe però divenire ‘vorremmo’, anzi ‘vogliamo’, se voi che leggete declinate il mio vorrei.

Noi possiamo, sì noi possiamo insieme. Non criticate questo slogan così usato ed abusato nelle ultime campagne politiche al di là dell’oceano e al di qua.
We can.
Noi possiamo smuovere le coscienze annebbiate, tentare di abbandonare gli schemi di chi, come me una volta, crede che non sia possibile che esista una realtà del genere.
Noi possiamo…per i bambini, i ragazzi e le loro madri.
Glielo dobbiamo
.
Spegniamo i roghi.

FLO

Negli ultimi tempi mi sono dedicata a scrivere, più o meno indegnamente, di storie di donne che hanno subito lo stalking, come si usa dire oggi, anche se io preferisco di gran lunga la terminologia italiana e preferisco parlare di violenza, di lesione della libertà della persona, di grave attività persecutoria, di inseguimento e pedinamento fisico e psicologico.

Avendo conosciuto tante donne che hanno vissuto in prima persona la violazione della propria intimità, alcune delle quali sono sopravvissute per chissà quale miracolo alla furia di tanta crudeltà, non potevo non soffermarmi a riflettere su questa problematica.
Perché di problema serio e reale si tratta oggi: aprite qualsiasi cronaca di giornale e balzano come cavallette episodi di violenza efferata nei confronti delle donne.

Comunque non ho mai dimenticato il mio primo impegno, quello verso le donne violate che, in nome della più alta e nobile giustizia italiana, vengono allontanate dai propri figli o rischiano di esserlo.

Speravo forse che staccando un poco la spina dalla tematica, questa si dissolvesse come per incanto?
Forse.

Invece, continuano ad emergere nuovi casi, sempre più numerosi, nuovi drammi dai risvolti e dalle dinamiche talmente assurde da lasciare le persone di buon senso esterrefatte.

Sì, perchè qui l’absurdum fa a cazzotti col sano buon senso, quello salomonico, per intenderci, ed il primo sembra aver prevalso in molte scelte, travestendosi da coraggiosa soluzione salvifica per minori in balia di madri troppo materne.

Ed inoltre debbo osservare con costernazione che, mentre ormai le testate nazionali danno risalto allo stalking, anche perché in moltissimi casi ci scappa il morto, anzi la morta (perdonatemi la crudeltà), delle storie di bambini allontanati dalle loro madri, si trovano dei trafiletti nei giornali locali.

Eppure per un bambino, essere allontanato in maniera coatta dalla madre è come morire….
Eppure per una madre, vedersi strappare il proprio figlio è come morire…

Le nuove morti bianche…
Morire alla vita, alla libertà, al futuro, esseri imprigionati in una storia che non si è scelta…

Vi presenterò oggi, la storia di due donne a cui daremo un nome di fantasia: Luisa e Barbara.

Solo il nome è inventato, magari lo fossero pure le loro vicende!

Luisa è una docente universitaria, Barbara una giornalista: due donne capaci, che hanno dedicato la loro vita allo studio, alle scelte lavorative e che hanno fatto carriera, ognuno nel proprio campo.

Donne sicure, intelligenti, ben inserite nel tessuto sociale e con tutte le carte in regola per un futuro ricco di prospettive.

Donne che ad un certo punto hanno desiderato formare una famiglia, sono diventate madri, hanno cercato di crescere i propri figli con tutto l’amore che portavano dentro, nonostante il fallimento del rapporto con il loro partner.

Donne che si sono ritrovate in solitudine, distrutte, sull’orlo di un baratro di dolore assolutamente impossibile da gestire.

Donne sole, analizzate come animali da laboratorio, giudicate inidonee a continuare ad accudire i propri figli, loro, così abili, così capaci nella vita…

Absurdum che prevale sul buon senso…

Luisa, professore di una notissima università italiana ha una figlia 14 anni, Ginevra.

Ginevra si trova da ben due anni in una casa famiglia, di un noto quartiere romano.
Motivazione?
PAS, naturalmente.
La ragazza ha difficoltà a relazionarsi col padre, in parole povere non vuole vederlo, osteggia, in tutti i modi, gli incontri programmati dal tribunale dei minori.

Ginevra è nata fuori del matrimonio, è una figlia naturale.

Luisa, la madre, dopo una breve convivenza col padre di Ginevra, lo abbandona per motivi legati a gravi vicissitudini penali dell’uomo, il quale, per un certo periodo sparisce facendo perdere tracce di sé e non preoccupandosi mai della figlia.

Nel frattempo Luisa conosce un uomo che sposerà, che la aiuterà a crescere Ginevra, che le è stata affidata in via esclusiva dal tribunale, fino al giorno della sua morte precoce.

Ma il padre naturale di Ginevra ricompare sulla scena accusando Luisa di avergli impedito per tanti anni di vedere sua figlia ed inizia una feroce battaglia legale.

Da un lato Luisa, che ha cresciuto sua figlia con tanto amore e dedizione, dall’altro un uomo che si ricorda di avere una figlia, che rivendica il suo ruolo di padre da cui ritiene essere stato defraudato ingiustamente e che chiede al Tribunale dei Minori l’affido della bambina ai servizi sociali, pur di allontanarla dalla madre.

Come dirimere una questione così difficile?

Intanto la bambina viene sottoposta a numerosi pomeriggi di incontri con gli esperti, a fare test su test, come deciso dal giudice di competenza.

Tutte le analisi effettuate e la perizia del CTU non riscontreranno alcuna anomalia in Lucrezia.

Ma i servizi sociali inizieranno a far ventilare la PAS,un’ipotesi che poi, pur rimanendo ipotesi, sarà la strada dell’ingresso di Ginevra, all’età di 12 anni in casa famiglia, un bellissimo carcere a tempo determinato…
Perché come volete chiamarlo un istituto in cui sei costretta a vivere contro la volontà propria e quella della madre che ha cresciuto sua figlia da sola?

Eppure è un luogo comune affermare che ormai in carcere non ci va più nessuno!
I bambini sì, sappiatelo, vanno in carcere.

Mentre noi siamo qui a lavorare , a fare quello che dobbiamo o vogliamo fare, ci sono bambini costretti a vivere dove non vogliono, pur avendo una madre ed una bellissima casa che li aspetta.
Che dire di più?

Devo far trapelare maggiormente la mia indignazione?
Indignatevi con me, per favore.

Luisa ha perso la patria podestà, lei così in gamba sul lavoro, lei così brava a crescere sua figlia.
Il padre naturale, mantiene la patria podestà.

Luisa non può occuparsi di sua figlia, non può parlare con i professori, non può portarla da un medico, ma si fa carico di ogni spesa, dai libri al vestiario a tutto ciò che serve, nonostante i finanziamenti stanziati per Ginevra.
Ogni due settimane, sì avete capito bene, ogni due settimane, per il week end può vedere sua figlia, stare con lei e poi riportarla in casa famiglia.

Casa famiglia…che nome dolce…
Non vi si strappa il cuore dal torace?

Purtroppo questa è una delle tante storie fotocopia, in cui i servizi sociali relazionano quanto pensano di aver riscontrato ad un giudice che, in seconda battuta, può disporre l’allontanamento del minore dalla madre.
Ipso facto.

Credete che Ginevra sia stata interpellata?
Certo che no.

Che strano, oggi i nostri giovani sono talmente indipendenti da decidere sin da piccoli addirittura come vestire…
Per la legge invece un minore non può proprio decidere niente.

Minore o minorato?
Minorato. Non in grado di saper decidere senza supporto.

PAS, questa sconosciuta ai molti, di cui ho tanto scritto, ma che continua a provocare morti bianche…

L’altra storia di cui vorrei parlarvi è quella di Barbara, una giornalista, madre di due figli molto piccoli che si è separata dal padre dei suoi figli.
In fase di separazione, il marito ha presentato ai giudici una vecchia cartella clinica che documentava una fase di anoressia di cui Barbara aveva sofferto.
Nella lotta per l’affido dei figli, questa antica malattia di Barbara ha giocato un ruolo particolare, per cui è stata sottoposta a perizia per verificare la sua idoneità ad allevare e crescere i suoi figli.

Barbara è stata periziata, si sono svolti due soli incontri, in cui è stata osservata mentre giocava con i suoi figlioletti.
Ha giocato con i birilli, è stata costretta a giocare con i birilli assieme all’ex marito, naturalmente con i figli.

Evidentemente il marito ha giocato meglio di lei, che invece ha avuto l’ardire, mentre era esaminata, di prendere in braccio suo figlio per consolarlo durante un pianto, o di accarezzare l’altro…

In base ai risultati della perizia, un giudice ha dichiarato Barbara inidonea a crescere i suoi figli perchè “il rapporto simbiotico e il legame troppo profondo…potrebbe creare un impasse evolutiva” nei bambini.

In parole povere Barbara rivela un eccessivo attaccamento ai suoi figli.
Meglio quindi il padre, più idoneo lui.

Barbara perciò si è ritrovata da un giorno all’altro senza figli, con un dramma affettivo impressionante, sola a lottare contro tutti.

Perché quando c’è una sentenza in tal senso, è difficile trovare solidarietà.
Tutti credono che se un giudice ha deciso così, lo ha fatto perché assolutamente certo della verità e con in mano delle prove al di sopra di ogni possibile rivendicazione.
Barbara, giornalista, non ha trovato nessuno dei suoi colleghi che la sostenesse, nessuno che si curasse di aiutarla, di raccontare il dramma delle madri senza figli dei figli senza madri.

Il dramma nel dramma: nessuno che si curi di queste madri coraggiose e di questi figli che subiscono l’absurdum.
Nessuno che ascolti…

FLO

A s s a s s i n i o e f f e r a t o, o m i c i d i o, a c c o l t e l l a m e n t o, s t r a n g o l a m e n t o, r e c i s i o n e d a p a r t e a pa r t e, t or t u r a, o m i c i d i o c o l p o s o…

Parole gravate dal peso dell’orrore, macchie che imbrattano la bellezza della vita, che assalgono con la loro violenza, eppure così presenti nei nostri discorsi, da perderne, a volte, la portata angosciante.

Per questo scandiamole bene, imprimiamole con l’inchiostro, perchè dietro ognuno di questi orribili lessemi ci sono infinite tragedie umane, vite che volevano vivere, distrutte e deturpate.

Dietro ogni suono pulsa il dolore di chi rimane.
Come Patrizia Genta, che versa le proprie lacrime bagnate di rabbia e rancore perché, per l’ennesima volta, la giustizia è stata ingiusta.

Patrizia piange sua figlia Emma.

Mi scrive il suo dolore, mi racconta le sue cadute nel baratro della disperazione da cui spesso non vorrebbe risalire, ed il suo rialzare il capo e provare ad incontrare nuove ragioni di vita.

Perché Emma era la sua ragione di vita.

L’aveva partorita a vent’anni, e l’aveva cresciuta con tutto l’amore di cui era capace.
Sola. O meglio con l’aiuto di una grande e problematica famiglia, ma sola.

Il padre di Emma, non se l’era sentita di rimanere accanto a loro e le aveva abbandonate.

Un abbandono molto doloroso per Emma che amava quell’uomo irresponsabile e che si trovò a fronteggiare una situazione non certo semplice per una ragazza madre che viveva a Napoli.

Fu così che ad un certo punto Emma e la sua famiglia d’origine decisero di trasferirsi a Foligno in Umbria, con la speranza di garantire speranza di vita migliore per tutti e soprattutto per la bambina.

Emma, comunque, crebbe bella, gentile e buona d’animo.

Era anche una ragazza molto fragile ed insicura, perché aveva sempre desiderato di essere amata da quel padre che l’aveva abbandonata ed aveva dovuto superare una delusione dopo l’altra.

Aveva una madre, che la proteggeva, ma suo padre…non valeva forse l’amore di suo padre?

Sognava una famiglia, un uomo da amare e da cui essere contraccambiata, a cui affidare il suo futuro, le sue speranze, desiderava dei figli su cui riversare quell’amore troppo grande da contenere per sé.

Amava gli animali…la sera se ne andava in giro per il quartiere a lasciare di quà e di là il cibo per loro.
Era una gattara…o meglio un’animalara (mi permetto di coniare un termine nuovo).

Generosa, sincera, sognatrice…ma anche molto ingenua.

Comunque, ormai trentenne, trovò un uomo, un marocchino, di cui si innamorò, al punto da desiderare di sposarsi, di andare a vivere con lui, nonostante tutte le perplessità della madre, sempre preoccupata per la felicità della figlia.
Fu così che, proprio il giorno del matrimonio, per festeggiare, incappò nel ristorante, il cui proprietario divenne il suo assassino.
L’uomo si offrì di affittare ad Emma ed a suo marito un appartamentino, una soffitta situata proprio sopra la sua abitazione.

Ad Emma parve che il futuro le spalancasse le porte del paradiso: una nuova vita e sotto i migliori auspici ora che aveva trovato una casa…

Purtroppo la maggior parte delle volte la realtà cammina esattamente all’opposto delle favole, su binari diversi ed in direzione contraria.

I rapporto tra proprietario ed inquilini furono da subito difficili a causa delle continue vessazioni del proprietario, che non smetteva mai di rimproverarli, per ogni cosa, per motivi più o meno futili.

Finché l’uomo, decise di sbatterli fuori di casa con ogni mezzo, adducendo a giustificazione il fatto che l’affitto non era stato onorato.

Emma chiedeva almeno il tempo di potersi cercare un’altra sistemazione, ma nulla da fare…e le violenze verbali erano all’ordine del giorno, al punto che, una volta, alcuni agenti delle forze dell’ordine, accorsi sul posto, consigliarono ad Emma di denunciarlo per le aggressioni verbali e per la gestualità violenta ed aggressiva.

Emma non lo fece…

Fu così che, la sera del 28 aprile 2008, Emma rientrata a casa, trovò la serratura cambiata e le sue cose buttate fuori in sacchi della spazzatura.

Corse a rendere conto al proprietario di casa, arrabbiata, molto arrabbiata per essere stata trattata come una persona senza dignità e a cui non si doveva il giusto rispetto.

Entrò come una furia nel ristorante gestito dal proprietario di casa, seguita da una sua amica, unica testimone (il marito era fuori città per lavoro).

Nacque un diverbio, l’uomo si recò in cucina, prese un coltellaccio di 32 centimetri di lama e colpì, durante una colluttazione la povera Emma.

Fu colpita al fianco, una ferita mortale.

All’età di 31 anni Emma, perse la vita.

E con lei, morì nell’animo, sua madre.

Vite spezzate, distrutte dalla furia omicida di uomini senza freni, armati fin dentro al cuore di violenze, omicidi, brutture.

Ci fu un processo lo scorso anno, col rito abbreviato, naturalmente.

Il Pubblico ministero Daniela Isaia, chiese 30 anni di galera.

Non potè richiedere l’ergastolo perchè, essendo il processo con rito abbreviato, bisognava considerare un terzo di sconto della pena, quindi 30 anni erano il massimo.

Sconto della pena...
Mi suona strano in questi casi in cui una vittima è lì a terra senza vita.
Non pare anche a voi?

Comunque la conclusione del processo portò alla pena esemplare, ma proprio tanto esemplare, di 14 anni e 8 mesi.

14 anni e 8 mesi.

Lo ripeto, perchè non riesco proprio a capire come poi, pochi mesi dopo, alla conclusione definitiva del processo, l’assassino, grazie alle attenuanti generiche, si sia ritrovato a scontare la pena agli arresti domiciliari, con la possibilità di lasciare la sua abitazione a orari prestabiliti.

Io ancora sono costernata.
Voi come state?
Tranquilli? Tutto ok, tutto ok?

Non credo.

Comunque oggi la mamma di Emma, che dovrà proseguire i suoi sogni in paradiso, non perché l’abbia deciso Qualcuno più in alto di noi, ma per volontà di un individuo, dicevo, la madre, dovrà sempre vivere con l’incubo di incontrare l’assassino di sua figlia.

Anzi è già successo mentre portava a spasso il cane.

Se lo è trovato dinnanzi in uno dei suoi orari prestabiliti, lui è stato minaccioso e l’ha trattata con arroganza.

Lei, la madre della vittima.

Cari lettori, tutto ok, tutto ok?
Non credo.

Patrizia non esce quasi più di casa, è sola nel suo dolore, arrabbiata, a me pare che sia stata anche un poco abbandonata e che non ci sia molta solidarietà intorno a lei.

Patrizia è chiusa ne suo dolore e sola, molto sola.

Ha scritto una lettera al Ministro Alfano, denunciando quello che è accaduto, cioè che l’assassino di sua figlia gira indisturbato per il paese e che lei trema ogni volta che ne percepisce la presenza.

Sarà mai degna di una risposta?

Ecco, ora lo chiedo io, a tutti ed in primis al Ministro Alfano:

Ministro, mi permetta, non crede che qualcosa debba cambiare in questa nostra giustizia ingiusta? Un suo interessamento a questa e ad altre vicende della stessa portata, sarebbe indispensabile. La ringrazio per l’attenzione.-

Sarò degna di una risposta?

Veramente dovrebbe esserne più degna Patrizia, la madre.

Comunque al massimo saremo in due a non esserne degne.

Perchè io voglio stare dalla parte delle vittime e mai degli aggressori.

Che dite, cari lettori: tutto ok, tutto ok?

FLO


Tutte le Istituzioni Protettive, e parimenti le Istituzioni Punitive (Carceri), sono essenzialmente punitive delle colpe che i minori sono costretti a subire, a causa delle proprie menomazioni, costituite da: povertà (la famiglia non ha mezzi sufficienti di sostentamento), disabilità (handicappati), caratterialità (ragazzi difficili), perdita dei genitori (orfanotrofi), separazione dei genitori, bambini in carcere con la madre, ecc.
Inoltre in nome dell’affermazione che i vecchi diventano bambini: anche i Ricoveri di Anziani sono altrettante caserme.

Pertanto il ricovero in questi Istituti è anche un gesto di colpevolizzazione dei minori, a causa delle suddette menomazioni, per le quali vengono appunto istituzionalizzati.

L’istituzionalizzazione purtroppo è anche la dimostrazione dell’affermazione biblica: ”i vostri padri hanno mangiato l’uva acerba e i figli sono nati con i denti legati”.

Fondamentalmente tutti gli Istituti di Protezione sono identici alle Caserme Spartane, dove i maschietti di 4 anni venivano militarizzati, per formare l’ideale del maschio-soldato spartano.
Infatti tutti gli Istituti debbono adottare una disciplina che renda possibile la loro esistenza.

Ovviamente il mantenimento è accompagnato dalla “educazione”, o “formazione”, che in questo contesto disciplinare si può definire “condizionamento psichico”, che influenzerà tutta la vita degli ex-ricoverati nelle Strutture Protettive.
Forse gli handicappati potrebbero avere bisogno di una assistenza medica, ma ciò non toglie che purtroppo sono sottoposti a disciplina.

Tutto è dimostrato dal fatto che tutti gli istituzionalizzati o i ricoverati se possono scappano il più presto possibile, salvo il processo di condizionamento che li ha persuasi a continuare a restare.

Il processo di civilizzazione comporterebbe che finalmente ogni istituzionalizzazione scomparisse, per dare spazio alle familiarizzazioni, oggi sempre maggiormente possibili. Evidentemente va difeso il diritto di scelta di membri che appartenevano alla propria famiglia, distrutta dalla separazione.
Il Prof. Basaglia è riuscito a fare scomparire i Manicomi, che comunque avevano tante e inenarrabili analogie con le Istituzioni Protettive.

Si potrebbe anche affermare che specialmente l’Istituto Protettivo, pur essendo compensativo di tante carenze, è anch’esso uno psicofarmaco, che condiziona il cervello dei ricoverati.

Pertanto Istituzionalizzare un bambino per sottrarlo al rapporto nefasto con i genitori, o con uno dei genitori, è una violenza peggiore della violenza psichica subita dalla loro separazione. È un punire lui a causa della separazione dei suoi genitori, oltre che essere anche una punizione di uno o dell’altro genitore che non lo ha voluto, o che non permette che l’uno o l’altro benefici della scelta del figlio di restare assieme.

Quindi, in occasione della separazione dei coniugi: anzitutto il primo diritto che esiste e deve essere affermato è la libertà di scelta fatta dal bambino, anche qualora fossero più fratellini e scegliessero tutti di stare tutti dalla stessa parte, trattandosi di esseri umani e non di merce.
Semmai il giudice deve accertarsi che il bimbo sia veramente libero di scegliere e non sia influenzato da subdoli ricatti o minacce.

In base a questi principi naturali, oltre che umani: sembrano inutili le sempre più numerose associazioni, specialmente maschiliste, che vogliono affermare o contrattare i diritti genitoriali; infatti sono tentativi di perversione di una legge naturale, che deve restare indiscutibile.

(Dr.Giovanni Basso – Psicologo-Psicoterapeuta e Perito Grafologo)

Lo so, il titolo è orribile a leggersi, ma è la storia di cui parlo ad essere tanto mostruosa da non meritare altra intestazione.

Basta, non ci sto più ad edulcorare ciò che è amaro come il fiele e pure di più.

Non ci sto ad indorare una situazione che invece va presa di petto e chiamata con i termini che le si addicono…

Impariamo tutti a dare il nome alle cose nella maniera giusta, ad utilizzare per ciò che è bello tutto ciò che nel vocabolario lo richiama, a designare ciò che è brutto, con ogni stortura sintattica e semantica.

In questo caso la storia del piccolo Alessandro è la tragedia di una vittima che non si è mai potuta difendere ed è stata lasciata in balia del suo assassino.

Leggevo proprio ieri sera un settimanale.

Ogni giornale di questo tipo che si rispetti, spazia ad ampio raggio, informando sui fatti di politica, sullo sport, sulla moda, sulla bellezza, sulla salute, portando alla ribalta le ultime novità in ogni campo.

Non manca mai però la pagina dedicata ad un fatto di cronaca.

E proprio ieri, il settimanale in questione proponeva un fatto cronaca nera di pochi mesi fa, in cui ha perso la vita un bimbo di pochi mesi, il cui nome era Alessandro.

Un piccolo, preso con violenza e sbattuto a terra più volte, come fosse un giocattolo vecchio.

Il bimbo è morto con il cranio fracassato, il corpo scomposto…ha bussato al paradiso molto prima del suo tempo…

Perchè il suo tempo non era arrivato.

Era un bambino sano, cresceva bene fisicamente e sarebbe divenuto un uomo.

Un uomo in meno, un baby angelo in più in paradiso.

Perchè un’unica certezza ce l’ho: esiste il paradiso ed esiste una giustizia divina…

Senza questa certezza la vita sarebbe una strage senza senso, un occhio per occhio, dente per dente all’ultimo spasimo.

Alessandro aveva una mamma, che si era invaghita di un uomo che era divenuto il suo amante.

Fin qui nulla di male.

Se non per il fatto che quell’uomo non era un amante delicato, ma dedito alle droghe, una passione che sembra condividesse con la compagna.

Insomma  non ci troviamo di fronte ad un agnellino, ma ad un tipo violento nelle espressioni e nei gesti.

Vivevano insieme, una nuova famigliola tutto sesso e droga con un piccolino che c’entrava come cavoli a merenda….

Perchè non era certo luogo adatto per un bimbo che ha bisogno di tante cure, tanto affetto, tante coccole, tanti pussi pussi, ciciolino, cicioletto ed altre chicche che si dicono ai bambini…

Una sera, una di quelle un poco hard, sembra che non ci fosse droga.

Allora la mamma di Alessandro, da brava massaia, è corsa a fare la spesa…sembra di una bella dose…

Al ritorno, ha aperto la porta dell’appartamento situato in un residence genovese, ha visto il bambino sul divano avvolto in non mi ricordo che e, invece di sincerarsi su come stesse, sul perché a quell’ora tarda si trovasse sul divano, invece di portarlo alla sua culla, se ne è andata bella bella, con la sua dose al posto dello champagne, a folleggiare con il suo amante.

La mattina dopo il dramma…la donna trova Alessandro freddo come un cadavere…perchè cadavere lo era davvero.

Non vi lamentate, l’ho detto che sarò cruda.

A questo punto iniziano le indagini ed è subito chiaro che il bambino non è morto di morte naturale.

Cominciano i sospetti, vengono arrestati entrambe le persone coinvolte: la madre del bimbo ed il suo compagno.

Iniziano le accuse reciproche, Adamo contro Eva, ma stavolta le accuse sono ben più gravi di una  misera mela, pur se gradevole  a vedersi ed irresistibile…

Madre contro amante, amante contro amante.

Lui dà una versione, lei un’altra…

Alla fine gli inquirenti, anche avvalendosi di quanto emerso dalle telecamere che controllavano il recidence, giungono alla conclusione che il vero assassino è l’uomo.

Per cui la madre di Alessandro viene scarcerata, perchè non colpevole.

L’uomo nelle sue accuse nei confronti della donna, aveva raccontato che l’aveva vista prendere il figlio e scagliarla più e più volte a terra….

Probabilmente raccontava la verità, ma modificando la versione dei fatti a suo vantaggio.

Perché è ormai chiaro che, mentre la donna era uscita a fare la ‘spesa’, lui ha infierito sul bambino, che forse si lamentava, piangeva, chissà…

E’ ormai anche accertato che l’uomo già in precedenza, di fronte agli amici e parenti, aveva manifestato un atteggiamento infastidito e violento nei confronti del bambino.

Ci sono le testimonianze…

Che dire?

Ora l’assassino è in galera, la madre è libera, spero con un fardello di sensi di colpa incredibile ed il piccolo Alessandro non c’è più.

Il Carducci lo piangerebbe sopra la sua tomba, nella misera terra da cui tutti veniamo, io lo penso dove credo che sia…nel paradiso degli innocenti…

Ma anche se Alessandro ora vive, la rabbia per la sua assenza ci deve interrogare, non ci può lasciare indifferenti.

E’ facile, voltare pagina del settimanale e farsi poi attrarre dall’ultima marca di occhiali da sole.

No, io non lo voglio.

Vorrei riflettere su questa storia…che potrebbe essere la stampa di tante altre fragili storie.

Quanti bimbi non sono cresciuti con il dovuto amore e la dovuta attenzione?

Penso alla madre…

Non colpevole.

Ma una donna è sempre colpevole se finge di non vedere…

Una donna non può non accorgersi se nella sua famiglia un figlio viene trattato con violenza.

Una donna non deve mai dire…non posso fare nulla.

Una donna non deve permettere che l’infanzia venga violata…

E se non riesce ad intervenire in tempo, una donna ha comunque il dovere di proteggere e difendere chi difendersi non può.

Se si vive accanto ad un uomo violento, bisogna tagliare, chiudere la storia.

Quale amore può tenere legate le donne ad un uomo così?

Quale affetto morboso, quale nascosta motivazione, quale vincolo indissolubile?

Non ne vale mai la pena…mai.

Un uomo violento può offrire solo una mela marcia alla sua donna…la mela avvelenata delle favole, in cui lui è la strega, un essere che non sa cosa siano il rispetto e la tenerezza, cosa siano l’amore, la condivisione e tutto il resto.

Una storia come quella di Alessandro non va catalogata nella dimenticanza della cronaca nera, che è una cloaca sempre piena e sempre da spurgare…

Una storia come quella di Alessandro deve interrogare tutti coloro che, parenti, amici, conviventi, nascondono anche a se stessi la crudele verità e non intervengono, lasciando poi al tempo le conseguenze.

Non nascondiamo, se ne siamo a conoscenza la crudele verità…

potremmo un giorno ritrovarci nel girone degli ignavi…

Salviamo una vita, se possiamo…

E possiamo.

FLo

In questi giorni, sul filo di fsb, corrono veloci i commenti e lo sgomento per la scandalosa pubblicità alla giornata dell’orgoglio pedofilo.

Orgoglio pedofilo è ertamente quanto di più indecente ho letto negli ultimi tempi.

Ebbene, è ora che si aprano gli occhi su una problematica che ancora fatica ad essere accettata: la pedofilia esiste ed i pedofili vorrebbero avere campo libero di azione in scuole, centri per bambini e quant’ altro.

E’ ora di smetterla di dire:

-Ma Flo, non esageriamo, un piccolo gruppetto, un numero infimo e circostanziato, frutto di un mondo che vive ai margini della società…stiamocene lontani!-

E’ ora di smetterla di giustificare sempre con commenti superficiali e che non hanno alcuno spessore e dignità di pensiero.

Con buona pace di molti politici che, chissà perché, difendono a spada tratta personaggi accusati di pedofilia, lanciando strali contro le vittime ed i loro familiari, o che si permettono di apporre le loro firme su emendamenti che lasciano perplessi e sconcertati, al punto che uno si domanda:

-Ma ci è o ci fa?-

Sicuramente qualcuno ci è e, sicuramente, qualcuno ci fa!

Uniti diventano una miscela fetosa che rischia di far collassare le ragioni della giustizia italiana su queste tematiche.

Dunque, il pedofilo esiste, sa ben nascondersi e molto spesso non viene dai luoghi più degradati a livello sociale e culturale…

Anche da quei posti, in cui si vive tra mille problematiche, carenza di tutto anche di cervello, di di ragione, di cultura, di valori, sì, anche da quei posti emerge il pedofilo, ma purtroppo non solo da lì.

Tra le famiglie più agiate, più in vista, più acculturate e con interessi che spaziano in ogni dove ed in ogni quando, pure lì ci sono i pedofili.

Pure tra l’incenso benedetto, pure nei luoghi in cui le persone cercano il vero senso dell’esistere…

Pure tra i santoni indiani che imperversano nei paesi, nascosti dietro un alone di santità.

Ovunque…

Pure nella classe borghese media…tra impiegati, ministeriali ed altro.

-Che esagerata Flo!-

Non sto dicendo che tra noi incontriamo pedofili come mosche in estate, ma che dobbiamo renderci conto che la pedofilia esiste ad ampio raggio.

Sto dicendo che, siamo così certi che la pedofilia sia un orrore , che non riusciamo neanche a concepirne un’immagine  vagando con la nostra mente, che si ferma schifata, e così non accettiamo di immaginare  che altri possano avere istinti così malsani e disumani.

Altri…che possono essere vicino a noi…

Ecco perché appena si sentono in televisione o sui quotidiani, sempre più spesso, storie di pedofilia, subito ci si pone dalla parte del colpevole; un maestro,  uno psichiatra, un prete, un avvocato, un giudice, un notaio, un ingegnere, mi scuso con le categorie scelte, ma ho in mente dei personaggetti….

Il colpevole spesso è un uomo con garanzie morali e culturali che non lascerebbero adito a dubbi.

Le vittime sono i bambini, cosa volete che sappiano i bambini, cosa volete che dicano di vero, se la loro testa è imbottita di fantasia…

Da una parte i colpevoli che sanno difendersi, con la loro facciata di credibilità, dall’altra le vittime che vengono sistematicamente distrutte con l’ombra della loro poca credibilità.

Per fortuna qualche volta la verità esce a galla feroce e violenta lasciando tutti sgomenti: i bambini avevano ragione, la violenza l’hanno subita!

Scandalo, sconcerto, non può essere, va bè, hai visto che famiglia…che degrado…e giù a cercare giustificazioni per riuscire a catalogare  l’orrore in maniera tale da poterlo dimenticare senza sentirsi in colpa…ed in maniera tale da poter continuare a dire: qualche volta succede…

No, succede sempre più spesso, al punto che i pedofili si permettono di dire: ci siamo, siamo la gioia del mondo, dei bambini ed altre schifezze varie…si permettono di essere orgogliosi del loro stato e di provare ad uscire allo scoperto, con gesti assurdi come quelli della candela,  per provocare, solo per provocare e far conoscere la loro voglia insana di far del male…

Intanto, quanti minori hanno dovuto subire e subiscono incidenti probatori che, nelle mani di alcuni esperti, sempre gli stessi purtroppo e che si riferiscono a gruppi di pensiero ben precisi, vengono  fatti a pezzi, smontati, rimontati, diagnosticati e contraddetti punto per punto, parola per parola, con nessi che spesso risultano sconnessi.

Intanto, a quanti minori, alla luce di quanto sopra, viene rifiutato un processo per verificare le loro accuse.

Quanti minori sono costretti ad incontrare per forza il loro violentatore, perchè non sono stati creduti…

Andando oltre, quanti bambini, vivono il dramma della violazione personale senza potersi difendere…

Perché questi piccoli, pur essendo delle personcine deliziose, vanno cresciuti, accuditi, educati, dipendono in tutto e per tutto dagli adulti.

E allora come difenderli?

Aprendo gli occhi innanzitutto…

Perchè se il problema viene posto in evidenza e gli viene dato il giusto valore, allora la razza immonda dei pedofili si può pure estinguere…

Insomma, si estinguono delle razze meravigliose di animali e noi non possiamo far estingure i pedofili?

Dobbiamo…

Intanto i bambini vanno educati a raccontare ogni cosa, ogni loro esperienza, senza apprensione sicuramente, ma questo è importante.

Ogni gesto che il bambino compie , ha un suo valore, un suo significato…se non vuole stare con una determinata persona, sia essa un familiare od un amico o un educatore, se non lo vedete  a suo agio, se ha degli atteggiamenti che non gli sono abituali, bisogna cercarne il perché…

Osservare, ascoltare, cercare di capire, ragionare…

Tante volte i capricci dei bambini sono presi dagli adulti come dei segnali di scoccianti e da tacitare.

E’ necessario invece approfondire, stabilire ragioni, anche se ci vuole del tempo…

I bambini non sono un botta e risposta, almeno non sempre, e raccontano i fatti con un linguaggio che non è il nostro.

Per estinguere il pedofilo, bisogna dare voce al bambino.

Gli ultimi fatti di cronaca, legati ad alcune educatrici dell’asilo che trattavano con violenza gli infanti, ci hanno dato una lettura alquanto interessante al riguardo.

Le mamme dei bambini che hanno subito azioni violente, hanno raccontato che, al momento dell’andare all’asilo, i loro piccoli diventavano nervosi e piangevano. Hanno raccontato tanto altro, ma non mi dilungo perché avrete certamente letto.

Ora, molte volte gli adulti giustificano questi capricci trovando altre soluzioni, e  queste possono anche essere vere, ma non sempre.

I bambini violati rivelano degli atteggiamenti, dei segnali inequivocabili, sia partendo da una gestualità legata alla sessualità che non dovrebbero conoscere, vista l’età, sia da comportamenti di chiusura, di paura, da pianti dirotti senza alcun evidente motivo….

Esiste tutta una casistica di segnali che sono stati codificati da alcuni psicologi interessati a questa problematica…

Ma importante è sempre confrontarsi col bambino, non solo riempirlo di tante cose che forse non gli servono e che limitano anche la sua fantasia e la sua ricerca personale.

Ascoltiamo i bambini, ognuno troverà la maniera più consona per entrare in un rapporto di fiducia con il suo piccolo.

Tutto questo servirà a difenderlo, ad insegnargli pian piano che ci sono persone di cui ci si può fidare e persone da cui tenersi alla larga.

Tutto questo non implica la chiusura del bambino e della famiglia rispetto al resto del mondo.

Anzi…

Non bisogna avere paura dell’altro, il bambino deve essere educato a relazionarsi, ad aprirsi, a vivere senza paura tutto ciò che di bello la vita propone ogni giorno, anche a partire dalle persone che si inseriscono nel suo cammino.

Ma bisogna anche insegnargli che esiste il lupo cattivo e che non si deve addentrare nel bosco da solo….

Se riusciamo ad uscire dal nostro borghesismo, se riusciamo a renderci conto che la realtà ha diverse sfumature, alcune tendenti al nero totale, ecco allora abbiamo buone possibilità di estirpare l’ignobile razza dei pedofili.

E vi assicuro che non mancheranno proprio a nessuno.

Tremate razza di pedofili!

FLO

Federica vive in una storica città del nord Italia, dove il ritmo del tempo batte veloce, scandito dalla laboriosità delle fabbriche, dove le periferie sono un brulicare di vita intensa e disordinata.

E’ giovanissima donna di vent’anni o poco meno, che dalla mattina alla sera si divide tra vari lavori e lavoretti, un giorno da una signora per fare le pulizie, un giorno in una famiglia con tanti bambini a fare la baby sitter, le sere in una pizzeria del quartiere a servire ai tavoli, qualche appuntamento come parrucchiera a domicilio…

Una ragazza che sa sbarcare il lunario, alla faccia di tanti bamboccioni…

Federica ha pochi grilli per la testa…la sera torna a casa talmente stanca, che riesce a malapena a pensare di chiamare qualche amica…

Ogni tanto esce anche lei, meno di quanto desidererebbe, un giro in discoteca, una cena con amici, talvolta il boowling…ma pochi divertimenti e molto distanziati nel tempo.

Non ha ancora un ragazzo fisso…per adesso si guarda intorno, si fida poco.

Dovrebbe incontrare un santo, uno che potesse riuscire con dolcezza, pazienza e una grande dose di amore a creare una falla nella barriera imponente in cui lei è arroccata, anima e corpo.

Dovrebbe incontrare un uomo buono, che non ama i confronti serrati e faticosi, che lasci un poco correre, che non si attacchi a discutere ogni frase, ogni velatura nei gesti e nelle parole.

Dovrebbe essere un uomo niente affatto pesante.

Il gruppo di amici di Federica è comunque quello delle scuole superiori, con cui lei è rimasta in contatto, ragazzi e ragazze giovani, affabili ed allegri.

Ma un’amica vera, quella che tutti desiderano, quella che è preziosa come un tesoro, ebbene non ce l’ha…una a cui confidare i pesi del cuore, da cui essere sollevata dai problemi con un volo di parole speranzose e con un sorriso complice od un abbraccio affettuoso.

Federica desidererebbe tanto avere un’amica così.

Ma non l’ha ancora trovata.

Dovrebbe incontrare una ragazza, capace di ascoltare, di non stancarsi dei suoi silenzi, delle sue paure, del suo improvviso chiudersi in un a sorta di mondo immaginario, dove vaga sola per giorni, impossibilitata a tornare indietro, senza una mano amica.

Dovrebbe insegnarle a ridere, a lasciarsi andare, a divertirsi un poco, a lasciar uscire da sé tutto un sommerso di affetto, passione, dolcezza, tutto ciò che racchiude in uno scrigno  che non condivide , ma che metterebbe in luce la sua bellezza interiore.

Non ha ancora incontrato un fidanzato speciale, né un’amica altrettanto eccezionale.

Per adesso però si accontenta di ciò che ha…

Federica, in una delle sue serate solitarie e stanche per i piedi gonfi e la schiena dolorante, in uno di quei giorni un pò no, che attraversano il tempo della nostra misera umanità, navigando su facebook, per un caso fortuito, si è imbattuta in un mio articolo scritto tempo fa, riguardo la storia di una ragazza che chiedeva aiuto per suo fratello rinchiuso (è il termine esatto) in una casa famiglia.

Ho trovato una sera, la storia di Federica nella mia posta, uno sfogo carico di lacrime, di rabbia, stupore, parole semplici un poco sgrammaticate, ma che mi sono andate dritte al cuore.

Le ho risposto, e da allora è iniziato un carteggio breve ma gravato di dolore e di fatti per cui chiede una parola, un aiuto, un consiglio.

Federica attraverso quel primo articolo ha scoperto di trovarsi in un mondo in cui il dolore, quel suo stesso dolore è condiviso da tantissime altre persone ed ha cominciato pian piano ad aprire il suo cuore.

Federica pensava di essere l’unica a portare nascosti i segni vergognosi di un’infanzia drammatica, e non sapeva che tanti bambini si trovano in casa famiglia, pur avendo delle persone che possono tranquillamente provvedere loro, pur avendo delle madri che li aspettano e li piangono.

Federica non sapeva che il suo dramma è una orribile fotocopia di tante storie tutte uguali, accomunate da odio, rabbia, litigi e distruzione.

Perchè Federica ha un fratello di quattordici anni chiuso contro la sua volontà in una casa famiglia.

E non immaginava proprio quanti ragazzi siano nella stessa condizione di suo fratello…

E’ entrata in contatto con tante mamme che vivono il dramma della prigionia del figlio, senza che ce ne fosse un reale bisogno.

Ha conosciuto ragazzi che aspettano il ritorno dei propri fratelli.

Federica ha scoperto di non essere sola e di poter gridare tutto il suo pianto a chi la può comprendere  senza quasi spendere troppe parole.

La sua è una vita iniziata all’insegna dell’infelicità.

Sua madre, con cui lei ancora vive, è una fragile donna, molto semplice, poco istruita, ma con un cuore grande, due occhi sempre imploranti e delle rughe precoci, scavate sulle guance.

Rimase incinta di lei a sedici anni, matrimonio riparatore, poca conoscenza del marito, una veloce e non ben identificata passione iniziale, finita tra le ceneri di una vita grama, in cui le fu ben presto chiaro il suo ruolo di schiava, di valvola di sfogo, di catalizzatore dei più bassi istinti animaleschi, in cui tutto d’un colpo, si sono infranti i sogni e le speranze.

La povera madre era stata una ragazza ingenua, così desiderosa di provare precocemente le forti emozioni della vita, da cadere tra le braccia del primo arrivato, un belloccio con un pò di muscoli, con le magliette attillate ed il pacchetto di sigarette sempre in mano, uno che ti guardava e sembrava ti si infilasse dappertutto.

La madre pensò di aver incontrato un seduttore e si diede da fare per conquistarlo…con tutta la sua ingenuità di piccola donna e la superficialità che le veniva da letture non molto edificanti di romanzetti in cui le protagoniste venivano sedotte da uomini che poi le rendevano le regine del cuore e del loro castello.

Altro che castello!

La madre di Federica si ritrovò in una prigione di menzogne e per giunta incinta, evidentemente incinta.

Dopo la nascita della bambina, lei sola a combattere le notti insonni per i pianti della piccola, a destreggiarsi con quattro soldi per campare, con un marito sempre in giro a molto bighellonare e poco lavorare.

La prima sera in cui lui tornò ubriaco, la violentò.

E poi ancora, e di nuovo, e di nuovo…

Giovane donna, giovane madre, ormai disillusa, con la morte nel cuore e tutti i desideri sepolti nel luridume della violenza.

Abortì di nascosto… una, due volte, forse tre.

Quando i segni sul volto erano evidenti, quando il ventre le doleva come se l’avessero investita, non usciva di casa, evitava, per non farsi compatire.

E la bimba cresceva… urla botte, improperi, e la bimba cresceva. E vedeva…vedeva tutto…e pensava fosse normale, pensava fosse il mondo dei grandi.

Era una bimba silenziosa, una spia l’avvisava che era meglio che facesse finta di non esserci, imparò i giochi solitari e immaginari.

Era una bimba pensosa, Federica, quel mondo che la rifiutava, la spingeva a crearsi una terra  incantata in cui si rifugiava per giorni interi.

La madre era troppo persa a difendersi da quello sterile amore che si era trasformato in odio. Era troppo intenta a compiangere la sua vita distrutta, la sua giovinezza, la sua bellezza. Troppo immersa in desideri di fuggire e trovare un principe che la conducesse via dalla bestia che la teneva prigioniera.

Ma a lei, nonostante tutto, la curava, la vestiva come una bambolina, la coccolava…

I vicini, i familiari, fingevano di non sentire, di non sapere, di non conoscere.

Alzavano la radio se le urla correvano veloci tra le pareti, non commentavano il volto livido della madre…

Nessuno mai tese una mano, un fazzoletto per piangere, nessuno mai disse una parola.

La madre rimase di nuovo incinta e stavolta non riuscì ad abortire.

Nacque un maschio, uno splendido bambino dalle gambe lunghe e dagli occhi di brace.

La madre lo adorò dal primo istante.

Per lei, lui divenne tutto.

E lo tirò su bene.

Al punto che all’improvviso ebbe la forza di ribellarsi.

Una sera il marito ubriaco tentò come sempre usarle violenza, l’odore fradicio di sudore, vino, fumo, le mani come artigli a spogliarla e a percorrerla con gesti veloci, il respiro affannoso ed il fiato acido sul collo.

D’improvviso il bimbo si affacciò alla porta…la madre se ne accorse, ma non riusciva a liberarsi dalla morsa dell’animale.

Il suo piccolo, no, lui non doveva sapere quello che facevano alla sua mamma.

Trovò una forza sovrumana, diede calci, pugni, uno nell’unica fragilità dell’uomo, e riuscì a svincolarsi per raggiungere il figlio con gli occhi spalancati.

Ma fu raggiunta dall’uomo, il suo dolce tesoro era in pericolo, si diresse a forza, col figlio in braccio verso la porta, la spalancò e cominciò ad urlare con tutto il fiato che aveva in corpo, alimentato da anni ed anni di silenzio.

Quello che avvenne dopo fu terribile.

Accadde che il padre riuscì a cavarsela con dei rimproveri limitatamente pesanti. La madre invece, si ritovò in un incubo senza fine. Venne considerata troppo debole, incapace di dedicarsi con continuità ai suoi figli e fu lasciata sola, avvoltolata in giudizi di incapacità genitoriale.

Federica in men che non si dica si ritrovò in casa famiglia con il fratellino…

Nelle sue lettere Federica non mi ha raccontato tutto il dramma, mi ha fatto intuire che stare senza la madre è stato intraducibile per l’orrore.

Mi ha parlato invece del suo dolore di oggi, perché ora che lei è maggiorenne, ha potuto scegliere di tornare dalla madre, ma suo fratello è ancora lontano da lei, in un a casa famiglia in cui viene tenuto in maniera coatta.

Ogni giorno, tra un lavoro e l’altro piange tutte le sue lacrime. Ha pochi soldi, non tanti per pagare le spese legali di un bravo avvocato, non tanti per chiedere consiglio a chi i consigli li sa dare.

La sua mamma, questa fragile donna che li ha partoriti, nonostante i suoi drammi una madre lo è stata, una brava madre, tutta sola nella sua prigionia. Per il fratello si sarebbe buttata nel cuore, gli avrebbe dato tanto amore, tutti i giorni, il meglio di sé, avrebbe lavorato ovunque per mantenere i figli.

Invece questo amore le è rimasto lì nel cuore, con l’obbligo, per favore, di non mostrarlo.

L’hanno punita per la vita in cui si è cacciata alla ricerca dei suoi sogni e le hanno tolto i figli, l’unica ragione di vita, l’unica possibilità di lottare per essere migliori.

Le hanno tolto suo fratello…Quante volte, ancora oggi, dopo essere ritornata a casa, la scopre sul letto a piangere abbracciando il suo dolore tra il petto, lanciando flebili lamenti.

Una donna distrutta…che ha dovuto imparare a vivere senza i figli.

Federica può vedere raramente suo fratello: una volta a settimana possono incontrarlo all’istituto.

Trattano lei e sua madre come degli insetti da tollerare.

Possibile che non ci sia tra loro un operatore che abbia un cuore e l’intelligenza per capire?

Federica rivuole suo fratello.

Perchè non può stare a casa con lei e sua madre?

Lui adora entrambe, ha una rabbia repressa perchè non vuole rimanere in quello che non è il suo rifugio.

Studia poco, è spesso triste, arrabbiato, è controllato su tutto, non ha amici.

Come potrebbe farseli, gli amici?

Non è libero di uscire dopo la scuola.

-Aiutatemi, voglio uscire di qua!- dice spesso a lei e sua madre

Negli ultimi tempi lo dice meno spesso, perchè gli operatori minacciano che non gli faranno incontrare più  la sua famiglia, che lo induce a strani atteggiamenti, lo rende rancoroso…

Ormai Federica non spera neanche più… sa che dovrà aspettare che suo fratello abbia diciotto anni per potersi liberare dalle decisioni  degli uomini che amministrano la giustizia minorile.

Sa che solo allora potranno darsi la mano e percorrere insieme un altro tratto di vita: fratello e sorella…insieme.

Intanto, nell’attesa deve riuscire a gestire il pianto dirotto che grida l’ingiustizia e che ha sempre nella gola, come una morsa.

Intanto deve sopportare gli occhi pesti di lacrime della madre, la sua amabile madre, con le mani screpolate dalla fatica nelle case dei signori…

Io posso solo gridare con le mie parole quello che lei ha nel cuore:

“Ridatemi mio fratello!”

FLO

Ho qui dinnanzi a me le foto di una giovane donna.
Splendida.

Un volto dai lineamenti delicati, degni d’un cammeo d’altri tempi, una voluminosa cornice di capelli corvini, lo sguardo luminoso che sembra dire:
-Vedrete cosa vi combino, ho tutta la vita davanti, un mondo di cose da conquistare.-

Il suo sorriso è spontaneo, leggero, appassionato, buca la fotografia ormai ingiallita dal tempo, sembra desiderare raggiungerti per raccontare i suoi sogni.

E ci riesce.

Rossana, Rossana Jane Wade.

Giro e rigiro con questa immagine tra le dita, le sorrido a mia volta ed ho quasi paura di farle male per quanto appare fragile.

E mentre io sono qui, più viva che mai, a questa meravigliosa ragazza è stato spento il sorriso ben diciannove anni fa.
In una maniera orrenda, animalesca…

Rossana è stata barbaramente uccisa, violata, torturata e strangolata.
Abbandonata, lasciata marcire tutta sola, come se fosse spazzatura…lei, così amata ed apprezzata in famiglia, lei raggio di sole, allegria, bellezza per chi la teneva sulle palme di entrambe le mani.

E nel suo paese, erano in tanti a volerle bene.
Era impossibile non volergliene.

Solo un ‘essere’ che non mi sento di chiamare uomo, solo un essere l’aveva odiata e lei, proprio quell’uno, malvagio, perfido, nero fin nel fondo dell’anima, proprio quell’uno si è fermata a frequentare.

La sua malvagità ha oscurato i suoi raggi, le sue cesoie infernali hanno reciso il suo stelo delicato…

Quell’uno, che ora attraversa la sua città, libero come il vento, che può ogni mattina risvegliarsi e guardare fuori dalla finestra il nostro meraviglioso mondo, che può ricevere l’attenzione degli altri, andare a lavorare, divertirsi, ridere…
Ridere.
Ma può ancora ridere uno così?
Rabbrividisco…

Quanto vale la vita di una ragazza che era la speranza di sua madre, la luce degli occhi per il papà, l’allegria per i fratelli?
Quanto vale la vita di Rossana?
Quanti anni di galera?

Ve lo dico io…tra sconti di pena, sconticini, saldi e salducci vari…da 31 anni di pena, si è passati a 23 e poi..udite, udite…alla fine 12 anni.
Dodici anni di galera: questo vale la vita di Rossana.

Così poco?

Non vi meravigliate: bisogna considerare, tra le altre cose, la buona condotta dell’uno in questione, so che mi perdonerete, ma non riesco per lui ad usare un termine che si avvicini minimamente all’idea di umanità,
per me chiamarlo uno è già eccessivo.

Un uno che purtroppo nella realtà di tutti i giorni diventa cento, mille e più…mille uno che deturpano la vita di moltissime donne…che si permettono, a volte impunemente, di decidere della loro storia che vogliono ingordamente solo per sé, ferite, umiliate…distrutte.

Dopo la mia digressione, tornando a qell’uno che ha ammazzato Rossana, probabilmente si sarà ben comportato in galera, avrà ubbidito agli ordini, non si sarà messo nei guai, avrà mostrato gentilezza (ma guarda un pò), avrà rispettato gli orari e le regole, avrà risposto ai superiori in maniera corretta, non avrà tentato fughe rocambolesche, tipo Alcatraz, non avrà accoltellato nessuno durante le boccate d’aria (si fa per dire), insomma avrà tenuto un atteggiamento così esemplare, tale da fargli meritare una notevole uscita anticipata.

Bravo, ti sei ben comportato, puoi uscire con un leggero sconticino, di un bel pò di anni di galera.-

Con buona pace dei familiari che rischiano l’infarto al solo pensiero di incontrarlo per strada.

Per cui quell’uno, ha fatto ritorno alla sua città, ben ripulito, tutto inamidato, bianco di fuori, pur nero di dentro (ma non si vede, che volete che sia) e addirittura con una bella laurea nel sacco, da appendere come un trofeo nel punto più in vista della casa.

Che orgoglio per quell’uno e la sua famiglia: sì, un assassino, ma pur sempre laureato.
Quell’uno ha trascorso quei miseri dodici anni cercando di ritrovare la sua aria da bravo ragazzo (perché, ce l’aveva?), studiando.

Dodici anni…giusto il tempo di laurearsi, perchè, che volete, pur non avendo grosse capacità, pian piano qualcosa si riesce pure a combinare: un aiutino qua, un aiutino là ed escono potenzialità ben nascoste…

Una bella laurea a spese dei cittadini, a dimostrare che i rei possono redimersi.

Una bella laurea e si trova pure un buon lavoro. Anche una donna che ti consoli, che decida, povero uno, di dedicare la sua vita ad uno zuccherino del genere per ricompensarlo di tanti anni di solitudine.

E la bella Rossana, fiore reciso senza pietà, non può più coltivare i suoi sogni.

Era bella, ma anche tenera ed affettuosa.

Amava la sua famiglia, la sua città, i suoi amici…le piaceva trascorrere le sue giornate in compagnia.
Sapeva esprimere il suo affetto attraverso tanti piccoli gesti quotidiani.

Quando si tratteneva fuori casa, anche per un sol giorno, inviava alla madre una cartolina…una tenerezza per esprimere il suo amore verso la donna che le aveva dato la luce ed una maniera per condividere il proprio tempo, le proprie emozioni.

Amava molto anche gli animali…il suo gattino, a cui ne combinava di tutti i colori…ora anche lui non c’è più.

Aveva frequentato un anno dell’Istituto alberghiero, ma poi aveva deciso che era più predisposta per lavorare. E come era attiva!
Rossana cercava la sua strada…era giovane…aveva tutta una vita davanti.

E non si lesinava: prima parrucchiera, poi cameriera e poi tante altre cose ancora…fina a quando non trovò un vero sogno, una vocazione: entrare in polizia.

E poco prima di essere uccisa, aspettava che uscisse il concorso. Oggi sarebbe qui, forse vestita proprio con la divisa da poliziotto.
Quella divisa che era divenuta la sua aspirazione.

Aveva diciannove anni, era il 1991 quando quell’uno decise che no, Rossana non avrebbe più dovuto sognare.
Perchè in quei sogni da ragazza per lui non c’era più posto.

Per due anni l’uno è stato il ragazzo che accompagnava Rossana, che si era insinuato nella sua quotidianità e non aveva mai accettato di uscirne.

Capita a tantissimi giovani, a molti adulti, di percorrere un tratto di strada insieme e poi di capire che, ad un certo punto, la strada diviene bivio ed al bivio ognuno deve percorrere il resto da solo.

Questo desiderava Rossana.

Si era accorta che quell’uno non le bastava, al contrario, la opprimeva, la sua presenza le serrava la gola, non la faceva respirare.

Il fiato sul collo.
Se lei era pelle, lui diveniva la sua seconda pelle, se lei era vestito, lui diveniva un cappotto avvinghiante.

Il fiato sul collo.

Sul volto, sui capelli, sul corpo…ovunque.

Il suo fiato…e non riuscire a respirare più col suo respiro.
Non riuscire più ad accennare un sorriso…
Una paura sorda, un sesto senso allertato…

Una storia avvoltolata nella gelosia dell’uno, nella sua presenza non più gradita.

Rossana sognava di fare il poliziotto e chissà, io credo, forse desiderava un uomo vero, un ragazzo che non fosse quell’uno.

Che ci sarebbe stato di male? Nulla.

Per noi, ma non per quell’uno.

Rossana, fiore reciso senza pietà.

E mentre i genitori, i fratelli, gli amici ancora la piangono, ancora si recano a portarle un fiore, a raccontare sulla sua lapide, le loro gioie e i loro dolori, l’assassino, ripulito inamidato ed improfumato dalla buona condotta, vive.
Io dico: vive. E basta.

Sono trascorsi ormai diciannove anni da quel gesto infame di amante geloso.
Sono passati ormai sette anni dalla sua uscita dal carcere.

E mentre i familiari piangono un dolore che non conosce fondo, mentre ancora la giustizia civile non ha iniziato il suo corso, perchè almeno ci sia un risarcimento (incredibile, assurdo, che giustizia è), quell’uno vive.

Neanche una lira, ops un euro, ha sborsato.
Un euro che servirebbe a realizzare un sogno dei familiari: far nascere una fondazione a nome di Rossana Wade.

Perchè qualcosa di lei continui a vivere qui, in mezzo ai suoi cari che le hanno voluto bene.

Che le vogliono bene…

Rossana, fiore reciso da una scure violenta…

FLO, il Direttore

Ai Sacerdoti piace essere chiamati “Padre” e, preferibilmente, la gente li chiama e li definisce con questo appellativo. Anzi a molti cattolici piace anche definirsi “figlio spirituale” del proprio Padre Spirituale, ed anche i Padri Spirituali chiamano “figli spirituali” quelli che li frequentano.

L’attribuzione del ruolo di “paternità spirituale”: inconsciamente è anche compensativa della carenza e della frustrazione della paternità fisica, mettendo in atto una pulsione comportamentistica imitativa del comportamento dei veri padri fisici.

Comunque tutto quello che avviene a livello di inconsapevolezza, o di non piena consapevolezza, corrisponde sempre ad una perdita di autocontrollo, e soprattutto dell’autocontrollo delle proprie pulsioni genitali, che il soggetto, in stato di piena coscienza aveva promesso e giurato di autocontrollare come impegno più importante della sua scelta di vita.

Putroppo la perdita di autocontrollo delle proprie pulsioni genitali avviene anche tra gli stessi fisici, che con la violenza sessuale, pretendono di esercitare la padronanza sulle proprie creature, anche rivendicando legalmente il diritto di proprietà sui minori, particolarmente nelle circostanze di separazione dei genitori; e i giudici la devono riconoscere, nonostante maltrattamenti e di eventuali abusi sessuali perpetrati verso i loro figli.

Questi riconoscimenti legali arretrano la civilizzazione, riportando la società all’epoca dell’antica Roma, quando riconosceva al “paterfamilias” il diritto di vita e di morte su moglie e su figli. Oppure si ripete la”strage degli innocenti”, di erodiana memoria.

Il fenomeno della pedofilia accade più frequentemente in ambienti che raccolgono numerosi bambini “handicappati” da sintomi di povertà, di abbandono, di cecità e sordomutismo, di mutilazione o handicap fsico, di perdita precoce dei genitori; si tratta di orfanotrofi, patronati, collegi e qualsiasi comunità di minori, gestite da persone che hanno scelto il celibato per dedicarsi alla gestione dei bambini adolescenti e preadolescenti colpiti da queste disgrazie. Infatti più le sintomatologie si concentrano: più provocano bisogno di tenerezza, di commiserazione e di compassione.

Comunque le comunità sono sempre costituite da somme di beni e di mali, che pesano enormemente sulla buona e sulla cattiva coscienza di chi li gestisce.
Anche il Papa Woytila aveva scritto la raccomandazione di non concentrare ragazzine nelle sacrestie per fare da chierichette, ma a questo appello non si è dato alcun ascolto, come i fatti dimostrano.

La stessa minor età è un fattore provocatorio di questi interventi pedofili.
Ultimamente questo comportamento è stato favorito, accreditato, o permesso dalla autorevolezza della psichiatria, che il “famoso” psichiatra Richard Gardner ha personificato formulando, sul piano comportamentistico, metodi educativi e rieducativi per soggetti normali e deboli.

Evidentemente la teoria di Gardner è stata giustificata dalla “deformazione professionale”, che sempre avviene da parte di chi si dedica esageratamente o esclusivamente all’esercizio nella propria professione.

L’impressione che lasciano le sue teorie acquisiscono maggiore importanza anche perché sono idee di un medico e di uno psichiatra, e comunque contengono delle novità o contraddizioni a ideologie precedentemente accettate.

A tutto si aggiunge che i comportamenti amorosi frequentemente avvengono in occasione di disgrazie, di disagi, di incomprensioni, di infedeltà, o di qualsiasi dispiacere e si tratta di isterismi compensativi di tutto quello che è accaduto di male; i pedofili normalmente sfogano il proprio isterismo, sempre inventando mali o beni che esistono o non esistono nella realtà delle persone abusate.

Tutti i pedofili ritengono di esercitare un benevolo paternalismo, attraverso la manipolazione sessuale, specialmente i “Padri Spirituali”, affermando di svolgere affettuosamente un’attività di assistenza, di educazione o anche di insegnamento tendendo a identificare con l’amore l’esercizio della propria incombenza e arrivando anche a definirlo missione.

Inoltre può dirsi pedofilia anche l’intrattenimento, comunemente più frequente e più lungo sui comportamenti sessuali, del proprio figlio spirituale, o del proprio allievo, o del proprio educando: attribuendosi il diritto e dovere di fare un discorso di educazione sessuale, specialmente nel periodo della preadolescenza, quando gli adolescenti incominciano a sentire maggiormente le prime pulsioni sessuali.

Il discorso della educazione sessuale assolutamente non appartiene al sacerdote, né all’educatore, né al docente come tale. Chi crea la vita ha il dovere e il diritto di istruire la propria creatura, sulle leggi della vita che gli ha data, creando anche la vita psichica, che è completezza di vita. Infatti questo dovere naturalmente il genitore lo svolge verso i tre anni, quando gli inculca la necessità e la motivazione dell’abbigliamento.

È un dovere che purtroppo deve sempre fare, anche controvoglia, perché insegna il male alla propria creatura, rendendola maliziosa e maligna.

Il sacerdote, che ha scelto di svolgere il compito della educazione e della gestione della spirituale, attraverso la sublimazione mistica della fisicità, cresciuta nello stesso sacerdote, come ogni altro essere umano normale: si è impegnato con il voto perpetuo del celibato, ad astenersi da ogni intervento fisico erotico e genitale sul proprio e altrui corpo.

La pedofilia esercitata dalle persone che hanno scelto il celibato dimostra la inopportunità della qualifica di “voto perpetuo”.
Infatti nella vita accade che sia umanamente sempre possibile cambiare opinione, o convinzione. o scelta.

Più utile ed opportuno in ogni tempo sarebbe allora il “voto temporaneo”, allo scadere del quale il sacerdote e qualsiasi persona “consacrata” possono sentirsi di continuare ad assumersi la responsabilità di quell’impegno, oppure di non sentirsi più in grado di assumersi quella responsabilità.

Come potrebbe accadere che gli stessi responsabili supremi delle istituzioni ecclesiastiche abbiano motivazioni di non ritenere più opportuno l’affidamento di queste responsabilità.

Il rinnovo è sempre un processo di generazione, o di rigenerazione della vita, e la vita l’ha capita solo chi ha capito che bisogna sempre ricominciare; mentre chi ha solo capito che bisogna “continuare”: non ha capito niente del valore della vita.

Dr.Giovanni Basso – Psicologo

La settimana scorsa una mia amica mi aveva avvisato in anticipo dell’uscita di un articolo su Panorama n.24 sulla tematica dell’infanzia violata.

Quindi, di buon mattino sono corsa a comprare il giornale in questione e poi sono andata al solito bar gestito da due miei amici, che ti accolgono col sorriso sulle labbra, anche se il mondo intorno precipita, che se ti vedono un poco pensierosa, ti fanno il cappuccino più buono del mondo e ti riservano il cornetto più ambito.

Tra una chiacchiera e l’altra, una battuta sulle ultimissime sulla politica, guardo la copertina del giornale.
La solita donnina nuda, penso, molto carina e soprattutto con una posa sensualissima ed accattivante, che sembra dica: compratemi, compratemi, sono in vendita.

Chiaramente a me non fa né caldo né freddo, ma sicuramente la tiratura del giornale, se ne avvantaggerà…sono le regole del mercato: esercitare una forte curiosità partendo dagli istinti naturali, più o meno nascosti, più o meno biechi, che albergano in ognuno di noi.

Infatti, un vicino di tavolino, non può non buttare l’occhio e resistere ad un commento sardonico riguardo l’arresto della pornostar per l’accusa di pornografia davanti a minorenni.

Al bar, un pò tutti perdiamo le nostre censure e spesso diciamo quel che veramente pensiamo, sui politici, sullo sport, su tutto, tra sfottò e battutacce…a me piace fare colazione al bar, prendo tanti spunti per i miei racconti…
E poi mi diverto a litigare sui fatti politica, non resisto, mi piace da morire: se uno difende il governo, io lo attacco, se invece lo denigra io lo sostengo a spada tratta. Metto tutti in confusione.

Flo, ma si può capire da che parte sei? Diccelo, una buona volta!

Io lo so da che parte sono, ma non mi piacciono le idee precostituite, senza un contraddittorio, sia da una parte, che dall’altra.
E’ una cosa che faccio da sempre, mi aiuta a ragionare a capire se quello che si dice ha un senso, se quello che penso possa essere giusto, mi aiuta a cercare la strada della verità…e non è semplice, a volte mi perdo.

Comunque, sfoglio Panorama, vado al sommario e cerco l’articolo in questione…pagina 143…eccolo: “Figli scippati per legge“, di Karen Rubin.

Lo leggo tutto d’un fiato, veramente un buon articolo, che cerca di entrare nella tematica dell’affido condiviso, di individuarne la storia e di portarne alla luce le problematiche gravissime che la legge ha prodotto sul piano pratico.

La parte più interessante è legata sicuramente alle testimonianze, soprattutto quella riportata in prima persona di Tommaso, un bambino di dodici anni, sconvolgente ed inquietante.

Il bambino si trova in una casa famiglia da circa quattro mesi, perché, secondo i servizi sociali ed il tribunale dei minori non venivano rispettati i principi dell’affido condiviso, dato che lui non vuole assolutamente incontrare il padre se non in presenza di un medico, di cui si fida, e che vieti al padre stesso di denigrare la figura della madre davanti a lui.

-….papà mi parlava sempre male di mia madre. Io voglio vederlo solo in presenza del mio medico, perchè gli assistenti sociali lasciano che mio padre parli male di mia madre. Invece il mio dottore gli direbbe di smetterla…- questa è una parte della lunga testimonianza del bambino, resa davanti al giudice.

Tommaso non vuole incontrare regolarmente il padre, lui stesso racconta che il padre non gli ha fatto mai del male a livello fisico, ma non tollera il suo comportamento verbale nei confronti della madre.

Tommaso non vuole ubbidire al giudice, agli assistenti sociali, nonostante la madre lo spinga agli incontri stabiliti col padre.

E quello che pensa, che soffre Tommaso, non importa a nessuno: lui deve ubbidire.

E la legge pronuncia: incontri obbligatori.

Ebbene, come lo si può costringere?

Anzi, quale fantastica strada, fonte della saggezza salomonica è stata intrapresa?

Cari lettori, provate ad indovinare…
Il tribunale dei minori ha accolto la richiesta del padre, offeso dall’atteggiamento di Tommaso, ed ha disposto l’allontanamento dalla madre e la collocazione abitativa in una casa famiglia.

Bella idea davvero.

A me non sarebbe venuta in mente. Sono troppo limitata, sapete? Io credo ancora che i bambini debbano rimanere a casa loro!

-Io voglio andare da mia mamma, fare la mia vita normalmente, non stare lì dentro…..-

Più chiaro di così, come lo deve dire il bambino, in ostrogoto?

La giornalista cerca anche di tracciare un quadro di riferimento rispetto alla legge vigente che regola il principio di bigenitorialità, cita anche dei dati riguardo i bambini che si trovano vittime di separazioni conflittuali, riguardo quelli allontanati dalle famiglie ed anche quelli che vengono affidati ad altre famiglie.

Le cifre sono sconvolgenti e con un aumento esponenziale dopo la legge sull’affido condiviso.

Da leggere, ve lo consiglio.

In ultima analisi, l’articolo è veramente buono, spero vivamente che la giornalista continui ad occuparsi della tematica e che vada ad approfondirla, perchè è brava.
Perchè c’è veramente molto, ma molto da scrivere…si è solo ai prodromi della questione.

Certo se ripenso all’articolo di Antonio Rossitto, sempre su Panorama, che mi piacque assai, che entrò nel vivo della tematica, denunciando le gravi anomalie in campo giudiziario, le inefficenze dei servizi sociali, lanciando strali a destra e a sinistra per difendere i bambini sequestrati dallo stato e costretti a vivere in casa famiglia…..certo se lo paragono a quell’articolo, quest’ultimo ci perde in pochino (solo un pochino, brava Karen Rubin).

Devo però aggiungere che Antonio Rossitto, dopo essere stato redarguito (è quello che ho letto su internet), ha scritto un articolo sul caso di Rignano Flaminio, che mi ha fatto accapponare la pelle, per come venivano trattate le testimonianze dei poveri minori violati e dei loro genitori…
.
Se incontrassi il giornalista di persona, avrei molte cose da discutere con lui…ma non credo che gli interessi……..

Peccato, avevo creduto in lui, nel suo appoggio al problema dei bambini allontanati dalle madri.
Mi avevano riferito che è un giovane giornalista pieno di buona volontà.

Avevo pensato che sarebbe stato bello se le persone maggiormente indicate e competenti lo avessero potuto contattare, dare indicazioni, dritte, piste… avrebbero potuto aiutarlo a fare un giornalismo autentico, di denuncia, di informazione vera.

Invece tutto è caduto nella discarica della dimenticanza.

Il suo articolo ha fatto molto rumore, ma gli ha provocato troppi nemici …probabilmente…mi piacerebbe sapere se la mia considerazione su quest’ultimo punto è esatta.

Comunque quell’articolo aveva un’impaginazione migliore, foto, dati, statistiche, colore, insomma gli era stato dato uno spazio adeguato.

L’ultimo articolo, quello di Karen Rubin invece, non è stato facile leggerlo. Nonostante abbia una vista perfetta, riuscivo con fatica a leggere per i caratteri troppi piccoli. Una tematica così importante, così seria, concentrata in tre paginette tutte nere e grigie ( in verità una foto c’è).

Ecco, un buon articolo che poteva essere trattato meglio!

Da più parti mi rispondono: -ma almeno qualcuno ne ha parlato!-

E’ pur vero quello che mi dicono, anzi riconosco senza problemi che Panorama è stato l’unico giornale che abbia dato uno spazio alla scottante questione e ringrazio pubblicamente chi lo gestisce.

Ma non basta, si potrebbe fare molto di più…bisogna trovare il coraggio…
Dico questo soprattutto se osservo il resto degli articoli sul giornale.

Perchè, visto che l’ho pagato ed è un giornale di spessore con firme riconosciute per la loro bravura, me lo sono letto tutto, beh non proprio tutto…le cose noiose no.

Ebbene, mi sono accorta che su Panorama è stato dato ampio risalto alla storia della pornostar ungherese Brigitta Bulgari, che rischia di rimanere in carcere per dodici anni.

Poverina, una carriera stroncata sul nascere.

Pagine e pagine a questa storia un poco cretina e, con la scusa di parlarne, pure infarcita di foto che sono a dir poco disgustose. C’è anche una pagina intera della pornostar che non lascia nulla all’immaginazione…

E’ vero che sono una donna, ma so riconoscere la bellezza dalla volgarità, e qui ce n’è quanta ne volete.

E poi con la scusa di criticare tutte le schifezze ed i messaggi altamente erotici che compaiono nelle trasmissioni televisive seguite da adulti e bambini, vengono proposte, nell’articolo successivo, anche altre immagini ricavate dalle suddette trasmissioni, che sono veramente offensive. Una in particolare, un secchione in calore che insapona una pupa…

Insomma sono pagine ad alto tasso di erotismo, mascherate da una critica acerrima.

Subito dopo, un altro articolo.
Stavolta la pagina mostra un uomo,( per par condicio, se no le donne potrebbero offendersi) disteso in una posa erotica coperto solo da un dolciume. Osservo meglio, mi sembra una caramella, o meglio un lecca lecca.
Blah…

Una foto, in cui l’uomo pensa di essere sexi, sensuale, con lo sguardo ammaliante ma in cui, a mio parere è assolutamente ridicolo e non induce ad alcuna tentazione. Vi assicuro proprio neanche un pensierino…

Oh, se gli uomini sapessero come sono ridicoli in cert pose da donna!

Almeno gli avessero appiccicato una foglia di fico, come nelle più antiche e migliori tradizioni!
Neanche per sogno, una caramella, anzi un lecca lecca.

L’uomo in questione altro non è che un famoso gigolò che giura e spergiura di essere molto ricercato ed ambito da donne in carriera, che hanno poco tempo per l’amore e che cercano solo un diversivo sessuale ogni tanto.

Beh, la sua intervista, è bella lunga, ben impaginata e me la leggo pure, sono curiosa di sapere.

Torno alla pagina precedente a riguardare la foto senza la foglia di fico, mamma mia, non ci uscirei neanche se fosse l’unica persona nel raggio di chilometri e chilometri.
E mi domando perché una donna che ha tutto, debba pagare per avere un uomo del genere.

Oltretutto il gigolò fa pure lo schizzinoso!
Si fa pagare per la prestazione in anticipo, ma dopo la cena se la signora non gli aggrada, se ne va…
Terribile per una donna, pagare e magari farsi rispondere che no, che proprio non piaci…ognuno cerca di farsi male a modo suo. Questo lo so.

Dopo queste riflessioni in libertà, vorrei raccogliere il mio pensiero allontanandomi dalle foglie di fico…

Insomma, vengono affidate pagine e pagine a questioni di marginale importanza, che sì, ci devono pur essere, ma non in misura così esponenziale. Tra le foglie di fico, tra un seno, una mano che vaga dove non dovrebbe, un sedere in esposizione e quant’altro, possibile che ai bambini che soffrono si debbano regalare solo tre misere paginette?

Possibile che un articolo di spessore come quello di Karen Rubin non possa essere imbellettato un pochino meglio?
Ringrazio pubblicamente la giornalista dell’articolo, che non conosco personalmente, ringrazio chi le ha permesso di pubblicare ed ora faccio anche un appello che estendo a tutti i lavoratori dell’informazione:

– Oh voi giornalisti, più o meno famosi, oh voi direttori di testate giornalistiche più o meno note, oh voi esperti dell’informazione, oh voi che ci dilettate e ci arricchite con il vostro lavoro, vi prego, scrivete dell’infanzia violata, dell’infanzia rubata…
Utilizzate il vostro estro, la vostra intelligenza, la vostra penna per la loro causa…-

Chissà, a qualcuno potrebbe arrivare questa mia richiesta e questo mio monito…
Chi vivrà vedrà…

FLO

Mi è stato da più parti richiesto di entrare nel dettaglio dei famosi otto punti di cui parlava l’ormai defunto Richard Gardner, riguardo alla sintomatologia che secondo il suo modestissimo, ma gettonatissimo parere, insorgeva esclusivamente nei figli che subivano le separazioni ed i divorzi dei genitori.

A mio avviso la sua teoria della Pas, fortemente incastonata con gli otto sintomi, nasceva più che dallo studio e dall’osservazione, da forti interessi e da elucubrazioni fantasiose tristemente creative, che lo portarono, come ho in altre parti già detto, ad ottenere fama e successo in certi ambienti del sistema giudiziario americano.

Ma ecco in sintesi questi benedetti sintomi specificamente tipizzati.

Dunque, il genitore alienante (tranquillamente pensate alla ‘madre’), secondo Gardner induce nei figli un tale astio, un tale disprezzo nei confronti del genitore alienato (leggete pure il ‘padre’), da provocare in loro un distacco dal vissuto reale ed un lavaggio del cervello tali da scaturire in otto sintomi così espressi:

1- campagna di denigrazione;
2-razionalizzazione debole dell’astio;
3-mancanza di ambivalenza;
4-fenomeno del pensatore indipendente;
5-appoggio incondizionato ed automatico al genitore alienante;
6-assenza di senso di colpa;
7-scenari persi a prestito;
8-estensione dell’ostilità alla famiglia allargata.

Ora credo sia il caso, di cercare di spiegare il più semplicemente possibile a cosa si riferiscano.

Iniziamo dal primo sintomo: la campagna di denigrazione.
Con questa espressione Gardner si riferisce agli atteggiamenti di un figlio che mima, scimmiotta il genitore alienato e ripete i messaggi denigratori e di disprezzo, che impara dal genitore alienante.
Il genitore programmante in questo caso non mette in discussione il fatto che il figlio si comporti malamente con l’altro genitore, anzi lo favorisce.

Il secondo sintomo, la razionalizzazione debole dell’astio, si riferisce al fatto che il figlio descrive il genitore rifiutato come del tutto negativo, adducendo motivazioni illogiche e superficiali.

Il terzo sintomo, la mancanza di ambivalenza, fa registrare nel figlio una tendenza ad atteggiamenti opposti, per cui il genitore rifiutato viene descritto come una presenza assolutamente negativa e, al contrario, l’altro genitore è vissuto come completamente positivo.

Nel quarto sintomo, il fenomeno del pensatore dipendente, il figlio afferma di essere assolutamente indipendente e non condizionato nella sua campagna di denigrazione nei confronti di un genitore, e di non subire alcuna influenza da parte dell’altro genitore.

Il quinto sintomo, invece, quello dell’appoggio automatico al genitore alienante fa riferimento al fatto che il bambino, in qualunque conflitto si viene a trovare, prende posizione sempre e solo a favore del genitore alienante.

Il sesto sintomo, l’assenza di colpa, chiarisce il fatto che il figlio viva senza sentimenti di colpa, appunto, il suo disprezzo verso il genitore alienato e si senta quindi autorizzato a determinati comportamenti.

Il settimo sintomo, gli scenari presi a prestito, mette in luce il fatto che il bambino, pur non conoscendo certi argomenti e certe espressioni, a causa della sua giovane età, stranamente le utilizzi.

Infine, l’ottavo sintomo, l’estensione dele ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato, coinvolge nel’alienazione tutto ciò che si riferisce alla sfera affettiva del genitore alienato.

Tutta questa gamma sintomatologica, produrrebbe una sorta di lavaggio del cervello, un lavaggio della coscienza affettiva, che il genitore alienante indurrebbe attraverso tre atteggiamenti reiterati e ripetuti di fronte al figlio:
-attraverso la denigrazione del genitore negativo con espressioni forti;
-attraverso la produzione di false accuse di trascuratezza;
-attraverso l’accusa di violenze o abusi sul figlio, anche sessuali.

Queste, quindi, le tecniche ideate dal genitore alienante per far sì che il figlio si allontani per sempre dall’altro genitore, distruggendo in lui tutti i sentimenti di affetto e considerazione ed iniettando il veleno corrosivo della paura, della diffidenza e dell’odio senza ritorno.

In pratica il genitore alienante, la madre, otterrebbe una sorta di vendetta ed una sorta di potere che ridurrebbe al silenzio il genitore alienato cioè il ‘povero’ padre.

Questo ipotetico atteggiamento rilevato da Gardner nelle madri contro cui interveniva nei tribunali americani,
provocherebbe effetti talmente deleteri sul bambino, da condurlo a divenire un soggetto patologico, con disagi psicologici notevoli, con mancanza di rispetto nei confronti delle figure autorevoli in genere, con paranoie, narcisismo e psicopatologie legate all’identità di genere.

Parliamo dunque di danni psicologici di non lieve entità…

Incredibile quello che possono fare di male oggi le madri!
I poveri figli sono in balia di donne mostruose, che tessono una ragnatela fitta e avvolgente, con cui si adoperano a voler distruggere a tutti i costi ciò che c’è da distruggere.

Per quale alto motivo?
Ma per vendetta naturalmente, per pura vendetta.
La vendetta è donna: un nuovo slogan!
Si a Gardner piacerebbe, ci scriverebbe su, se fosse vissuto ancora, chissà che avrebbe inventato!

Ma vorrei commentare ancora gli otto sintomi.
Non c’è che dire, il bambino è accerchiato: non può fare una mossa, non può parlare, non può gesticolare, né fare una tenera smorfia, né permettersi chissà quali affermazioni, che tutto, e dico tutto, verrà utilizzato contro di lui.
Anche ciò che non dirà.

Qualcuno penserà che stia esagerando.

Basta frequentare certi tribunali, in certe città, che ci si renderà conto che ai bambini, tanti bambini, un salto nella Pas, non gliela leva nessuno.

Basta leggere gli incidenti probatori…perchè,secondo voi vengono letti con la dovuta attenzione da tutti gli addetti ai lavori?

Gli otto sintomi scavano una fossa, enorme, da cui il bambino non può scampare.

E neanche la madre, invero si salverà: sarà valutata gravemente deficiente sul piano genitoriale e si deciderà contro di lei per quanto concerne l’affidamento del figlio.

Gli otto punti della Pas saranno applicati senza realmente trovare prove sufficienti, senza una scientifica analisi del vissuto del bambino…e soprattutto partendo da un preconcetto: il bambino di certo non dice la verità, quando racconta di violenze, soprusi e quant’altro.

E a tutti i costi, poichè si deve dimostrare quest’ultima verità, a tutti i costi si dovranno riscontrare questi benedetti otto punti, anche se non se ne trova traccia precisa.
Anche se in genere la madre è una donna sofferente e stremata dalle battaglie perpetrate nei suoi confronti e nei confronti del figlio.

Otto sintomi sono tanti…eppure in qualche modo ce la faranno ad appiccicarli come un’etichetta, tutti belli allineati come soldatini pronti alla rappresaglia. E non sarà facile, per gli avvocati difensori, scrollarla di dosso.

Tempi duri per i bambini!
Tempi duri per le madri!

Tempi duri, perché se un bambino racconterà alla propria madre le sue angosce, le sue paure, provocate da un genitore violento, se parlerà di abusi, di vario genere, e se la madre deciderà, secondo coscienza e responsabilità, di denunciare il padre, solo per tutelare la sanità morale e fisica del suo bambino, lì inizieranno guai inimmaginabili.

Cosa accadrà?

Quello che accade…

Il bambino, vittima, diverrà il carnefice inconsapevole per parte di madre, sarà scrutato, psicanalizzato con gran velocità, al massimo pochi incontri, al termine dei quali, saggi operatori dichiareranno che il bambino non è in grado di intendere e di volere.
Pronunceranno la fatidica parola: PAS.

Manca quindi solo il salto nella fossa…e tutto è nascosto…
Tempi duri per donne e bambini…

Grazie Gardner, grazie per la tua pseudo-teoria che falla da tutte le parti.

Una persona amica mi ha inviato la traduzione della Dichiarazione dell’associazione spagnola del centro di neuropsichiatria AEN che, nel marzo del 2010, quindi poco tempo fa, ha rimarcato con gran forza e competenza la sua avversione contro l’uso clinico e legale della PAS.
Non male!

Iniziano a fermentare le tesi contro la PAS, la pseudo-teoria, così macchiata di sangue innocente.

Ma questo sarà l’argomento di uno dei miei prossimi commenti…

Speriamo di chiuderla questa fossa, che mi rimembra le immagini agghiaccianti degli autoritarismi del secolo scorso…

FLO IL DIRETTORE

Il tema della Pas, comincia ad essere molto dibattuto, crea profondi contrasti e schieramenti di parte perché reca con sé la presunzione di voler ingabbiare in una sindrome la decodificazione della realtà delle coppie separate e conflittuali con figli, e pretende inoltre di di averne trovato la cura.
Una cura che sta provocando uno sconvolgimento talmente grande da produrre solo dolore e sangue.

Sapete ormai tutti di cosa parlo: in nome di una verità sacrosanta (la Pas), sempre più bambini devono fare la valigia ed andare in una ‘splendida’ struttura in cui vengono ‘ripuliti’ e resettati da tutto il disprezzo, da tutta l’ostilità verso il genitore rifiutato, da tutte le bugie assorbite dal genitore alienante.

 
Questi bambini usciranno da queste così provvidenziali strutture solamente quando avranno finalmente compreso che non devono più accusare un genitore di abuso, non ne devono assolutamente parlare.
No, no, non sta bene!

Usciranno, con un carattere ben formato ed indottrinato, con un animo sicuramente più leggero, ma solamente dopo che si saranno accorti che devono frequentare entrambi i genitori, senza ‘inventarsi’ assurdità su violenze subite, botte ecc. ecc.
Non dovranno più chiedere di voler rimanere con la loro mamma, perchè l’altro genitore è pericoloso.
Scherziamo? Poi ci lamentiamo che non esistono più gli uomini veri!

Diagnosi e cura della Pas: la dobbiamo a Richard Alan Gardner, dobbiamo ringraziarlo di aver messo a disposizione il suo genio per scoprire questa patologia, racchiusa in 8 punti, che piace così tanto a certi gruppi che lo hanno preso a portabandiera delle loro ragioni.

Beh, io non lo ringrazio proprio, anzi credo di cominciare ad essere in buona compagnia nel pensare che Gardner non era affatto un genio, che la sua diagnosi era una elucubrazione mentale e la sua cura una ‘assurdità’ di una mente un poco confusa.

La Pas è una favola nera, la favola che alcuni vogliono a tutti i costi raccontare a molti bambini.
La favola in cui il lupo cattivo è il protagonista e vince sempre.
La favola della vittoria del male sul bene.

Beh, a me, a moltissimi di voi che leggete, questa favola noir non piace affatto e sicuramente desiderate distruggerla per ricominciare a raccontare quelle belle storie di una volta, in cui il cattivo finisce sempre male.

Iniziamo subito a sgomberare il campo da dubbi: i figli, in una separazione hanno il diritto di frequentare entrambi i genitori, perché possano crescere nella maniera più sana ed equilibrata.
Se il figlio rifiuta in maniera certa uno dei due genitori, bisogna ascoltarne le ragioni, capire cosa ci sia sotto, prendere in serissima considerazione le sue denunce.
Il figlio non dovrà essere obbligato a frequentare con la forza il genitore di cui ha il terrore.
E soprattutto non gli si dovrà dire che ha una sindrome brutta, brutta che gli è stata attaccata dal genitore con cui vive.

Parliamo quindi di situazioni specifiche e circoscritte, perché, grazie a Dio, nella quotidianità i figli amano e desiderano tutti e due i genitori.
Anzi, pur vivendo spesso con la madre, hanno un tale desiderio di avere considerazione ed affetto dal padre, da richiederne spesso la presenza.
E questo è bellissimo.
E questo va appoggiato.
E questo non va osteggiato.

Detto ciò, torniamo alla Pas: è ora di smetterla di chiudere la bocca ai figli con una sindrome, di cui tutti si riempiono la bocca, ma che poco conoscono e che utilizzano come una bomba ad orologeria nei tribunali, contro le donne ed i loro figli.

Una pseudo-sindrome, che lascia grandi perplessità proprio come il suo creatore, che non era di certo un tipo tanto equilibrato.

Avevo intenzione di confutare gli 8 punti su cui si innesta la Pas, ma, credo che sia ancora il caso di approfondire le note biografiche che possiamo ricavare su Gardner, per cercare di tracciarne un profilo il più aderente possibile.
Molto spesso, infatti, vita e pensiero si fondono: questo mi sembra un caso esemplare.

Gardner nacque nel Bronx nel 1931, studiò al Columbia College ed al Downstate Medical Center alla State University di New York, si arruolò nell’Army Medical Corps e divenne in seguito direttore della divisione di psichiatria infantile in un ospedale militare in Germania.

 
Si sposò ed ebbe due figli, ma la storia non funzionò e divorziò.
Scrisse parecchi libri (circa una trentina), che furono pubblicati dalla casa editrice Creative Therapeutics, che aveva in catalogo vari libri (circa una trentina).
Si avete capito bene: la casa editrice aveva come unici libri pubblicati quelli di Gardner.
E l’indirizzo della casa editrice era lo stesso della residenza dello psichiatra!
Dunque, chi pubblicò i libri di Gardner? Lui stesso. Si auto- sponsorizzò.


Ma non scrisse solo libri. Pubblicò moltissimi articoli che diffondevano le sue teorie, attraverso una rivista quasi sconosciuta, Issues in Child Abuse Accusations, il cui direttore era il Dr. Ralph Underwager.

Vorrei un attimo deviare il mio interesse su quest’ultimo personaggio il quale, in una intervista rilasciata ad una rivista olandese, Paidika, ebbe l’ardire di affermare che la pedofilia è un’espressione accettabile del volere di Dio per l’amore e l’unione tra due esseri.

Possiamo quindi sostenere che il direttore e Gardner avevano comunanza di idee riguardo la pedofilia.
Pensiamo alle numerose affermazioni di Gardner nei suoi articoli, come ad esempio quella in cui dichiara che non bisogna esagerare nel considerare troppo negativamente eventuali abusi sessuali da parte del padre sui figli, che bisogna comprenderne i fattori genetici e tenerne conto. Soprattutto il padre non va allontanato dai figli, neanche se ha abusato di loro!
Avete letto bene.

Ora, io una certa idea sulla natura di Gardner, solo partendo da queste affermazioni, fino ad arrivare ai suoi scritti che ho letto tradotti, ce l’avrei.
Credo che, leggendo i suoi ‘capolavori’, anche la maggior parte degli psichiatri si farebbe una certa idea su di lui ed eviterebbe di applicare le sue teorie.
Almeno credo e spero.

Invece le sue genialità sono andate ad inserirsi direttamente nell’ambito dell’avvocatura, dove non si è verificata la loro attendibilità scientifica, ma solo la possibilità di utilizzarle nei processi legati al diritto familiare.

Infatti Gardner riuscì abilmente ad introdurre la PAS, testimoniando nelle cause di divorzio ed appoggiando i poveri uomini incappati nelle maglie di qualche megera. Gardner scrisse addirittura due libri solo per dire e dimostrare l’isteria femminile delle donne.

Le sue testimonianze funzionavano di certo, se pensiamo che per ricevere i suoi ‘favori’, gli uomini erano disposti a sborsare circa 500 dollari l’ora di onorario.
Insomma i legali avevano trovato in Gardner una reale possibilità per contrastare le richieste delle donne e per ottenere l’affidamento dei figli.
E Gardner ha fatto la sua parte molto bene: la gallina dalle uova d’oro….

Nel 1992 ottenne notevole successo quando andò a testimoniare alla separazione tra Woody Allen e Mia Farrow, che aveva accusato il marito di molestie sessuali verso i figli. Era al culmine della sua carriera: osannato, ricercato… poteva avere il meglio dalla vita.

Ma nel 2003, il 28 maggio, l’America apprese dal New York Times la morte dello psichiatra. Aveva 72 anni e morì in casa.
Morì suicida: inferse contro se stesso diverse coltellate, al collo ed al cuore, con un coltellaccio da macellaio.
Il figlio Andrew dichiarò ai giornali che il padre era enormemente scosso per aver appreso di avere una grave malattia neurologica.

Gardner non aveva sopportato il duro colpo e aveva deciso che era ora di farla finita.
E che fine! Da film orror.
Vorrei concludere questa ‘triste’ storia con una notizia sulle qualifiche in campo lavorativo di Gardner, che mi pare interessante.

Il New York Times, il 14 giugno del 2003, fece uscire un articolo in cui correggeva quanto aveva precedentemente scritto sullo psichiatra suicida, ed affermava che Gardner non era professore della divisione di psichiatria infantile presso la Columbia University, ma solo un volontario non retribuito.

Cari lettori, comincia a sorgervi qualche dubbio?
A me si, io sono immersa nei dubbi verso questo personaggio, ma immersa anche nella certezza che la sindrome di Pas è una pseudo-sindrome creata per scopi pratici: far fuori le ex mogli con le loro richieste esagerate e salvare i poveri mariti.
A che prezzo!
A prezzo dell’infelicità dei bambini….

Flo il direttore



Stamattina è sbocciato il sole, si è steso adagio e pesante sulla città e ci ha lasciato senza fiato.
ieri era inverno, oggi è estate piena. Ieri il golfino di lana, oggi a malapena una maglietta scollata.
-Che caldo!- sbuffo, poi mi ricordo che solo ieri dicevo: – uffa fa freddo.-

Era ormai tardi per andare verso il mare, schiacciata in quelle interminabili file di clacson, di asfalto e tensione.
Così ho deciso di recarmi in libreria. Ad accompagnarmi, una coppia di amici e la loro meravigliosa nipotina.

Che meraviglia certe librerie, ci starei giorni interi a sfogliare i libri, guardare le illustrazioni sempre indecisa su cosa comprare e sempre più decisa a comprare tutto. Ci sono dei meravigliosi salottini, dove puoi sederti, leggere e guardare la gente che viene e che va.
Stamattina cercavo un unico libro, con rammarico non l’ho trovato, così ho pensato di raggiungere la mia amica nel piccolo anfiteatro che la libreria dedica ai bambini.

Ci sono i genitori seduti sui piccoli spalti colorati di cuscini, un grande schermo con le immagini mute di un cartone animato e, nella piccola arena, tanti bimbetti con le gambette scoperte che aprono libri, cercano, cercano, sfogliano, chiudono, riaprono, con gli occhi sbarrati dalla gioia, i sorrisi intensi e la mente in attività.

Mi siedo vicino alla mia amica, con in mano un paio di libri d’arte che voglio sfogliare.
Ma lo spettacolo dei bimbi è troppo bello da guardare.

C’è n’è uno che ha scelto un libro sul corpo umano, va a sedersi vicino al padre, hanno entrambi gli occhiali, sono magri e molto somiglianti. Il papà inizia a spiegare a quel bimbetto di sette anni o poco più, la circolazione venosa e quella arteriosa, gli mostra le immagini, segue col dito il percorso indicato sul libro. Io allungo le orecchie e li osservo: un pò di ripasso alla mia età non guasta. Mamma mia! Mi colpisce il fatto che il bambino ascolti interessato, un giorno diventerà sicuramente un dottore come il padre…perché quell’uomo è di certo un medico…lo osservo meglio… si credo sia un medico…

Ci sono tanti genitori accoccolati vicino ai loro cuccioli e leggono loro le storie dei libri che sono stati scelti.

E c’è Sara, la nipotina della mia amica, che gira, gira, cerca, cerca, non è mai stanca di curiosare.
Mi incanto a guardarla, è troppo bella, con quei suoi grandi occhi oceanici, quel volto che sembra rubato ad un angelo.

-Nonna, nonna, guarda…-
E’ talmente emozionata dal gran ben di Dio che le sta di fronte, che alza il tono della voce per farsi sentire e non smette mai di parlare.
Tutti si voltano a guardare la nonna e sono stupiti.

-Signora, mi scusi, non è mica lei la nonna… forse ho capito male…- chiede una donna che sta seduta di fianco alla mia amica.
Io rido, sono ormai abituata a questa scena giornaliera.

-Sì, lei è la mia nonna e quello laggiù è mio nonno. Mamma e papà sono in cielo….mia mamma mi ha avuta giovane….-risponde prontamente Sara.
Questa bimba continua a raccontare la sua storia, senza tralasciare nulla. Quando vede la signora frastornata e stupita alquanto, Sara mi manda un segnale di sbuffo che io comprendo velocemente, e torna a giocare.

La vedo riandare in esplorazione e cerco di non notare una lacrima appostata all’angolo degli occhi della mia amica.
Sara è una bimba che ha tanto, ma che ha anche tanto sofferto.

Come è diversa dagli altri bambini lì intorno, molto carini, ma un poco viziati, abituarti a sentirsi dire sempre sì, che montano un piccolo ricatto, un pianto a comando, uno sguardo infuriato, se i genitori non corrispondono in tutto alle loro richieste.
Sara no, sembra una donnina, piccolo batuffolo di sette anni.

Sara non pretende nulla, non urla, non piange, non minaccia, se le piace qualcosa chiede se può averlo e, se non è possibile, ubbidisce.
Sara è una bambina incredibile: buona, dolce, affettuosa. A volte la sofferenza ed il dolore rendono certe persone speciali.

E Sara è speciale.

-Sara- le dico- vieni qui. Allora, oltre al libro che ti hanno promesso i nonni, te ne regalo uno anch’io, mi raccomando, bello grosso.-

-Oh, zia Flo…- mi bacia con un calore che lascia senza fiato ed in quel momento le comprerei la luna, se me lo chiedesse. Neanche se mi regalassero un diamante avrei quella espressione di gioia che ha lei!

La guardo, la mia amica cerca la mia mano, e tutte e due pensiamo alla mamma della bimba, è come se la vedessimo vicino alla sua Sara. Noi siamo le sue braccia, il suo sorriso, noi siamo l’amore che lei vorrebbe dare alla sua figlia.

Si, la mamma è l’angelo custode di Sara. Ne siamo certe.

Io e la mia amica ci capiamo al volo: abbiamo pensato la stessa cosa.

Dopo spasmodica ricerca, Sara torna da me tutta raggiante:-Zia Flo, ho trovato…ecco guarda…-
Mi mette in grembo un enorme libro con l’immagine di Cenerentola. Lo apro…

-Ma è un quaderno…cerca un libro piuttosto.-
-Sì, zia Flo è un quaderno. Ho deciso. Ti ricordi tutte le favole che inventi per me, da tanto tempo?-
Annuisco.

-Ho deciso che le voglio scrivere per non dimenticarle più.-

Sono commossa. Per darle un poco di allegria, le racconto tante, ma tante storie, tutte carine, con il lieto fine, le racconto mimando, facendo le boccacce, gesticolando…e lei ride ride, sogna, spera…

Voglio insegnarle che la vita è meravigliosa, voglio che lei possa sognare e desiderare cose belle.
E la mia amica è felice quando racconto le favole alla nipote, mentre lei è intenta ad affaccendarsi per casa. Anzi, credo che anche lei ami le mie favole, perché l’ho vista spesso sorridere di nascosto.

Così siamo uscite dalla libreria con un bel libro e un bel quaderno.

Il pomeriggio Sara ha voluto scrivere la prima favola, una di quelle che le era piaciuta di più:

“C’era una volta una bimba bellissima che tutti chiamavano Cioccolatino, perché le piacevano da morire i cioccolatini e ne mangiava tutto il giorno, a colazione, a pranzo, a merenda ed a cena. Non voleva sentir ragioni. I poveri genitori non sapevano più come comportarsi perchè Cioccolatino era ferma ed ostinata nel suo proposito di mangiare solo cioccolatini.
Un giorno Cioccolatino, dopo essersi svegliata, entrò nel bagno, si guardò allo specchio e…lanciò un urlo:- AHHH, mamma, papà. Aiuto aiuto, che mi è successo?-
I poveri genitori accorsero spaventati e trovarono che la loro bimba era diventata proprio un cioccolatino, tutta marroncina, con tante bolle, grossa grossa, con pure i denti marroncini: sembrava un bacio perugina!
La portarono prontamente dal medico il quale chiese:-Cioccolatino, che hai mangiato ieri a colazione?-
– Latte al cioccolato, naturalmente.- Rispose.
-E a merenda?-
-Pane e cioccolato, naturalmente.-
-E a pranzo?-
-Pasta al cioccolato, naturalmente.-
-E a cena?-
-Polpettine al cioccolato, insalata al cioccolato e, per finire, poiché avevo un leggero languorino, tre fantastici cioccolatini, naturalmente.-
-Naturalmente.- Fece eco il dottore.
-Bene, anzi male, tu sei malata di cioccolatite acuta e potresti trasformarti in un enorme budino nero se continuerai a mangiare cioccolatini.
La povera bimba si spaventò.
-Dottore, dottore, la prego mi salvi, farò tutto quello che lei dirà.-
-Dunque, da domani, mangerai le cose che mangiano tutti i bambini, non farai più capricci riguardo alla cioccolata. Ti consento di mangiare, di sera, dopo le preghierine e prima di lavarti i denti, un bel cioccolatino. Ma solo uno, uno al giorno. Un cioccolatino al giorno leva il medico di torno. Va bene? Siamo intesi?-
-Si dottore, uno al giorno.-
Cioccolatino ubbidì al dottore e da quel giorno mangiò un solo cioccolatino, la sera, dopo le preghiere e prima di lavarsi i denti.
Nel giro di due mesi, Cioccolatino tornò ad essere una bellissima bambina dalle guance rosee e dal sorriso smagliante. Era guarita.
Non la chiamarono più Cioccolatino, ma dolcetto, perché era dolce, dolce e tutti l’amavano.”

Fine della favola e Sara tutta orgogliosa gira per casa con la sua prima favola.

-Zia Flo. Martedì vengono due mie amichette a casa. Perché non fai ascoltare anche a loro una favola?- mi chiede la piccola.
– Martedì, va bene, mi libererò, tu prepara le patatine e l’aranciata.-
Ormai sono incastrata: martedì un’altra bellissima favola per Sara e le sue compagne. Devo rinunciare ad un impegno già preso. Che importa? Per Sara questo ed altro.

La sera, prima di addormentarmi, ho aperto un libro che giace da qualche mese sul mio comodino:” L’eleganza del riccio”, un libro molto apprezzato dalla critica. Una mia carissima amica me lo ha regalato dicendo: -Flo è il libro più bello che abbia mai letto e l’ho scelto perché sono certa che ti piacerà tantissimo.-

Siccome è un’amica di vecchia data e conosce i miei gusti, intrapresi la lettura con la speranza di un’emozione. Che delusione, non riuscivo ad avanzare, il racconto non mi piaceva. Alla fine andai a verificare all’ultima pagina come finiva, perché sono troppo curiosa, e lo abbandonai, un pò arrabbiata con la mia amica che non aveva saputo scegliere bene e che forse non mi conosceva poi così bene.

Ho provato a rileggere qua e là, inutile, non mi attira, è troppo pretestuoso.
Lo richiudo e decido di pensare alla favola che racconterò martedì a Sara e alle sue amichette.

-Nonnina, com’era quella favola che mi raccontavi sempre quando ero piccola… non la ricordo, mi piacerebbe raccontarla a Sara…-
…Buonanotte…sognerò una favola.

Flo il direttore
(Fermiamoci a raccontare una favola ai nostri bambini).

Cari lettori, stamattina il piccolo Matteo, novello Davide, è riuscito a difendersi dalle forze dell’ordine e dagli assistenti sociali, novelli Golia (e non è certo un complimento) che sono usciti sconfitti.

Ormai sapete che Matteo vive a Sezze, ne hanno parlato i giornali, speravamo che, dopo l’intervento del senatore Pedica, IDV, dopo che la presidente del Tribunale dei Minori era intervenuta e si era resa conto della situazione, il piccolo fosse in salvo. Matteo infatti nei giorni scorsi aveva ricominciato a seguire con continuità  il percorso didattico con i suoi compagni, aveva ripreso l’attività sportiva e soprattutto aveva ricominciato a sorridere.

Sorridere come sanno fare i bambini felici.

I piccoli infatti hanno una facilità a superare i momenti difficili impressionante e Matteo ne è un ottimo esempio.

Dunque arriviamo al fatto. Stamattina, 11 maggio, il bambino si trovava in classe con i suoi compagni.

Ad un certo punto sono giunti davanti alla scuola 4 volanti delle forze dell’ordine, con 4 agenti a bordo per ciascuna macchina, accompagnate da un pulmino sempre delle forze dell’ordine.

Alcuni di loro sono entrati nella scuola armati, al punto che i bambini in seguito hanno raccontato alle mamme di essersi spaventati.

Il piccolo Matteo è stato prelevato ed è stato ‘invitato’ in una stanza che si è chiusa dietro le spalle di due assistenti sociali della questura di Latina.

Nel frattempo il padre fuori della scuola controllava che tutto procedesse nel migliore dei modi, cioè che Matteo fosse prelevato e portato nella casa famiglia che lo aspetta a braccia aperte.

Grazie a Dio dalla scuola hanno subito avvisato la madre di Matteo, che è giunta con la nonna  in un battibaleno.

Grazie a Dio sono stati allertati i giornalisti, il senatore Pedica ed il presidente del Tribunale dei minori.

Il padre del bambino non ha consentito l’accesso alla scuola alle due donne  che volevano raggiungere il bambino.

La madre ad un certo punto, ormai certa di aver perso suo figlio per sempre ed angosciata per essere impossibilitata a difenderlo, visto tutto quell’armamentario che le stava contro,  improvvisamente si è sentita male ed è svenuta, non prima di essere stata picchiata violentemente dall’uomo.

Grazie a Dio, e lo dico veramente, i giornalisti sono arrivati tempestivamente e sono testimoni di quanto si è verificato.

Totò Riina  doveva essere prelevato.

Ma no, che dico, un bimbetto di un metro e trenta doveva essere preso contro la sua volontà.

Ebbene, sapete cosa è accaduto?

Il novello Davide ha sconfitto Golia.

Cioè Matteo è uscito sano e salvo con le sue gambe, ha resistito, ha pianto, quanto ha pianto, quanto ha pregato, quanto ha lottato per non seguire le due coscienziose assistenti sociali.

“VI PREGO, VERRO’ CON VOI, MA FATEMI SALUTARE PER L’ULTIMA VOLTA LA MAMMA”

“PERCHE’ MI VOLETE PORTARE VIA, LOCAPITE CHE IO SONO UN BAMBINO FELICE CON LA MIA MAMMA?”

“PERCHE’ NON LO CAPITE?”

PERCHE’ NON VOLETE CHE IO STIA CON LA MIA MAMMA?”

Queste le strazianti grida del bambino, queste le richieste di aiuto di Matteo, che i testimoni fuori della stanza raccontano con angoscia.

Mentre scrivo sto piangendo e non me ne vergogno.

Credo che invece si dovrebbe vergognare chi non piange, non si commuove  e non sa capire quale sia la verità: Matteo deve crescere con l’amore l’affetto e la sicurezza della sua mamma.

Non mi dilungo. Matteo ha resistito, piccolo eroe dei bimbi maltrattati dalla giustizia ingiusta.

Finalmente dalla questura è arrivato l’ordine agli agenti, che segretamente spero che parteggiassero per il bambino, di ritirarsi. Nel frattempo è giunta l’ambulanza per la madre.

Termino con un grazie ai giornalisti,  che sono stati splendidi, grazie al senatore che protegge questo bimbo e tutti coloro che sono nella sua situazione. Grazie al presidente del Tribunale dei minori che ha fermato il blitz.

Ora mamma e figlio sono insieme. Il bimbo sta per andare a dormire perchè sono tutti stanchi a casa e non ce la fanno più a stare in piedi dopo questo stress capace di distruggere un cavallo.

DORMI PICCOLINO MIO, DORMI, SEI STATO UN OMETTO”.

Così immagino che gli dirà la mamma rimboccandogli le coperte.

Flo il direttore


Il tema è di grande attualità, è delicato e non sempre affrontato in maniera corretta.

Poichè negli ultimi tempi sono emersi casi penali in cui i testimoni sono i bambini, soprattutto nei casi di abuso verificatisi in varie scuole, in varie parti dello stivale, credo che sia importante domandarsi come si comporta la memoria nei bambini.

Cosa ricordano i bambini?

Già negli USA il problema di come i bambini ricordino, di cosa ricordino e se ricordino in maniera sbagliata è molto importante e determinante soprattutto nei casi di abusi sessuali nei confronti dei minori.

Sappiamo che in alcuni processi non è stato possibile verificare la veridicità o meno delle testimonianze.

Questa problematica purtroppo sta risalendo anche nel nostro paese, a causa di varie denunce di abusi sessuali sui minori, i cui testimoni principali sono appunto i bambini.

Dagli Usa ci arrivano una serie di studi, di articoli che tentano di dimostrare che il meccanismo della memoria, va perfezionandosi nel tempo, con il passare degli anni. Gli adulti quindi avrebbero una relazione più matura con la memoria, cioè i loro ricordi sarebbero più vicini alla realtà, quella dei bambini invece sarebbe meno affidabile.

Le implicazioni di queste conclusioni, possiamo ben immaginare a cosa portino.

Al fatto che i bambini siano ritenuti poco attendibili.

Quindi…fate vobis.

Io oggi vorrei farvi conoscere due psicologi della Cornell University, non certo due pivellini, Charles Brainerd e Valerie Reynas.

Se girate su internet, potrete imbattervi nei loro articoli, ma in lingua inglese.

Ancora nessuno mi sembra abbia tradotto, per i più, i loro studi.

E questo per me è una grave mancanza per la conoscenza nel campo degli studi di psicologia infantile.

Con gran fatica dunque, ho potuto avvicinarmi ai loro studi, che ritengo affidabili, seri ed importanti al fine di contrastare una certa mentalità che si basa non su certezze razionali, ma su teorie a mio parere poco modellate sul reale.

Dunque, i due ricercatori, al termine della loro indagine, sono giunti alla conclusione che la memoria dei bimbi è certamente più ‘limpida’  se rapportata a quella degli adolescenti ed a quella degli adulti.

In definitiva, Brainerd e Reynas sono giunti ad una conclusione assolutamente opposta rispetto ad altri loro colleghi.

Come hanno fatto, cosa hanno analizzato?

I due psicologi sono partiti dal fuzzy-trace theory, cioè si sono avvalsi di un approccio teorico che giunge alla ricostruzione ottimale della memoria partendo da vaghe memorie che si codificano lungo un percorso continuo.

In parole più semplici i ricercatori hanno cercato di indagare e scoprire come si creassero i ricordi nei bambini, nelle varie età.

Si sono avvalsi di due liste di parole, che hanno presentato a bambini di 6, 10 e 14 anni, a pochi minuti l’una dall’altra.

Nella prima lista gli studiosi hanno inserito termini divisi per categorie quali, cose, animali, mobili, frutti.

Nella seconda lista hanno catalogato le stesse parole della prima, ma con l’aggiunta di sostantivi assolutamente nuovi rispetto alla prima lista, ma che appartenevano agli stessi gruppi di significato.

Gli psicologi, dopo aver dato il tempo di ascoltare le due liste, hanno chiesto ai bambini quali parole appartenessero alla prima lista.

Ebbene, è risultato che i bambini più grandi erano quelli che cadevano più facilmente in errore perché erano sicuri che parole presenti solo nella seconda lista, fossero già presenti nella prima.

Perché?

Per effetto della correlazione semantica, cioè per la loro capacità di collegare i significati delle parole: due parole diverse, ma con lo stesso significato.

I due studiosi quindi, in base ai loro studi sostengono che, poiché i bambini piccoli  non hanno ancora sviluppato l’abilità di collegare i significati delle parole, non possono, per conseguenza, creare falsi ricordi né fare errori riportando alla mente avvenimenti accaduti.

Ecco che le conclusioni a cui giungono i due psicologi hanno delle implicazioni veramente importanti, che voglio esprimere attraverso le loro stesse parole:

“POICHE’ QUESTI IMPLICAZIONI SONO FREQUENTI NELLA VITA REALE, L’IDEA CHE LE TESTIMONIANZE DEI BAMBINI SIANO PIU’ FACILMENTE SOGGETTE A FALSE MEMORIE NON E’ PIU’ FACILMENTE SOSTENIBILE”.

Avete compreso bene, cari lettori, la memoria dei bambini è più attendibile di quella di un adulto.

E direi che sia ora di smettere di trattare i bambini come dei trogloditi, degli uomini a metà, che non vanno ascoltati, né tantomeno ritenuti credibili.

IO CREDO AI BAMBINI.

CREDO ANCHE CHE I FALSI ABUSI SIANO IN REALTA’ ABUSI, VERI ABUSI, NON RICONOSCIUTI, PERCHE’ LA PAROLA DELL’ADULTO, CHE HA MOLTE POSSIBILITA’ DI SAPER MENTIRE, HA PIU’ VALORE DI QUELLA DEI BAMBINI.

CHE TRISTEZZA, CHE AMARA VERITA’.

Voglio concludere questa discussione, appoggiando la tesi dei due psicologi, con quello che la maggior parte delle persone vive accanto ai bambini: se qualche volta siete colpiti dalle frasi simpatiche dei bambini e le riportate ad amici o parenti alla loro presenza, avrete più volte verificato che, siete  stati corretti dai bambini stessi perchè non avete riportato le loro stesse parole, ma avete utilizzato dei termini assonanti dal punto di vista semantico, che loro non hanno riconosciuto. I bambini hanno dunque pensato che voi aveste mal ripetuto le loro frasi.

Questo con i bambini piccoli succede spesso. Loro, non conoscendo altre terminologie, richiedono che i loro discorsi siano riportati utilizzando le loro stesse parole.

In conclusione:

I ricordi dei bambini hanno ampia possibilità di essere veritieri, nei casi di abuso, purtroppo, e sottolineo purtroppo, possono essere veritieri.

I bambini vanno ascoltati, veramente, nella maniera più idonea e smettendo di pensare che la fantasia o gli incubi condizionino la loro visione di ciò che è reale.

Flo

Maria ha diciotto anni, è piccola, bionda, col nasino all’insù ed un’espressione sempre imbronciata. Due occhi che, anche quando ride, piangono.

E’ uscita presto da scuola , dopo le prime due ore di assemblea d’Istituto, ha lasciato le sue amiche e si è incamminata da sola, verso l’autobus che la riporta a casa. Non aveva voglia di ascoltare le chiacchiere allegre, non aveva voglia di parlare di ragazzi e fingere di essere felice e spensierata.

La mattina sua madre armeggiava con la lavatrice che non funzionava, altri soldi da pagare per l’idraulico, soldi che non bastano mai.

Pazienza, aveva pensato tra sé, anche stavolta devo rinunciare alla gita scolastica a Praga. Intanto era uscita di casa lasciando la madre che borbottava a più non posso che non ne andava mai bene una.

E’ strano, ma quella lavatrice a cui adesso stava pensando mentre percorreva il lungotevere, le aveva innescato un tale sconforto che il cuore sembrava le si spaccasse. Cominciò a piangere, un pianto incontenibile, tutte le lacrime represse, ricacciate  con forza. Le lacrime di una vita.

Una lavatrice le aveva ricordato che la sua storia stava andando a rovescio.

Tutto non funzionava più nella sua vita, inutile fingere.

Maria decide di non proseguire verso la fermata dell’autobus, ma di attraversare il ponte e scendere fino al Tevere, sull’isola Tiberina. Lascia cadere lo zaino e vi si siede vicino.

E’ una bellissima giornata di sole, come solo Roma sa donare, volge il volto umido per lasciarsi inondare di luce.

Altro che lavatrice, altro che soldi che mancano sempre, altro che madre sempre a pensare come cavarsela, perché non c’è un’anima che ti dia un aiuto.

Maria in realtà piange per suo fratello, il suo amato fratellino di cinque anni più giovane, lontano da lei, lontano dalla madre, lontano …in casa famiglia.

Non ce la fa Maria a sopportare il dolore di stare distante da lui, ma soprattutto di sapere che sta male che è infelice.

“Io mi ammazzo, mi ammazzo, se sto ancora lì dentro mi ammazzo!”

Queste le frasi che ancora le risuonano, questo il grido d’angoscia profonda di suo fratello Luca, la sera prima quando, dopo aver trascorso la domenica a casa con lei e la madre, doveva per forza o con la forza ritornare in casa famiglia.

Vergognoso, ma ancora più vergognoso non avere uno straccio di possibilità di aiutarlo, nessuno che ascoltasse la loro disperazione.

Maria sente crescere dentro di sé un odio, così profondo, così viscerale da non riuscire ad immaginarlo staccarsi da sé, un odio verso tutto e tutto. Odio verso il mondo intero e pure verso Dio.

Dio lassù, ti ricordi che noi siamo quaggiù in balia di gente senza cuore, senza scrupoli senza ragione?

Maria piange.

Piange per sua madre, una donna sola, abbandonata, trattata come una cosa inutile , una pezza.

Piange per il padre che le è capitato, non riesce neanche a sopportarne il ricordo, tanto i conati di vomito la soffocano.

Un padre che ha distrutto tutto: amore, onore, rispettabilità, sacralità.

Un padre che ha giurato a sua madre di fargliela pagare, che è riuscito ad ingannare tutti, anche la legge, al punto da riuscire ad avere in affido, anni fa, lei e suo fratello.

Perchè lui rispettabile all’esterno lo era e lo è davvero. Povero marito, pensava la gente, quante storie racconta sua moglie, un uomo così amabile….

Quanto aveva pianto quando l’avevano allontanata da sua madre, quanto l’aveva odiata e giudicata perchè non era riuscita a tenersi i suoi figli!

Quanto l’aveva odiata quando non aveva saputo difenderla dalle mani sporche di suo padre

Maria non piange più ora, lo sguardo fisso avanti, le mascelle rigide.

Qualche giorno prima era andata a casa di una sua compagna di classe. Frequentava spesso la sua casa, le piaceva molto l’aria che si respirava. Le piaceva soprattutto il padre della sua amica, così affettuoso, abbracciava la figlia, la coccolava, rideva di lei e poi salutava tutti e ritornava al suo studio notarile.

Ma veramente era un bravo padre, si domandava, o era come il suo, che ormai grazie a Dio, non frequentava da anni?

La sua amica sembrava contenta, adorava suo padre e parlava di lui spesso. Ma la sua esperienza personale la portava ormai a dubitare  di tutto e di tutti, a pensare che non esistessero le persone buone, le persone vere.

Anche ora, lì sulla riva del Tevere, Maria viene rapita dalle coppie che camminano portando i loro figlioletti in braccio o in passeggino. Forse sono stranieri in vacanza. Osserva un padre alto, giovane e biondo che rincorre il figlio, lo prende, lo solleva e lo riempie di baci, lo riporta alla madre ed abbraccia anche lei.

Osserva anche un altro uomo che stringe un batuffolo rosa, come fosse un trofeo ed intanto si gode il panorama con la moglie.

Maria si stupisce sempre del fatto che tutti gli uomini che incontra con lo sguardo siano persone normali.

Non come suo padre, che ha inquinato, deturpato, sfigurato, la bellezza della vita.

Della sua vita.

Un giorno era riuscita a raccontare tutto a sua madre, non sapeva neanche con che coraggio, le aveva sputato tutto in faccia, con rancore, per farle ancora più male.

Sua madre l’aveva portata  a parlare con un esperto, ma nessuno le aveva creduto. Incredibile, avevano pensato che sua madre l’avesse costretta a raccontare calunnie per riprendersela in casa con sé.

Tutti erano assolutamente convinti che sua madre accusasse il padre per rendergli la vita impossibile e che avesse la denuncia facile a causa della forte conflittualità con lui.

Ma lei non era comunque e per fortuna, mai più tornata dal padre, aveva puntato i piedi, fatto il diavolo a quattro. Alla fine il padre stesso aveva detto che era lui a non volere più quella bugiarda in casa e l’aveva cacciata.

Bugiarda! Come avrebbe voluto che fosse stato vero il fatto che avesse inventato tutto. Finalmente avrebbe dormito tranquilla, non avrebbe avuto incubi terribili ogni notte, che la facevano svegliare affranta, sudata e dolorante.

Suo fratello invece era rimasto col padre, non aveva mai saputo perché lei se ne era andata.

Ma due anni fa, gli assistenti sociali decidono che è il caso di seguire da vicino Luca e di allontanarlo dal padre.

Lo portano a forza, tanto non ci si può ribellare, in una casa famiglia.

Per quasi due anni Maria non ha più potuto rivedere suo fratello, neanche a sua madre è stato consentito, se non per brevi momenti.

Luca si domandava il perché di quello che gli stava capitando e il perché se lo domanda ancora adesso.

Solo da qualche mese è stato consentito a Luca di riprendere a tornare a casa del padre per il week end e la domenica pomeriggio fino a sera a casa sua e della madre.

Maria sorride inavvertitamente, lo sguardo si distende, suo fratello è un simpaticone. Che gioia poterlo riabbracciare, bisbigliare chiusi nella loro camera, raccontarsi anche le favole, sognare di essere sempre insieme. Quanto ride suo fratello insieme a lei!

Quanto è bello suo fratello,  il volto dai lineamenti delicati.

Gli dice talvolta “quanto sei bello! Non era meglio che nascessi io così affascinante, visto che sono donna?”

Poi gli scompiglia i capelli e lo abbraccia stretto stretto. E lui si lascia coccolare, si lascia prendere in giro.

Abbracci lunghi, sinceri, belli, puliti, abbracci tra fratello e sorella, abbracci forti che devono bastare per gli interminabili giorni della settimana, per le ore ed i secondi, in cui delle persone che non c’entrano nulla con la loro vita, li tengono divisi senza pietà.

Senza umanità.

Che dolore lasciarsi la domenica sera, riportarlo insieme a sua madre  in quell’orribile posto, in quella prigione dei desideri familiari.

Che dolore stringerlo ancora, per l’ultima volta, vederlo incamminarsi, magro ed esile, per gli stenti a cui è sottoposto, verso il portone verde dell’istituto.

Che dolore fingere sorrisi e saluti gioiosi, mentre dentro Maria vorrebbe solo decidere di farla finita con la vita.

Però, quando torna a casa, in quella sua casa silenziosa senza la voce di suo fratello, quando si addormenta, quella è l’unica notte in cui non sogna mostri e, se si sveglia, si rigira nel letto, allunga la mano verso il letto del fratello assente e si riaddormenta al ricordo degli abbracci e delle frasi sussurrate: “Luca, un giorno andremo a vivere insieme. Vedrai, troveremo un lavoro, saremo felici, avremo tanti amici e saremo finalmente sempre insieme”:

Luca: il primo periodo in casa famiglia per lui è stato terribile.

Via il cellulare, che ci devi fare, non puoi chiamare.

Via il computer, no ,no, con chi devi chattare?

Via le uscite con e senza permesso.

Le porte si chiudono a chiave, se vuoi uscire per andare a trovare degli amici o semplicemene per fare una passeggiata nel quartiere, non è possibile: potresti fuggire.

Luca si trova in prigione. Perché solo una prigione può tenerti contro la tua volontà, altrimenti, se la porta fosse aperta, Luca avrebbe salutato tutti, arrivederci a mai più e sarebbe tornato a casa.

Gli operatori sono molto giovani, non sono sposati, non hanno figli.

Sono giovani, ma inflessibili.

C’è un mondo in casa famiglia. Ci sono ragazzi di tutte le nazionalità, di tutti i tipi, ce ne sono alcuni che sanno usare bene i coltellini per taglieggiarti. Bisogna stare attenti in casa famiglia.

Maria pensa a suo fratello: così ordinato, meticoloso nelle sue cose. Chissà quanto ha sofferto nel non poter avere un’intimità neanche rispetto ai sui oggetti personali.

Luca non ama mangiare certi cibi, è stato sempre un poco schizzinoso.

Ebbene lo hanno costretto a mangiare quello che passa il convento. Non mangi? Che problema c’è. Vai a letto senza cena.

Non mangi quello che si trova nel piatto? E chi sei, il figlio del re? Per punizione,  sei pregato di lasciare sul tavolo l’uovo di Pasqua che ti ha mandato tua madre.

Il suo amato uovo di cioccolato di cui è così ghiotto.

Maria non ha ragione di dubitare dei racconti del fratello: lui l’uovo non l’ha mangiato, se lo sono divisi tra loro gli operatori.

Così per ogni cosa: se non ubbidisci, stai attento che ti leviamo gli spazi di libertà.

E così Luca, tutto il suo disappunto l’ha riversato sulla scuola. Luca è una frana. Si è lasciato bocciare lo scorso anno e di nuovo lo sarà quest’anno se continua a non studiare.  Non è che prima fosse un grande studioso, ma adesso era peggiorato sicuramente.

Luca è disperato. Vuole lasciare la casa famiglia, vuole riappropriarsi della sua libertà, del diritto di frequentare i suoi amici, di vedere sua madre e sua sorella.

Luca non può e ha pensato di morire.

Luca vuole farla finita. Il suo è un grido di angoscia.

Ma è anche una richiesta di aiuto: fate qualcosa per me, sembra dire.

Maria ha il cuore stretto dall’ansia. Come può aiutare suo fratello?

Perché la verità è che nessuno li ascolta.

Perché le assistenti sociali non credono a sua madre, perché la considerano una donna che farebbe di tutto, anche usare i suoi figli, per far del male al suo ex marito? Possibile che non riescano ad uscire dai loro schemi e a guardare le persone con gli occhi dell’obiettività?

Una nuvola ha coperto il sole, che non riesce più ad asciugare le lacrime sul suo bel volto. Maria comincia a sentire freddo, si stringe il golfino , tira su di naso.

Fratello mio, devi vivere, ce la dobbiamo fare, abbi pazienza, sii coraggioso. Non può essere per sempre, non possono tenerti sempre rinchiuso come un cane senza diritti, come uno schiavo dello stato.

Fratello mio resisti, non buttare la tua vita, non farti del male per farla pagare a chi ti fa del male.

Fratello mio, combatti per te, per me, per nostra madre, che non ha potuto difenderci e che continua a lottare come una leonessa nonostante l’abbiano distrutta.

Maria sente il desiderio di parlare con Luca, sente che c’è bisogno di guardare avanti, che Luca deve avere la prospettiva che la prigionia finirà e che troverà lei e sua madre ad attenderlo.

Sale la scalinata e va verso il pullman che la riconduce a casa.

C’è sua madre che l’aspetta, la sua mamma forte e bella. Pazienza per la lavatrice, si aggiusterà e si tirerà un pò la cinghia.

Si, farà un bel sorriso a sua madre.

Dai mamma che ce la faremo. Anzi, pensiamo a qualcosa di divertente da fare per il week end prossimo, quando verrà a casa Luca.

“Luca, fratellino mio, coraggio ce la faremo “.

Luca non ammazzarti, resisti.

Flo il direttore

Di ritorno da due giorni di vacanza, di prima mattina, mi sono aggirata per casa, con l’intenzione di chiudermi al mondo, di spegnere telefoni e telefonini  e di dedicarmi alla lettura di un buon libro.

Mi piace ogni tanto nascondermi, dedicarmi una giornata, andare a vedere una mostra tutta sola, infilarmi in una libreria o scappare verso un rifugio  vicino al mare, che amo molto. Ogni tanto ci vuole, anche per ‘far riposare la voce’, perché, come ogni donna, parlo sempre: gli uomini dicono sia un difetto, noi donne pensiamo sia un pregio.

Stamattina dunque, mentre cercavo nella mia libreria un romanzo comprato da poco, mi sono imbattuta in una collana di libretti di Schopenhauer.

L’arte di amare le donne“….mi attrae il titolo di un volumetto che mi fu regalato tanti anni fa e mi sono messa a sfogliarlo distrattamente  dimenticandomi di cercare il romanzo.

Di Schopenhauer conosco tanto per averlo studiato all’università e di quel libretto mi sono tornati alla memoria alcuni lessemi che mi erano penetrati indelebilmente nella mente.

Non amo molto questo pensatore conosciuto come uno dei ‘filosofi del sospetto’, un tipo un poco negativo per i miei gusti, uno che pensa male di tutto e di tutti, che ha tentato di distruggere persino Dio. Un pessimista coi fiocchi, insomma. Molti che l’hanno letto, lo hanno trovato geniale e lo hanno seguito nel suo scetticismo  e nelle sue idee velenose.

Io me ne sono ben guardata, ma studiarlo si, l’ho fatto per dovere.

“L’arte di trattare le donne ” però è un libretto simpatico in cui il filosofo utilizza il meglio di sé per dimostrare tutta la sua misoginia, il suo rancore ed il suo odio nei confronti delle donne.

Consiglierei di leggerlo e poi, per ripicca, appallottolarlo per farci un bel lancio a mò di pallone. Oppure riporlo nello scaffale più alto e tenerlo nascosto tra le cose meno gradite.

Fate vobis.

Comunque mi è venuto in mente di farvene conoscere qualche pillola, cari lettori, per farne l’uso che desiderate.

Arthur Schopenauer  però, poverino,un pò di ragione ce l’aveva: era stato segnato in gioventù da una vita dolorosa che lo ha portato e credere che tutte le donne fossero come sua madre.

Il padre di Arthur morì suicida, quando lui era un fanciullo e sua madre, Johanna, una donna con grandi ambizioni letterarie, a Weimar, riunì intorno a sè un circolo letterario che la occupava molto.

Soprattutto, ciò che le prendeva più tempo era un giovane amante di cui Arthur ovviamente fu all’inizio scandalizzatissimo, poi gelosissimo.

Il padre era da poco sepolto nella fossa e già la madre si dava alla pazza gioia senza neanche rispettare un tempo decoroso di lutto.

La verità era che Johanna si sentiva finalmente libera dai lacci prima del padre, poi del marito e, non era disposta a rinunciare alla sua libertà neanche per i figli.  Arthur provò in tutti i modi a farla desistere dal suo atteggiamento che mal si confaceva a quello di una madre attenta ed amorevole, cercò di riconquistare con ogni mezzo le attenzioni della genitrice nei suoi confronti, ma non vi riuscì.

Maturò così una tale avversione per la madre, che scaturì in un odio viscerale nei confronti di tutte le donne e del mondo intero.

Certo fu sempre affascinato dalle donne, ma collezionò una tale marea di delusioni, che la sua misoginia divenne una sua caratteristica e lo portò a disseminare nei suoi scritti  così tante definizioni negative su di esse, che non sono sfuggite agli studiosi e che sono poi state raccolte nel volumetto che ho tra le mani.

“Il sesso femminile…può essere stato chiamato bel sesso soltanto dall’intelletto maschile obnubilato dall’istinto sessuale: in altre parole, tutta la bellezza femminile risiede in quell’istinto”.

Insomma Arthur ha da ridire anche sulla belle zza femminile, ma questo è il minimo.

Le donne sono il secondo sesso, che da ogni punto di vista è inferiore al sesso maschile…“. Qui Arthur parla chiaro!

“Con le donne la natura fa un colpo da maestro:riunisce in esse tutta la bellezza…per attirare gli sguardi degli uomini….e li manda in rovina (gli uomini)”.

La vanità della donna…unita alla sua scarsa intelligenza, rende la donna incline allo sperpero“.

“…la donna nuota a suo agio nella menzogna”. La falsità e la menzogna dunque sono i gioielli delle donne, sempre secondo Arthur.

“Quando le leggi concessero alle donne gli stessi diritti degli uomini, avrebbero anche dovuto munirle di un’intelligenza maschile.”

Avete ascoltato che pensa Arthur? Credo che oggi abbia ancora molti seguaci in questo senso.

Sentite questa: “Le donne hanno sempre bisogno di un tutore; perciò in nessun caso dovrebbero ottenere la tutela dei figli”.

Incredibile: un precursore dei tempi moderni di certi tribunali!

O voi, esperti del settore, voi che con grande facilità consigliate di allontanare i bambini dalle loro madri per farli entrare in una vera casa: la casa famiglia. Vedete , in Arthur trovate un autorevole appoggio! da oggi in poi potreste servirvene per mettere a tacere tante mamme, che sono così petulanti nel chiedere il diritto di crescere i propri figli!

Potrei continuare con altre dotte esternazioni sulla scarsa bellezza, lo scarso genio delle donne, concludo invece con una frase che fa capire quanto le donne siano poco intelligenti:

“Massa di cascamorti che non siete altro…non vi siete ancora accorti che esse…spesso hanno spirito, per caso hanno genio, ma intelligenza mai?”

Care donne, insomma, usate le vostre armi di seduzione per irretire il genio maschile (meschino!), non siete capaci di allevare i figli e per giunta non siete state dotate di intelligenza.

Mamma mia, tanti anni di studio, dunque non sono serviti a nulla?

Ed io che mi credevo così intelligente, in grado di conversare piacevolmente con uomini e donne, in grado di formarmi un pensiero personale, in grado di analizzare una questione qualsiasi.

E tutte le mie amiche, così care, belle, intelligenti, simpatiche, scherzose, forti, bravissime mogli, bravissime madri, bravissime cuoche (non guasta mai!)?

Mi sa caro Arthur che ti sei sbagliato proprio tanto e, come te, tutti coloro che ti hanno ascoltato.

Sai che faccio?

Ti ripongo nello scaffale in alto, in seconda fila e ti nascondo dietro a un libro di una gran  donna: Teresa d’Avila, da cui andavano molti  uomini importanti per chiedere consiglio.

Bene, arrivederci Arthur, a mai più sentirci. Torno a cercare quel bel romanzo d’amore appena comprato!

Per sognare un pò.

Flo il direttore


Mi sono resa conto che è sempre bene ricordare e sottolineare che nella maggior parte dei casi di separazione, gli ex coniugi, che rimangono comunque e sempre entrambi genitori, si accordano per provocare meno traumi possibili alla loro prole. Essi devono far fronte a varie problematiche, alla gestione di un nuovo stile di vita, alla nascita di nuove relazioni, alla divisione dei beni comuni, ma soprattutto a saper aiutare i bambini, posti loro malgrado, di fronte alle nuove scelte dei genitori.

I figli delle coppie separate, sicuramente risultano più fragili a livello emotivo e relazionale, sicuramente soffrono per la rottura di un equilibrio che li vedeva al centro di un mondo, che più o meno improvvisamente cambia scenario e panorama.

I genitori, dunque, devono essere pronti a rendere meno traumatico possibile il passaggio ad un nuovo assetto familiare e devono certamente essere entrambi presenti nell’educazione e nel cammino di crescita.

Ciò detto, quando si parla di queste separazioni, fa ridere l’affido condiviso, perchè un padre coscienzioso, sa e comprende che i figli debbono avere una stabilità e riconoscere un luogo preciso come la loro casa. Sa che bisogna rispettare le necessità dei bambini e cercare di essere il più presente e disponibile possibile.

Le madri invece, sanno che i figli amano il loro padre e sono contente che lui si occupi di loro, che le aiuti a risolvere i problemi contingenti che nascono di continuo. Le madri quindi, dal canto loro, stando maggiormente a contatto con i figli, hanno anche il compito di aiutare a mantenere un clima disteso e naturale nelle relazioni col padre.

I figli, che amano entrambi i genitori e che mai potrebbero scegliere tra i due, si devono sentire liberi di frequentarli entrambi, senza eccessive imposizioni di orario. Non c’è nulla di male se i bambini non possono andare tutti i week end col padre, ma non c’è neanche nulla di strano se ci si mette d’accordo di volta in volta, tenendo presente sia le necessità dei figli, sia quelle degli adulti.

Non dovrebbero essere i giudici, i servizi a d organizzare gli incontri, ma i genitori stessi, alla luce di tutte le peculiarità che sono proprie di ciascun nucleo familiare.

Queste coppie che sanno fare il bene dei figli, ma che sanno anche organizzarsi , che sanno continuare a cercare un modo per sostenersi esistono.

Sicuramente mai nessuna separazione sarà priva di questioni da dirimere ( vi racconterei favole), ma persone di buon senso e con capacità di ragionare e di amare possono superare le difficoltà ed imparare ad accordarsi nel miglior modo possibile, anche con momenti di tensione probabilmente superabili.

Tutta questa premessa crolla in toto di fronte ad una serie di separazioni che definire conflittuali è troppo poco.

In alcuni casi, purtroppo sempre più frequenti, i problemi non riguardano solo la relazione tra due persone, ma i rapporti con i figli.

Prendiamo il caso di un marito violento, perchè è di questo che per l’ennesima volta mi voglio occupare. E’ chiaro, che anche una santa Maria Goretti, non riuscirebbe a trovare un punto d’incontro possibile per i figli, se l’ex marito appartiene al club degli uomini malevoli. E’ chiaro che la separazione, non riuscirà ad essere consensuale e, tra giudici, avvocati di parte, capaci di fomentare a più non posso, la situazione, omai lo sappiamo, va a degenerare quando intervengono anche i servizi sociali che, salvatori dei poveri bambini, cercano di barcamenarsi alla meno peggio.

Un uomo violento non è pericoloso solo con la ex moglie, un uomo violento è malevolo sempre e fino in fondo e, da quanto osservo, non vuole il bene di nessuno, neanche dei propri figli.

Con quanta angoscia, una madre, che conosce bene, fin nei più intimi particolari le brutture dell’animo e delle azioni di un uomo violento che le è vissuto accanto, con quanta angoscia dicevo, vede uscire di casa i suoi piccolini per recarsi col padre.

Con quanta paura, paura inascoltata, paura che attanaglia, ma che nessuno riconosce. Inutile affidare le proprie angosce ai servizi sociali: per loro sei semplicemente una madre malevola, che vuole trasmettere il suo odio sui figli, non consentendogli regolari incontri col padre che, chissà perchè, è sempre un povero padre, bistrattato ed ingiustamente offeso.

Inutile sperare in un aiuto dagli avvocati: signora è la legge, e la legge non si discute.

Inutile supplicare il giudice che si occupa del caso: a malapena si legge le carte, ti guarda in faccia, ascolta, ascolta e poi decide che, come dicono i servizi, la signora deve rispettare in ogni modo gli incontri tra padre e figli altrimenti sono guai e che, per favore, si facesse passare tutta questa montagna di odio.

La mamma, ex mogle di un uomo malevolo, cosa può saperne di cosa sia il bene dei figli?

Interessanti sono le famose terapie di coppia, gli incontri presso i servizi con esperti del mestiere, che mettono di fronte vittima e carnefice.

La vittima, se è stata vittima e per anni non si è saputa difendere, come pensate che si sentirà?

Qui uno psicologo in gamba avrebbe molto da raccontare.

Inoltre è bene sottolineare che le paure della madre di fronte ad un uomo malevolo sono alimentate dalle paure dei figli.

E’ questo il punto: tutti pensano che la madre crei paure nei figli nei confronti del padre.

In realtà le paure della madre non nascono solamente dal suo vissuto con l’uomo violento, ma soprattutto da quanto raccontano i bambini, dai loro pianti dal cambiamento di atteggiamento che spesso presentano, dalla volontà di non voler ripetere gli incontri col padre per il grande timore.

Chi ha creato quest’aurea di terrore intorno al povero padre?
LA MADRE, E’ LEI LA COLPEVOLE: su di lei gli indici puntati di avvocati della parte avversa, servizi, ctu, giudici.

Su di lei è puntato anche l’indice del marito malevolo: è lei, solo lei che mi mette contro i figli.

E’ STATA EVA.

Che abbaglio terribile!

Come è possibile dare questa lettura, così poco aderente alla realtà?

Come è possibile che non attraversi la mente di questi competenti e non vi alberghi, la possibilità che i figli sono terrorizzati dal padre perchè il padre è un violento?

Il padre è un violento: può esserlo e incutere terrore a livello psicologico, può esserlo nel linguaggio, può esserlo nei modi.

Può anche nasconderlo molto bene con gli adulti. E tutti a credere che la madre sia una disgraziata.

E quando poi la madre si rende conto che il padre malevolo è anche un uomo che abusa dei suoi figli?

Alcuni leggendo cominceranno a sentirsi la sedia bruciare: ancora con queste storie!

Apriamo gli occhi. Finora si sono nascosti i fatti grazie a periti consenzienti, si sono chiusi i casi e le denunce sono andate a farsi benedire con la scusa che i bambini mentono e dicono le cose suggerite dalla madre.

In primo luogo chi arriva a conclusioni affrettate e rassicuranti non conosce bene le dinamiche che avvengono in una madre che si trova di fronte ad un possibile abuso sui figli.

Prima che la madre apra gli i occhi su una realtà del genere, devono accadere molti , ma molti fatti, devono essere superate tutte le barriere ed i tabù della madre stessa e, se questa riesce a sopravvivere ad un infarto, non può far altro che chiedere aiuto e denunciare.

Denunciare per poi sentirsi dire, dopo che tutti gli esperti hanno parlato, che i bambini sono indotti.

Interessante. Immaginiamo che un bambino senta sempre sua madre ripetere che il papà è cattivo. E’ assolutamente probabile che il bimbo, in tenera età, impari a credere che il padre sia cattivo. Ciò non lo aiuterà di certo a continuare un buon rapporto con lui.

Inmmaginiamo ora una madre convincere il figlio che il padre gli ha fatto questo, gli ha messo quello e quell’altro:scusate non mi va ora di ripetere le cose che si trovano scritte negli incidenti probatori e che annichilebbero qualsiasi persona normale.

Beh, potrebbe essere che una pazza possa riuscire a convincere un figlio di dieci, undici anni e più. Ma sicuramente non può indurre un bambino di tre, quattro, cinque sei anni a racconti del genere, perchè i bambini a quell’età non conoscono quello di cui parlano. O hanno mangiato sin da piccoli latte e film porno?

No, è assolutamente non credibile che una madre abbia indotto il figlio a racconti di abusi sessuali, descritti, vi assicuro, nei minimi particolari, anche se con un linguaggio infantile.

Un altro fatto che mi colpisce e su cui si pone poco l’attenzione, è l’atteggiamento dei bambini, che durante gli incidenti probatori, pur se messi a loro agio, si vergogano moltissimo di quello che raccontano. Non lo fanno come se fosse una filastrocca imparata a memoria.

Asoltare un incidente probatorio di un bambino piccolo è devastante. Ma gli esperti riescono a dimostrare che è tutto falso. E le perizie di parte non vengono prese in considerazione.

Mi voglio ripetere: non è possibile che una madre induca, più o meno consciamente un bambino piccolo a parlare di abusi.

Mamme e bambini in questo caso non mentono, solo che non vengono creduti.

Ma anche se non vengono creduti, la realtà rimane la stessa, non cambia di certo: il bambino è stato abusato.

E questi poveri bimbi verranno costretti ad incontrare i loro padri abusanti con l’avallo della giustizia.

CHI LI DIFENDERA?

Flo il direttore


Avrei voluto iniziare l’articolo con un altro titolo: SINDROME DI PAS. E CHE C

Vi assicuro, mi sembrava il titolo giusto, ma sono stata educata ad utilizzare un italiano scevro da tentazioni scurrili, per cui il mio iniziale slancio è morto sul nascere. I miei avi si sarebbero rivoltati nella tomba.

Comunque già il titolo fa capire come io la pensi su questa sindrome di PAS… PAS…PAS…
Non parliamo poi degli psicologi, degli servizi sociali: PAS…PAS…PAS…
E che PAS!

Le povere madri oggi a questa parola sono prese da attacchi di panico, tremori, pianti, neanche fosse morto qualcuno!
Beh, in realtà è come se il morto ci fosse, perchè PAS oggi vuol dire guai, molti guai. Per le mamme e per i loro amati figli.
Dopo che qualche psicologo, operatore sociale e poi un giudice, ha nominato e messo per iscritto la pestilenziale parola possiamo cantare il De Profundis e citare un grande: “Lasciate ogni speranza o voi che entrate…”

Oggi la PAS è la panacea di tutti i mali. Vi ricordate quando si andava dal medico e qualsiasi dolore avessimo, che non veniva riconosciuto da nessuna diagnosi, il medico aveva pronta la frase: “Signora è un pò di depressione!”

Quanti malati ho visto morire di depressione. Ricordo il padre di una mia amica che soffriva di terribili mal di testa ed i medici continuavano a dire che il poveretto aveva la depressione. Poveretto davvero! Morì dopo pochi mesi per un tumore alla testa. Figurati se qualcuno si era premurato di fargli fare le dovute analisi più approfondite.

Un’altra mia amica, dopo aver battuto la testa, si lamentava per forti dolori, anche dopo mesi dall’incidente. Indovinate quale fu la diagnosi del dottore? Che la donna aveva la depressione, che ritornasse a lavorare e non si approfittasse dello Stato!
Poi si scoprì, qualche anno dopo, che l’incidente le aveva provocato lo spostamento mandibolare. Ecco il perchè dei dolori, che passarono dopo aver fatto le cure adeguate.

Lo stesso accade oggi. Un bambino, figlio di genitori separati, se si inizia a lamentare di non voler andare con il padre (in rari casi, ma ci sono, con la madre), se comincia ad assumere un atteggiamento terrorizzato di fronte a lui, se assolutamente insiste nel suo atteggiamento o, peggio, se racconta cose terribili che non vorrei mai riportare per il dolore fisico che mi lascia, ma che riporterò nella seconda parte dell’articolo, bene, quel bambino ha sicuramente la sindrome di PAS.

Ma come, non è il caso di tranquillizzare il bambino, di dirgli stai calmo, non ti preoccupare per adesso non ci vai da papà, se sei così spaventato?

Non è il caso di capire con calma cosa abbia il bambino, aiutarlo pian piano a confidarsi? Non è il caso di ascoltare? Non è il caso di prendere in seria considerazione le cose che ha da dire? Non è il caso di trattarlo con l’attenzione che merita?

No, evidentemente non è il caso.

Sano buon senso dove ti sei trasferito? Sei andato a farti benedire in questo mondo di esperti che credono di sapere tutto di tutti ed invece non sanno guardare al di là del loro naso?

Intanto gli esperti dicono che la PAS è un disturbo psicologico che si riscontra solo ed esclusivamente nelle controversie che avvengono nell’ambito delle separazioni, per la custodia dei figli.

Solo i figli contesi, cioè, possono ritrovarsi appiccicata l’etichetta della sindrome e covare gravi patologie che non consentiranno loro una vita normale, a meno che qualcuno non li prelevi, non li porti in qualche casa famiglia e non li aiuti dall’esterno.

La PAS è di derivazione anglosassone, vanta studi più che ventennali e, a detta degli esperti, è ancora poco conosciuta ed applicata in Italia, mentre meriterebbe una considerazione maggiore.

Su questo punto dissento subito: Non solo è conosciuta, è conosciuta troppo e male, è applicata spessissimo ormai e con effetti deleteri e terribili che non basta una vita per liberarsene.

La PAS è stata descritta e sintetizzata da Richard A. Gardner che nel 1985 rese noti i suoi studi.

Lo psichiatra, non pago del suo duro lavoro nell’esercizio intellettuale, riuscì ad applicare le sue teorie con grande successo in America.
Venne chiamato ad applicarle nei più redditizi processi per divorzio di ricchi americani che, grazie a lui, riuscivano a liberarsi di ex mogli che, attraverso i figli, a loro dire, li volevano spennare.

Inutile sottolineare che Gardner si procurò fama e denaro, molto denaro.

In verità non riuscì a godere del frutto del suo duro lavoro, perchè diede termine alla sua vita col suicidio, avvenuto in un modo molto cruento.

Se almeno prima di morire avesse sconfessato tutte le cretinate che aveva fatto bere a tutti!

Ebbene oggi in Italia si propagandano a tutta birra (parlavamo di bere) le teorie di un suicida (che valore attribuire alle tesi di un uomo disturbato?) che, in America, è anche mal visto a causa di sue dichiarazioni alquanto inquietanti riguardanti la pedofilia.

In sintesi, a tal riguardo, egli dichiarava che la pedofilia non rientra nelle patologie sessuali da combattere, che non è una terribile devianza, ma che va inquadrata nella sfera dell’ orientamento sessuale: chi si orienta verso l’altro sesso, chi verso il proprio sesso, chi verso i bambini. E che sarà mai, ognuno ha un tipo di inclinazione sessuale (naturalmente è una nota polemica)!

Ma quello della pedofilia e dell’eccessiva indulgenza di Gardner a questo riguardo è un’altra storia, altrettanto terribile, ma un’altra storia..

Torniamo dunque a parlare della PAS, attraverso la quale si vogliono stanare le modalità ed addirittura le tecniche di programmazione da parte del genitore alienante (quasi sempre la madre), che costruisce nel bambino una sorta di paura, odio e diffidenza nei confronti del genitore alienato (quasi sempre il padre).

Secondo Gardner e la corrente da lui derivata, che a mio parere sta intossicando il clima della giustizia italiana, la madre progetta una sorta di processo di programmazione del figlio contro il padre; il figlio stesso diviene poi parte attiva nel mostrare astio nei confronti del padre e nel dichiarare di non volerlo più vedere.

Il figlio viene programmato talmente bene dalla madre, che riesce a mostrarsi come soggetto autonomo, cioè riesce a far credere che odia il padre per motivazioni proprie e non perchè sia stato suggestionato dalla madre.

Tutto ciò avviene perchè il figlio sceglie il genitore sofferente (la madre) e crea una sorta di alleanza che lo conduce ad un astio e ad un disprezzo ingiustificato verso l’altro genitore.

Orbene, portando la situazione sopra descritta a casi che si riscontrano giornalmente nei tribunali, il bambino, dopo la separazione dei suoi genitori, dichiara di non voler più incontrare il padre, adducendo una serie di motivazioni (con un diverso linguaggio e diverse espressioni, a seconda dell’età) che lo portano ad avere paura, terrore nei confronti del padre.

Paura e terrore che gli esperti chiamano astio.

Purtroppo il bambino, sempre più spesso racconta episodi circostanziati di violenze fisiche ed abusi nei suoi confronti da parte del padre.

Di fronte ad accuse di questo tipo, talmente gravi che la mente si ribella al solo sfioramento del pensiero, gli esperti indagano con la delicatezza di un elefante, ma hanno ormai inculcata talmente bene nella testa la sindrome di PAS che, già prima di iniziare la loro indagine, sono convinti che le paure del bambino derivino da un condizionamento più o meno voluto, conscio o inconscio, da parte della madre, che deve far pagare al povero padre la disgrazia della separazione.

Queste sono le conclusioni sempre più spesso delle indagini degli esperti: la madre ha influenzato il figlio a tal punto che questi racconta fatti mai accaduti, ma che sono generati dal terrore e dalla paura indotta nei confronti del padre.

A questo riguardo devo sottolineare che oggi gli esperti parlano per la maggior parte dei casi di PAS senza che questa debba assolutamente essere citata.

Infatti Gardner stesso afferma che, per parlare di PAS, sia necessario chiarire che i sentimenti di astio, disprezzo e rifiuto del padre da parte del bambino non debbano essere giustificati da violenze da parte del padre.

Ciò vuol dire che in presenza di reali abusi o trascuratezze, la diagnosi PAS non può assolutamente essere applicabile.

Ciò significa che si parla di PAS a sproposito, lì dove il bambino racconta in incidente probatorio di violenze ed abusi.

Ciò significa che gli esperti non conoscono bene la teoria di PAS.

Oppure ciò significa che gli esperti non credono assolutamente possibile l’abuso e non credono al bambino già prima che parli, trovando più facile e rassicurante pensare che la colpa sia della madre che ha influenzato il figlio.

Per loro il mostro non è il padre, il mostro è la madre, che va allontanata per decodificare il figlio!

Per scacciare un absurdum si crea un altro assurdo.

Per scacciare l’orrore della realtà si crea una fantasia altrettanto orribile.

E così, fine della storia: ad una madre amorevole viene strappato il suo piccolo, il suo amore.
A tante madri amorevoli oggi sono stati strappati i loro piccoli, i loro amori.
Parleremo la prossima volta degli otto sintomi che presenta il bambino vittima della PAS.
Ma ormai già sapete che dovete aspettarvi.

FLO IL DIRETTORE


Nel momento in cui scrivo, in un antico borgo sul mare, una mamma (tra tante), sta soffrendo, Anche un bambino (tra tanti), sta soffendo, è impaurito, frastornato e non sa cosa ne sarà di lui.

Sara e Matteo, li chiameremo così.

Lei minuta, occhi neri, resi più scuri dall’ombra del dolore che è poggiato lì . Esile, ma forte, una mamma coraggio, che ama il suo piccolo e vuole che cresca sano, robusto e libero. Soprattutto libero. Che diventi un uomo, un vero uomo, capace di amare. Ma soprattutto che diventi un uomo buono.
Ha tanti sogni per lui. E sono tutti sogni belli.

Lui alto biondo, gli occhi neri della madre, la stessa ombra che li ricopre. Ha nove anni, ama la scuola, gli amici ed il calcio, il grande calcio. Sua madre è tutto per lui: la sua vita, il suo respiro stesso, la sua forza, la sua sicurezza.

Sara e Matteo sono soli. Abitano in una piccola casa bianca con le imposte verdi, un giardinetto intorno, pieno di fiori, con la palla sempre in mezzo, perché Matteo adora (come tutti i bambini italiani) il calcio. Sogna di giocare con Totti, guarda tutte le partite ed urla di felicità quando la sua squadra segna.

A pochi metri da loro, vivono i nonni materni, Maria, minuta come la figlia e grande cuoca, Giuseppe, un gran lavoratore, un imprenditore, di poche parole, ma dal cuore grande.

Matteo spesso si ritrova con i nonni ed uno zio, il fratello della mamma, che lui adora perché è giovane e lo porta a vedere le partite. Da lui scrocca pure qualche euro per le figurine. Questo è il suo mondo sin dalla nascita perché la sua amata madre rimase giovanissima incinta di un uomo che la abbandonò appena saputo della gravidanza.

Sara e Matteo hanno imparato a cavarsela, aiutati ed appoggiati dalla braccia forti dei nonni. Sara ha trovato un buon lavoro e ha cresciuto Matteo nel migliore dei modi.

Sara e Matteo erano felici insieme. Capitava spesso di vederli correre giù sulla stradina che conduce alla spiaggia, acchiapparsi e buttarsi sulla sabbia rotolandosi e ridendo fino alle lacrime. Il loro cuore scoppiava di gioia…

Piccolo mio ti voglio bene” gli sussurrava Sara e Matteo sentiva il cuore battergli d’amore.

Un giorno, quando Matteo aveva circa quattro anni, il padre (io lo definirei ‘biologico’ perchè ho tutt’altra idea di paternità) decise che era giunta l’ora di conoscere quel figlio che non aveva mai voluto. Entrò nella vita della madre e di Matteo come un uragano.

In tempi non tanto lontani, Matteo sarebbe stato figlio illegittimo, perché nato fuori da una relazione matrimoniale, non avrebbe avuto gli stessi diritti dei figli legittimi, avrebbe sofferto per il rifiuto, e ne sarebbe stato segnato per la vita.

Meglio sarebbe stato! Meglio per lui continuare ad essere figlio non voluto!

Ed invece le nuove leggi, che hanno portato tanti benefici ai figli illegittimi, hanno recato la possibilità per il padre che non si è mai sognato di occuparsi, neanche nell’anticamera del cervello, del figlio, di potersi riprendere tutti i diritti che aveva volontariamente rifiutato e cioè di divenire a pieno titolo ‘padre’, con la conseguenza di avere gli stessi diritti della madre.

Madre che l’ha tenuto nel grembo, che ha trascorso nove mesi da sola a sostenere controlli medici e tutto quello che concerne una gravidanza. Madre che l’ha partorito da sola, senza il sostegno del compagno. Madre che l’ha cresciuto, che ha vissuto le angosce per una malattia e le gioie dei primi passi completamente senza il supporto del padre di suo figlio.

Non parliamo della situazione economica, non la nominiamo neppure, perché è all’ultimo posto delle priorità in questa storia, visto che i nonni hanno provveduto abbondantemente ed a larghe mani, cercando di fare il meglio per amore, solo per amore.

Insomma, dicevamo che il padre entrò nella vita di Matteo, con tutti i bolli, con tutte le carte burocratiche a posto, con l’arroganza data dai suoi diritti riconosciuti. Chissà se a questo lo spinse il fatto che Sara aveva da poco conosciuto un uomo, che sembrava voler entrare nella vita sua e di Matteo! Questo non lo sapremo mai, ma il dubbio che il padre biologico fosse preso da un attacco di gelosia e dalla voglia di distruggere la madre di suo figlio, rimane. Si rimane.

Qualsiasi uomo, preso da rimorso per aver abbandonato una donna e suo figlio nel momento del maggior bisogno, avrebbe prima di tutto chiesto perdono alla madre di suo figlio e avrebbe cercato di rientrare nella loro vita o perlomeno nella vita del bambino, a passi felpati. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese, con una gradualità dovuta alla situazione, avrebbe pian piano conquistato suo figlio e forse avrebbe avuto la grande gioia di sentirsi chiamare ‘papà’.

Qualsiasi uomo dotato di buon senso si sarebbe comportato così.

Invece il padre di Matteo costrinse il bambino, che non provava alcun tipo di affetto per lui, a incontri sempre più frequenti ed obbligati.
Fino a quando Matteo, non solo non voleva più incontrare il padre, ma cominciò a mostrare particolari disturbi ed a raccontare fatti strani, episodi inquietanti e iniziò a rivelare una perseveranza nel rifiutare gli incontri, urlando il proprio dissenso a più non posso, fino al punto di sentirsi male.

A suon di tribunale penale, tribunale civile, i giorni trascorrevano con dolore ansia e una improvvisa paura di non poter tutelare il bambino.

Inizialmente i servizi sociali della zona guardarono con sospetto l’atteggiamento del bambino, ipotizzando che probabilmente la colpa fosse da attribuire alla madre che influenzava Matteo nella scelta di non vedere il padre. Così cominciarono ad inviare al giudice preposto le loro osservazioni e contribuirono di certo a far sì che Sara fosse considerata una donna che non permetteva la ripresa della relazione tra padre e figlio.

In seguito si resero conto dell’errore, ma era troppo tardi. Cercarono di rimediare inviando, sempre al giudice, i nuovi dati emersi, che ponevano molti dubbi sulla salute mentale dell’uomo, supportati anche da una diagnosi che un centro di psichiatria infantile aveva effettuato su Matteo, gettando ombre su ciò che poteva aver subito dal padre.

Fu tutto inutile. Ormai la diagnosi era fatta: sindrome di PAS, la famigerata ed onnipresente sindrome di PAS.

Anni a difendersi, a difendere Matteo.

Proprio negli ultimi mesi la situazione è precipitata. Un giudice minorile ha fatto sentenze su sentenze: in una dava la podestà ad entrambi, in un’ altra, ha tolto la podestà alla madre ed ha deciso che il bambino doveva andare a vivere dal padre, poi al rifiuto delle forze dell’ordine di prendere Matteo con la forza, ha deciso che il bambino sarebbe andato in casa famiglia, poi si è convinto in una nuova udienza che forse Sara non è poi così orribile e che forse il padre non è poi così sano e ha ‘concesso’ di nuovo la podestà alla madre.

Neanche il tempo di riprendersi, neanche una settimana dopo, sempre lo stesso giudice, ha pensato bene che la madre stessa dovesse accompagnare Matteo in casa famiglia.

Saggia decisione, vero?
Qualsiasi madre degna di questo nome avrebbe ubbidito vero?
Voi lo avreste fatto, vero?

Immaginate la scena: una madre che tutta felice porta il bambino in una casa che si chiama famiglia, ma dove la famiglia non c’è, come se lo portasse in vacanza al mare.

Per quanto tempo poi dovrebbe rimanere?
Sei mesi. Che volete che siano sei stupidi mesi?

Mamme, voi che avete i vostri gioielli (così li chiamava la madre dei Gracchi), in case famiglia, sei mesi, sono sei mesi, o diventano anni?

Mamme, con quale animo una madre può percorrere la strada verso quella casa, portando suo figlio, sangue del suo sangue, vita della sua vita, in un posto da cui lei sarà esclusa per non so quanto tempo?

Abramo ed Isacco. Ma Abramo ritornò a casa col figlio.

Mi sovviene la favola di Hansel e Gretel, la casa della strega travestita da vecchia…la casa famiglia.

Rispetto la funzione ed il lavoro di chi dirige le case famiglia, alcune sono persone splendide, eccezionali, ma credetemi, quando arrivano bambini che ingiustamente sono destinati alle case famiglia, sono loro stessi, gli operatori, a piangere di dolore, di compassione, perchè sanno che quei bimbi dovrebbero stare con la loro mamma.

La casa famiglia dovrebbe accogliere chi è appunto senza famiglia o perché proprio non cel’ha o perché è così disgraziata e pericolosa che è meglio non avercela una famiglia.

La casa famiglia può salvare tanti, tanti bambini.

Ma vi prego il bimbo che una casa ce l’ha, che è circondato d’amore e d’affetto, vi prego, non può essere allontanato dal suo mondo.

E Matteo una casa ce l’ha.

Una casa dove, ad accoglierlo all’uscita da scuola c’è la sua splendida mamma.

E chissà, forse un giorno Matteo potrà avere un vero papà, non il papà biologico, ma un papà vero, che ami lui e la sua mamma.

Lasciate Matteo alla sua casa, ai suoi amici, ai suoi nonni, alla sua vita.

In questo momento però, Matteo è triste ed ha paura. Sa che verranno a portarlo via.

Mamma non mi mandare via, mamma, mammina, aiutami“.

FLO, IL DIRETTORE

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Non vorrei rigirare il dito nella ferita, ma è necessario che le donne che hanno subito un percorso fatto di violenza psicologica e fisica, sappiano che, per uscire completamente dallo stato di sottomissione permanente, vissuto come atteggiamento nei confronti di un uomo padrone, ma anche nei confronti della vita stessa, bisogna imparare a comprendere quale molla le abbia spinte ad accettare una situazione che, guardata dall’esterno, risulta improponibile.

Ancora oggi molte donne subiscono in silenzio, al chiuso delle loro case, insieme ai loro figli e chiedono il silenzio.

Capita spesso, aprendo i quotidiani, di scoprire che un uomo ha ucciso moglie e a volte anche i figli. I commenti di molti vicini sono:” Era così un brav’uomo!
Lo sentiamo spesso, come se tutti gli assassini fossero improvvisamente presi da raptus omicidi nei confronti delle loro compagne, così, per un immanente impazzimento.
Non nego che talvolta la situazione sia veramente tale, ma non posso neanche nascondere che purtroppo molto spesso le relazioni familiari sono malate alla radice, mancando i principi base del reciproco aiuto e del reciproco amore e sostegno.

Quando accadono queste atrocità, in genere, le vittime, madre ed eventualmente figli, hanno tenuto nascosto il dramma familiare che si andava tessendo. Nessun aiuto esterno, nessun appoggio. Le tragedie accadono e non sono di certo un fulmine a ciel sereno per chi le vive.

Grazie a Dio, alcune donne e oggi sempre più (questo è positivo, perché si rompe il muro di omertà), cominciano a denunciare i loro aggressori, cominciano a metterli con le spalle al muro, superando la vergogna che deriva dal fatto che tutti sappiano del proprio fallimento familiare, imparando anche ad accettare che il mondo mostruoso creato intorno e al quale ci si era abituati, è crollato.

Ormai trovo insopportabili i commenti di chi, alla fine di una storia dolorosa di questo genere, si ostina immancabilmente, neanche fosse un proverbio, a dire: “A sbagliare si è sempre in due“.

Desidero sfatare la veridicità di questa frase fatta. Quando un uomo usa la violenza, psicologica e fisica, è sempre e solo lui a sbagliare. Sempre e solo lui, che ha distrutto non solo sogni e speranze, ma la vita stessa delle persone che l’avevano scelto per stargli accanto.

Non è vero che il fallimento di una relazione burrascosa sia da imputare anche alla donna, che però molto spesso continua ad incolparsene: “Se fossi stata più sottomessa, se fossi stata più buona, se mi fossi stata zitta, se non mi fossi intromessa, se non avessi bruciato la cena, se avessi finto un pò di più a letto…..”

Se, Se, Se….

I rimorsi di una donna distrutta da un uomo violento spesso, sono fatti di tanti se.
Qui, è il caso di dirlo, non esistono né se, né ma.

Quando un uomo usa la violenza, sceglie il linguaggio aggressivo del corpo e vuol dire che non sa utilizzare altri tipi di linguaggio, che conosce solo quello, quando si trova in una situazione che non gli piace o in cui è messo alle strette.

Sono tanti i casi in cui le donne raccontano di essere state picchiate selvaggiamente, con calci, pugni, capelli tirati con violenza, in un corpo a corpo in cui loro cercavano di difendersi, di chiudersi a riccio per parare meglio i colpi. Ebbene dopo che magari, per un nonnulla, l’ometto è scattato in questa maniera, condendo il tutto con improperi, ebbene dopo lo tsunami, sempre lo stesso ometto, magari la sera stessa obbliga la compagna a rendersi presentabile per la cena con gli amici.

Chi non conosce queste dinamiche può rimanere impressionato dal cambio repentino di umore: a casa mostro- padrone, fuori casa amabile.

Cosa fanno in genere le donne? Quasi grate di avere qualche ora di tregua, morte interiormente, ubbidiscono, si vestono ed escono con il loro ometto che darà grande prova della sua simpatia. Pensate, in un moto tardivo di affetto arriverà pure a fare una carezza alla sua cara compagna.

Come attraverserà il volto della donna quella carezza? Come una spada affilata. Quella carezza diviene la tregua che la donna accetta, proponendosi di non più far arrabbiare il suo ometto (mi scuserete, ma la parola uomo non mi esce dalla tastiera). Magari gli amici penseranno: che bella coppia e forse li invidieranno anche un pò. Perché alcuni ometti riescono a dissociarsi in una maniera tale da sembrare due persone diverse.

Stronza, puttana come tua madre, mentecatta di merda e tante altri fonemi sullo stesso tema vengono ogni giorno ad aggredire la povera donna che, alla fine, penserà di essere stronza, puttana e mentecatta di merda.

Ho voluto scriverle queste parole, sentire il puzzo sulla carta stampata per provare a capire cosa possa passare una donna che si trovi sommersa da questi improperi. Deve essere devastante, deve essere terribile. Vorrei che mai, nessuna donna, debba sentirsi chiamare così.  Nessuna donna lo merita, nessuna persona.

Quante donne alla fine di una relazione di questo tipo mi ha detto: “La mia vita è finita!“.
Vogliono dirmi che il loro mondo è distrutto, vogliono dirmi che il loro sogno di una famiglia è crollato, che loro stesse non sono altro che un fallimento.

Ed io rispondo con forza, quasi lo urlo: ” NO, LA TUA VITA NON E’ FINITA, LA TUA VITA RICOMINCIA QUI, ADESSO.”

Si, la vita ricomincia, nuova, tutta da scrivere, ma bisogna ritrovare il desiderio della vita, distrutto dalle volgarità e dalle botte. E non dimentichiamo le violenze sessuali.

Se leggeste qualche incidente probatorio sulle violenze sessuali continuate, inorridireste, voi padri preghereste Dio che non permetta mai su vostre figlie e sorelle un orrore del genere.

Qualche volta dimentico di ridere. Quando ascolto questi racconti, muoio dentro, una voragine minacciosa mi si spalanca davanti, soffro con le donne come se queste violenze fossero sulla mia persona. So che quello che raccontano è tutto vero e non sopporto che qualcuno metta in dubbio ciò che queste poverette hanno vissuto sulla loro pelle.

In questi casi penso spesso a Primo Levi, che dopo i sei milioni di Ebrei morti nei campi di concentramento, dopo quello che aveva visto, vissuto, sofferto e che ha lasciato in eredità alla memoria in “Se questo è un uomo“, si suicidò perché non riuscì a sopportare che in Italia, malintenzionati cominciassero a diffondere notizie sul fatto che le sofferenze ed il numero dei morti ebrei fosse falso. Dopo aver visto morire i suoi, come poteva accettare un simile affronto?

Ecco, quando le donne raccontano le loro tragedie e si sentono replicare che la maggior parte delle cose sono false, vengono ammazzate nuovamente. Non basta, devono pure ascoltare che se loro fossero state più amabili, certe cose non sarebbero successe.  Sono sicura che si sentono come primo Levi.  Io, a nome loro, mi sento così.

Capita di incontrare giudici, uomini e donne indifferentemente, pieni di acume ed attenti ai racconti, che si convincono della credibilità di quanto affermato dalle vittime. Ci sono ometti che si difendo affermando che cadono dalle nuvole riguardo ai fatti di violenza raccontate dalle loro stesse compagne.

Signor giudice, io l’ho sempre trattata con i guanti!

Mettono in scena una commedia dell’assurdo che pure chi assiste si sente assurdo. Continuano asserendo che, signor giudice, il problema è che non mi vuol far vedere i figli, per questo sta facendo tutta questa sceneggiata.

Capita allora che gli sguardi si posano tutti, sulla povera vittima, e tutti pensano per un istante e forse più, che allora è una falsa, una ingannatrice. Povero uomo, che megera ha incontrato e guardate come soffre per i figli che non può vedere!

E mica è finita lì. Non potete immaginare cosa inventano gli avvocati difensori, che linguaggio offensivo usano durante la difesa!
Che volete, è il loro lavoro (chiedo scusa ai tanti avvocati che non fanno queste cose, chi mi conosce sa che li stimo).

Capita però che quei giudici di cui parlavo prima, dotati di molta esperienza, capiscano da che parte stia la verità. E capita, grazie a Dio, che la verità salti fuori e che il colpevole si becchi una condanna. Condanna che comunque il colpevole non farà mai.

Ma tale condanna, scritta in una sentenza, sarà molto importante pr la donna, che vedrà riconosciuto il fatto che è lei la vittima, che lei non ha fatto nulla per scatenare le violenze, che l’uomo è un violento e va punito.

Perchè ha ucciso una donna nel più profondo dell’anima.

FLO

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